Era già abbastanza brutta, la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento in esame al Senato. Una legge che sequestra i corpi, violando la più elementare delle libertà. Che riduce i cittadini a eterni minorenni, incapaci di decidere cosa sia meglio per loro. Che li irride con la sua neolingua, vaneggiando di «alleanza terapeutica» là dove instaura in realtà il dominio terapeutico del medico sul paziente. Che causerà angosce, dolore, mortificazione, prima di essere cassata un giorno – com’è inevitabile – dalla Corte Costituzionale.
Ma c’è dell’altro. Perché questa legge infame, per essere approvata, ha bisogno di un ultimo passaggio parlamentare. E l’approvazione è stata garantita dall’attuale Presidente del Consiglio; quel Presidente del Consiglio che con le sue pagliacciate, i suoi crimini, la sua totale inettitudine, l’egoismo vorace, ha portato il nostro paese sull’orlo dell’abisso. L’unico servizio che costui potrebbe rendere sarebbe di scappare in uno dei suoi rifugi ai Caraibi; ma alcuni aspettano da lui ancora qualcosa. Per l’appunto, l’approvazione della legge sulle DAT. Che importa la rovina del paese, e forse quella dell’Europa, di fronte ai sacri principi non negoziabili? Fiat iniustitia, pereat mundus.
Probabilmente l’appoggio degli integralisti non è decisivo per la sopravvivenza di questa maggioranza; ma certo la loro responsabilità è ugualmente piena e pesantissima. Siamo in Italia, dove nessuno paga mai per niente; ma la possibilità di essere chiamati a rendere conto rimane. E il prezzo da pagare per il sostegno a questo clown, se le cose dovessero precipitare, potrebbe rivelarsi molto, molto amaro.
giovedì 3 novembre 2011
Fiat iniustitia, pereat mundus
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lunedì 23 maggio 2011
Sono innocente
Update: Robin’s suggestion to the Italians is, find some way to get Berlusconi into a New York hotel (Other Peoples’ Politics, Paul Krugman, may 22, 2011, NYT).
sabato 30 aprile 2011
sabato 29 gennaio 2011
La privacy del signor B.
Abbiamo sentito ripetere molte volte, in questi giorni, un argomento a favore di Silvio Berlusconi: ciò che un cittadino fa tra le mura della sua casa – ci è stato detto – è solo affare suo; in particolare, le abitudini sessuali, per quanto contrarie alla sensibilità più diffusa, non costituiscono un legittimo oggetto di interesse da parte del pubblico, né possono determinare conseguenze penali. Alcuni difensori del capo del governo hanno poi creduto di rilevare una contraddizione in cui sarebbe caduto chi lo accusa: «chi si scandalizza ora, poi non ha niente da dire nei confronti dell’assoluta libertà sessuale o del gay pride» (costoro non sembrano tuttavia aver notato la contraddizione esattamente speculare in cui sono incorsi essi stessi). I concetti invocati, insomma, sono quelli tipicamente liberali della privacy, della distinzione tra morale e diritto, della sovranità dell’individuo nella sua sfera privata, e del principio che ciò che non causa danni ad altri non può essere sanzionato dalla legge.
Le risposte a questo argomento sono altrettanto note. Per prima cosa, si fa notare, in questa vicenda si ipotizza che siano stati commessi dei reati, come la concussione e l’induzione alla prostituzione, non semplicemente delle violazioni della morale. Esistono inoltre degli aspetti, emersi anche negli scandali precedenti, che benché non si configurino (ancora?) come di interesse penale hanno tuttavia un enorme interesse pubblico: alcuni dei criteri di selezione del personale politico adottati dal capo del governo si sono rivelati, per così dire, alquanto peculiari. Ancora: la evidente mancanza di prudenza nel gestire i traffici incentrati sulle proprie abitazioni private, tanto da far quasi sospettare il desiderio inconscio di venire scoperto; un disinvolto uso della menzogna, con l’attribuzione di ruoli improbabili ai vari personaggi coinvolti – ieri era «l’autista di Craxi», oggi «la nipote di Mubarak»; la perdita inevitabile di dignità della carica; il discredito internazionale, sono tutti aspetti che travalicano, e di molto, la dimensione privata. Ma forse l’obiezione più potente è che, avendo tratto vantaggio durante tutta la carriera politica dalla rappresentazione insistita della propria pretesa felice vita familiare, S.B. ha in un certo senso rinunciato al diritto di occultare poi quella stessa vita privata quando essa si è trasformata in qualcosa di diverso da un idillio borghese.
Tutte queste obiezioni individuano certo senza appello l’interesse pubblico della vicenda. E tuttavia, rimane al fondo la sensazione fastidiosa che l’argomento dei difensori del premier sia stato piuttosto aggirato che confutato. Al di là dell’ipocrisia, dei reati, dell’imprudenza suicida, delle bugie, delle ex amanti e maîtresse elevate a ruoli istituzionali, è giusto rimproverare – come in effetti da molti è rimproverata! – a S.B. anche la sua privata dissolutezza? Se questa è incompatibile, una volta portata alla luce, con la dignità della carica, lo sarebbe stata anche se non fosse stata ancora scoperta da nessuno? Ed esiste perciò un interesse pubblico alla trasparenza totale della vita privata di questo e di altri politici? Queste sono domande cui è interessante tentare di rispondere, anche al rischio di perdere un po’ di vista gli aspetti concreti della vicenda, che – come si è detto – vanificano già da soli ogni tentativo di sottrarre il capo del governo alle sue responsabilità.
Il diritto alla privacy appare come un’aggiunta relativamente recente al patrimonio delle idee liberali, con cui non si è forse ancora del tutto integrato; proverò qui a chiarire – anzi, prima di tutto, a chiarirmi – la questione generale, per poi tornare alla fine al caso da cui siamo partiti.
Il diritto alla privacy è, prima di ogni altra cosa, il diritto a non subire intrusioni violente nella nostra sfera privata. La mia casa, i miei beni, il mio corpo mi appartengono, nel senso che posso in generale impedire agli altri di sottrarmene – parzialmente o totalmente – l’uso. Posso quindi anche impedire loro di entrare in casa mia a curiosare o a piazzarmi un microfono nascosto; posso decidere se tenere le tapparelle abbassate o se rifiutare il consenso a un esame del sangue; posso, in breve, negare agli estranei un certo tipo di informazioni sulla mia vita intima. L’accesso a un altro genere di informazioni può avere invece implicazioni differenti: conoscere l’entità del mio conto in banca non permette, di per sé, di sottrarmi il mio denaro; riprendermi discretamente con una telecamera quando esco per strada non ostacola automaticamente la mia passeggiata. Si può discutere, in effetti, se le informazioni personali meritino di essere considerate legalmente come una specie di beni privati, anche se questa sembra più o meno essere la tendenza alla base delle norme sulla privacy, specialmente in Europa.
Ma quali sono le motivazioni ultime che spingono la maggior parte di noi a mantenere un certo grado di controllo sulla propria vita privata? Una delle più importanti è senza dubbio il desiderio di rendere meno probabili future aggressioni: se i ladri non sanno che posseggo una collezione di Modigliani sarà più difficile che mi si introducano in casa; se oggi il mio voto nelle urne rimane segreto potrò forse essere lasciato in pace in avvenire da un ipotetico governo poliziesco. Una motivazione meno banale e forse anche più diffusa merita più attenzione. Anche in una società liberale perfetta, in cui sia sempre lecito ogni comportamento che non lede i diritti degli altri, non è possibile impedire che gli altri ci giudichino in base ai loro gusti morali o estetici. La legge può e deve tacere sulla mia tendenza a contrarre debiti, a fare uso di droghe leggere o ad avere rapporti omosessuali; ma naturalmente non può vietare al mio vicino di farsi un’opinione non del tutto benevola su di me e su quello che faccio. Questa opinione – come si conviene a persone educate – può rimanere tacita, e può persino non portare a nessuna conseguenza pratica nel modo in cui vengo trattato dagli altri; ma non c’è dubbio che già il solo pensiero di trovarsi oggetto di un’attenzione non del tutto benevola ha un potente effetto inibitorio sui nostri comportamenti. Persino nella cultura più tollerante alcune azioni o condizioni – si pensi all’espletamento di certe funzioni corporali o alla nudità – porteranno quasi inevitabilmente a sminuire la nostra immagine presso gli altri. Il diritto alla privacy, dunque, ci consente di tenere almeno nella nostra sfera privata comportamenti che diversamente ci sforzeremmo di reprimere; ci permette, in altre parole, di essere più liberi, o – per usare una celebre definizione – di «essere lasciati soli».
Sbaglierebbe tuttavia chi pensasse che una società liberale sia perciò stesso una società di individui isolati, dediti nel segreto delle loro case a vizi e virtù del tutto privati. Questa è la caricatura che ne fanno spesso gli illiberali; nella realtà, il pensiero liberale si applica in primo luogo agli scambi fra individui, al loro entrare liberamente in mille tipi diversi di rapporti reciproci. Ma ecco che qui il diritto alla privacy comincia a incrinarsi. Io posso sì, finché ci riesco, fare debiti e tenere nascosta ad occhi indiscreti la mia situazione finanziaria; ma se chiedo un mutuo dovrò inevitabilmente accettare di rendere nota la mia storia creditizia. In una società meno ossessionata della nostra dai cosiddetti crimini senza vittime potrei anche comprare sigarette di marijuana dal tabaccaio e fumarmele nel mio salotto sino a sballarmi; ma se lavoro come controllore di volo non mi potrò opporre a periodici test antidroga. Qui stiamo in fondo dicendo un’ovvietà: che nella mia vita privata posso fare ciò che voglio, d’accordo, ma solo finché ciò non causa un danno illecito ad altri; la mia libertà finisce dove comincia quella di banchieri e di viaggiatori in aeroplano.
Meno ovvio è che risulta difficile delimitare con sicurezza una sfera di comportamenti per loro essenza privi di conseguenze negative per gli altri. Prendiamo per esempio l’omosessualità: a parte che si tratta di una condizione che non è il risultato di una scelta, non è forse vero che i nostro gusti sessuali riguardano soltanto noi? Eppure, consideriamo un giovane omosessuale che si trovi a vivere in una realtà di provincia, in cui, pur rimanendo l’omosessualità del tutto legale, si sia però sottoposti a una forte disapprovazione sociale per tutto ciò che esula dalla pretesa «normalità». Immaginiamo allora che costui, per tacitare le malelingue, decida di fare un matrimonio di facciata con una ragazza del posto, non rivelandole però il proprio orientamento sessuale. È chiaro che questo è un comportamento illecito, a tutti i livelli: il giovane sta spostando su un terzo incolpevole i costi che, pur incolpevole anch’egli, dovrebbe sostenere in prima persona, come il costo di affrontare a viso aperto gli sghignazzi dei giovinastri del luogo, o di trasferirsi in una più tollerante metropoli, o – più costruttivamente – di lottare per i propri diritti.
Né d’altra parte ciò che sarebbe illegittimo sottrarre alla conoscenza altrui pertiene esclusivamente alla sfera delle scelte di vita fondamentali. Pensiamo per esempio a un colloquio per l’assunzione in un posto di lavoro: non solo possono essere relativamente frivole le caratteristiche che desideriamo mettere in luce – il vestito con cui ci presentiamo, gli hobby che alcuni consigliano di elencare in fondo al CV – ma anche quelle che cerchiamo di nascondere, come l’anno che abbiamo passato dopo la laurea a «cercare noi stessi» facendo trekking in Grecia o il licenziamento subito vent’anni prima per aver litigato con il nostro capo di allora. Nessuno si scandalizza per queste piccole omissioni; ma nessuno si scandalizza nemmeno se l’abile cacciatore di teste le porta alla luce leggendo con attenzione il nostro curriculum. La sua non è – o almeno non dovrebbe essere – curiosità malevola, ma il desiderio di farsi un’idea di che tipo d’uomo è quello con cui la sua azienda potrebbe stare per avviare un rapporto impegnativo: quanto è onesto, diligente, abile. Un grande giurista americano, Richard Posner, ha tentato di dimostrare alcuni anni fa che le limitazioni imposte dalle leggi sulla privacy potrebbero in effetti rendere meno efficiente il mercato, riducendo la quantità di informazioni disponibili a chi offre lavoro.
Abbiamo visto insomma che esiste un’ulteriore motivazione che sottostà all’invocazione di un diritto alla privacy; motivazione un po’ meno nobile delle altre, visto che consiste in fondo nel desiderio di fuorviare coloro con cui entriamo in relazione, omettendo di riferire difetti la cui conoscenza potrebbe essere necessaria alla loro scelta informata, o addirittura costruendo una falsa immagine di noi stessi. Che fare per evitare questi effetti indesiderati? Ovviamente non è possibile sancire un diritto per datori di lavoro o fidanzate a introdursi surrettiziamente in casa nostra per consultare diari o album fotografici. Fattibile – in linea di principio – sarebbe invece una disciplina meno rigorosa sull’accesso alle informazioni che ci riguardano ricavate, per così dire, dalle nostre interazioni con il mondo esterno: le dichiarazioni dei redditi, la fedina penale, la situazione bancaria, la carriera scolastica, e così via. Qui, come abbiamo detto più sopra, non è in gioco un’intrusione violenta nella nostra sfera più privata; il trade-off, allora, è tra la libertà dallo sguardo occhiuto del prossimo e l’impossibilità di ingannare quello stesso prossimo sulle nostre vere qualità. In un certo senso, più si allenta il nostro controllo sulle informazioni che ci riguardano, più cresce la spinta al conformismo, inteso da un lato come adesione alla norma legale ed etica, dall’altro come adesione alla norma sociale e moralistica. Il bilanciamento, come si può immaginare, non è facile.
Meno controverso, almeno a prima vista, è affidare le decisioni della privacy al libero accordo fra le parti interessate, che troveranno da sole un punto di equlibrio fra i reciproci interessi. Vuoi fare l’agente segreto? Bene, forniscici un resoconto dettagliato della tua vita: precedenti penali, educazione, fidanzate, situazione finanziaria e medica, etc., in modo che noi si possa valutare se costituisci una minaccia o una risorsa per la sicurezza nazionale, se sei ricattabile, quali sono le tue capacità di agente sul campo. Se non sei disposto, nessuno ti obbliga: ci sono altre carriere soddisfacenti per le quali è richiesta meno trasparenza. È importante notare (come si vede bene anche dall’esempio) che il sacrificio della privacy richiesto può essere grande quanto si vuole, purché contrattato liberamente. L’unico limite a un accordo di questo tipo, classicamente, è che non può prevedere la riduzione in schiavitù di uno dei contraenti. Proprio perché frutto di un libero accordo, però, richieste esagerate (o percepite come tali) non saranno accettate: se per una perfetta sicurezza si richiedesse a un agente segreto di indossare 24 ore su 24 dei microfoni per monitorare tutte le sue conversazioni, difficilmente si troverebbe qualcuno disposto a tanto, tranne forse degli esibizionisti – probabilmente non le persone più adatte per quel ruolo...
Naturalmente la realtà è spesso abbastanza diversa da ciò che predica la dottrina astratta. Il potere contrattuale di una delle parti può essere di molto inferiore a quello dell’altra; in questo caso si porranno vincoli normativi o sindacali a ciò che viene stabilito per contratto. Un caso particolare può essere rappresentato da datori di lavori che richiedano i precedenti penali degli impiegati – una richiesta ovviamente pertinente all’interesse dell’azienda, ma che rischia di escludere dal lavoro chiunque abbia scontato una condanna non trascurabile. In questo caso si può forse prevedere (almeno in certi casi) un diritto all’oblio, per impedire di aggravare la punizione dei delitti al di là di quanto stabilito dai tribunali.
Più interessanti sono le limitazioni tese a impedire discriminazioni. Abbiamo già visto come la privacy ci protegga dal giudizio che gli altri esprimono in base al loro sistema di valori personali; diventa dunque indispensabile impedire che nella contrattazione (qui, in particolare, di natura economica) sia richiesto l’accesso a informazioni irrilevanti – in base a criteri di razionalità intersoggettiva – ai fini dell’espletamento delle mansioni richieste. L’azienda delle poste non può legittimamente pretendere di conoscere il mio orientamento sessuale, visto che questo non ha conseguenze oggettive sulla mia abilità nel consegnare telegrammi (e ovviamente non mi può rifiutare di assumere o licenziare se scopre comunque che sono omosessuale). Il datore di lavoro deve rinunciare al giudizio moralistico ed essere costretto, per così dire, all’esercizio di una stretta razionalità economica.
È venuto finalmente il momento di applicare questi principi generali al caso che le cronache ci hanno proposto. Allora: è di interesse pubblico o no, sapere che il capo del governo si fa menare per il naso da Emilio Fede e Lele Mora? È di interesse pubblico o no sapere che frequenta abitualmente una compagnia composta da poco raccomandabili ballerini cubani e da prostitute i cui fidanzati scorrazzano su automobili imbottite di droga? Che si pone come «utilizzatore finale», e quindi in quanto tale non perseguibile penalmente, di attività criminose – l’induzione alla prostituzione – di altri? Che sembra dipendente, senza possibilità di controllo, da un certo tipo di svaghi? Che passa le sue notti in attività piuttosto impegnative per una persona della sua età, al punto di non poter presenziare il giorno dopo a una cerimonia funebre di Stato? Qui per «interesse pubblico» non si intende quello – inesistente – ad emettere giudizi di gusto, morale o estetico che sia, ma bensì l’interesse a conoscere se chi ci governa possiede le virtù – nel senso di capacità – del buon capo di governo: la capacità di giudicare gli uomini, l’impegno per la legalità, la forza mentale e fisica, etc. La risposta a queste domande, mi pare, è allora abbastanza scontata; se l’uomo privato non possiede certe qualità, non le possiederà neanche l’uomo pubblico. Attenzione: questo non vuol dire che una volta accertato l’interesse pubblico a sapere sia anche scontato il giudizio finale da emettere su queste circostanze, che andranno considerate nel quadro generale dell’attività del soggetto. Idealmente, questi comportamenti «privati» sarebbero meno importanti, per il nostro giudizio, dell’attività pubblica del Presidente del Consiglio; ma in un’epoca di mancata separazione fra potere politico e mezzi di informazione questi quadretti di vita privata, nella loro immediatezza priva (o quasi) di schermi, possono fornire un correttivo prezioso alla propaganda ufficiale.
Certo, la differenza fra giudizio sulle qualità di comando e giudizio di gusto estetico/morale può essere talvolta sottile, specialmente se il secondo cerca di spacciarsi per il primo: si pensi ai quei politici che hanno tradito i propri coniugi e di cui si è detto, con analogia il più delle volte tirata per i capelli, che avrebbero potuto tradire allo stesso modo anche i propri elettori. Una certa confusione deriva anche dall’abitudine italiana di definire come «questione morale» argomenti che hanno invece in genere rilevanza penale. Ma forse non bisogna diffidare poi troppo della razionalità del pubblico, se in questi giorni proprio coloro dai quali ci si sarebbe aspettato un giudizio più severo sulla «moralità» del premier hanno invece preferito continuare a garantirgli il loro sostegno, in difesa dei propri concreti interessi; il fatto che questi interessi siano in genere a seconda dei casi o ripugnanti o innominabili non cambia, mi pare, il punto.
Tutto ciò vuol forse dire che dovremmo pretendere dai politici una totale trasparenza, anche negli affari più intimi? Che la magistratura dovrebbe avere il permesso di irrompere nelle loro dimore private al minimo sentore di un comportamento inadeguato? Ovviamente no; in questo modo otterremmo il risultato che i soli a presentarsi per concorrere a una carica politica sarebbero i più bigotti e conformisti – e forse neppure loro. Ma le informazioni di cui stiamo parlando non sono state ottenute per dimostrare che S.B. è inadatto a governare, ma bensì nell’ambito di un’inchiesta su fatti di rilevanza penale; e dagli atti di questa inchiesta sarebbe praticamente impossibile espungere tutte le informazioni sui fatti che hanno una rilevanza di altro tipo (e sarebbe ugualmente impossibile, suppongo, tenerle riservate per sempre). La «violazione» della privacy è intrinseca in questo caso all’azione penale, e porta alla luce, come abbiamo visto, fatti di interesse pubblico; non c’è dunque nessuna ragione per condannarla. So bene che secondo alcuni l’inchiesta avrebbe avuto in realtà l’unico scopo di svergognare S.B., e che i reati ipotizzati sarebbero insussistenti; se questo fosse vero, i magistrati dovrebbero essere chiamati a risponderne, ma il principio rimane valido.
In questo lungo discorso ho cercato di mostrare come la vita privata dei politici riguardi – a certe precise condizioni – tutti i cittadini. Va ricordato comunque ancora, al di là di queste considerazioni, che più volte in questa vicenda S.B. è uscito dai limiti della propria sfera privata; come quando una sera ha raccontato a un questore una storia improbabile. Delle due l’una: o il capo del governo credeva veramente a quello che diceva (ma chi se la beve?), e allora è un mentecatto che si fa prendere in giro da una diciassettenne; oppure non ci credeva, e allora ha mentito per ottenerne un vantaggio privato. In entrambi i casi, dimettersi sarebbe l’unica cosa decente da fare. Se questo signore ha ancora il senso della decenza, si intende, e soprattutto se lo ha ancora la maggioranza dei cittadini di questo paese.
giovedì 27 gennaio 2011
Il machiavellismo astuto della Chiesa
Maurizio Mori interviene sui giudizi assai ambigui dati dalle gerarchie ecclesiastiche sull’ultimo scandalo berlusconiano («Ma l’obiettivo della Chiesa non è Berlusconi», L’Unità, 26 gennaio 2011, p. 19):
Con questa equidistanza la chiesa (ufficiale) riconferma il sostegno politico dato a Berlusconi in cambio di leggi ispirate ai valori non-negoziabili. La condotta privata del premier (se confermata: cosa non facile) è deprecabile ma frutto del relativismo che il governo dice di voler combattere. In assenza di alternative migliori, con realismo macchiavellico, la chiesa (ufficiale) si astiene dal giudizio: altro che condanna o spallata!
È vero che per chiudere l’era Berlusconi ci vuole l’apporto di tutti, senza troppe sottigliezze. Ma arruolare la chiesa (ufficiale) non solo comporta una forzatura interpretativa dei testi, ma è un errore culturale perché così facendo si continua ad attribuirle una “autorevolezza morale” che da tempo è svanita. Bisogna riconoscere che la pretesa della chiesa (ufficiale) di imporre per legge i valori non-negoziabili si coniuga con un macchiavellismo astuto generando una miscela fonte della tragedia italiana e che spiana la via all’ormai quasi-ventennio berlusconiano. La ricostruzione morale e materiale che ci aspetta (speriamo presto!) deve guardare all’etica laica, non continuare ad invocare illusori valori non negoziabili validi solo a parole.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 11:37 99 commenti
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mercoledì 3 novembre 2010
Silvio, gli omosessuali e i cavallucci marini
Il titolo dell’articolo può mettere i brividi, ma la lettura del pezzo con cui Melania Rizzoli, «medico e deputato Pdl», difende l’ultima uscita del capo del governo, regala invece alla fine qualche momento di sana allegria («Basta con le solite ipocrisie: tutti preferiamo figli etero», Il Giornale, 3 novembre 2010, p. 3). Qualche esempio a caso:
La frase del premier «meglio essere appassionati di belle ragazze che essere gay», che apparentemente può apparire discriminatoria, è invece per Berlusconi una cosa normale e naturale da dire. Anzi per lui è un inno alla vita. A modo suo certo, ma per uno come lui che ama la vita e la vive così tanto e non ne fa mistero, sarebbe inconcepibile preferire una esistenza sterile, senza lasciare il segno fisico di sé. Non è nella sua natura. Lo ha dimostrato in tutti i modi, lo dimostra ancora oggi e continuerà a farlo.È forse un modo per avvertirci che il prossimo scandalo sarà sui figli segreti di Berlusconi?
Non sarebbe lui altrimenti. Ve lo immaginate un Silvio Berlusconi omosessuale, o che commenti i fatti di questi giorni con un «sarebbe stato meglio per me essere gay che appassionato di belle ragazze»? Sarebbe stato grottesco, finto […].E invece così...
Anzi lui ripete spesso, perché ci crede davvero e questo dobbiamo riconoscerglielo, che il futuro è delle donne. E questa è un’assoluta verità. Per dimostrarlo basta osservare madre natura. Anche nel mondo animale esiste l’omosessualità, in percentuale molto più ridotta di quella umana, ma che sta diminuendo spontaneamente in maniera significativa. Ci sono infatti [corsivo mio, G.R.] diverse specie animali, come per esempio i cavallucci marini o le meduse, che oggi si riproducono già in assenza completa del maschio, considerato il sesso debole e perciò in estinzione, e lo stesso corpo femminile e il suo organo genitale al momento del concepimento si modifica e sostituisce di fatto il ruolo e l’organo maschile […].E quando i maschi si saranno estinti e rimarranno solo le femmine ci sarà, uhm, la fine dell’omosessualità?
È ancora teoria, certo, ma non così teorica.O un’ipotesi non tanto ipotetica...
(Grazie a Massimo Redaelli.)
Postato da Giuseppe Regalzi alle 20:50 18 commenti
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mercoledì 23 dicembre 2009
Il perdono
"Perdono Tartaglia, purché i magistrati lo giudichino per ciò che ha fatto". Alle stesse condizioni perdonerei anche Berlusconi. [f. cocco]
Spinoza.it
(In effetti non ci dormivamo la notte).
lunedì 14 dicembre 2009
Una occasione mancata: il silenzio
giovedì 5 novembre 2009
lunedì 7 settembre 2009
È chiaro chi perderà
Chiara Saraceno, «Il Grande Scambio sui diritti civili», La Repubblica, 7 settembre 2009, p. 1:
Non è chiaro chi uscirà vincitore dalla complessa partita che si sta giocando nel rapporto Stato (o meglio governo) e Chiesa cattolica in queste settimane, tra minacce, aggressioni, ricatti e promesse. I giocatori sono troppi, ciascuno con un suo interesse e motivazione specifica.
Berlusconi vuole mettere una pietra tombale su ogni critica non tanto ai suoi comportamenti privati, quanto alla sua disinvolta confusione tra pubblico e privato, in questioni che riguardano sesso, ospitalità, candidature e incarichi politici, affari. Perciò, così come è disposto ad usare ogni mezzo, pubblico e privato, per mettere a tacere chi lo critica, è anche disposto ad utilizzare il proprio ruolo pubblico per offrire in cambio alla Chiesa il potere di regolare le scelte private dei cittadini sulle questioni che ad essa stanno più a cuore.
[…] come ha chiarito a suo tempo Ruini ed è continuamente ripetuto in queste settimane, la Chiesa è interessata non ai comportamenti privati dei politici ma alle loro azioni politiche nei settori che le stanno a cuore. Se non è chiaro chi e come vincerà, è chiaro chi perderà: noi cittadini. Perché la merce che i nostri governanti (e coloro che aspirano a sostituirli) sono disposti a scambiare in cambio della benevolenza della Chiesa è la nostra libertà non solo di opinione, ma di comportamento su questioni rilevanti per la nostra vita e per il senso che le attribuiamo: che tipo di coppia fare, se e quando fare figli e se accettare di portare a termine una gravidanza non desiderata, come essere curati e come essere accompagnati alla morte (ovvero lasciati andare) quando ogni cura non è più possibile. Lo scambio cui tutti questi attori si accingono non è solo l’importantissima libertà di stampa e di opinione. È il fondamento stesso di ogni diritto civile: l’habeas corpus e il diritto di poter dire e decidere su di sé.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 10:03 5 commenti
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giovedì 4 giugno 2009
martedì 13 gennaio 2009
giovedì 27 novembre 2008
venerdì 7 novembre 2008
Sorry, Mr. President. I am not Silvio Berlusconi
Avesse detto sporco negro sarebbe stato almeno cattivo.
Avesse taciuto non sarebbe (stato) quel coglione che è.
Disarmante nella sua mediocrità e assenza di ironia, se mi querela mi ha frainteso. Voleva essere una carineria.
Una buona causa su FB.
ps
giovedì 6 novembre 2008
A, A, Abbronzatissima (o: Even Tanned)
Si può chiedere asilo politico? O rifiutare la cittadinanza italiana?
Domani tanto smentisce. Non lo abbiamo capito. Su questo ha ragione.
Postato da Chiara Lalli alle 23:58 2 commenti
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domenica 7 settembre 2008
Quest’uomo ha un gran senso dell’umorismo...
Titolo: Papa: “Serve una nuova generazione di politici cattolici”, (la Stampa, 7 settembre 2008).
Sottotitolo: Benedetto XVI ha esortato la Chiesa e i cattolici a tornare ad «essere capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica».
CAGLIARIE chi ci stava in tribuna d’onore?
Il cristianesimo arrivi nelle famiglie, «cellule della società», ai giovani, «assetati di verità e di ideali proprio quando sembrano negarli», così come «il mondo del lavoro, dell’economia, della politica», che ha bisogno di «una nuova generazione di laici cristiani» che abbiano «rigore morale» e «competenza»: è l’auspicio espresso da Benedetto XVI nel corso di una messa celebrata di fronte a centomila fedeli a Cagliari in occasione del centenario della proclamazione della Madonna come patrona della Sardegna.
Postato da Chiara Lalli alle 13:39 4 commenti
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giovedì 7 agosto 2008
lunedì 23 giugno 2008
Sicurezza matematica (o della esuberanza)
Lo dico a tutto tondo, con sicurezza matematica, senza paura di essere smentito: Silvio Berlusconi è uomo di grande fede e profondità religiosa. [...] Lui ritiene la vita e l’educazione cristiana come cardine del fare. Un elemento irrinunciabile che però si deve confrontare con il moderno e tutte le sue sfaccettature.(Don Antonio Zuliani su Silvio Berlusconi, Il confessore di Silvio: soffrì, poi rinunciò alla Sacra Rota, Il Corriere della Sera, 23 giugno 2008, di Marco Cremonesi che domanda della galanteria e della presunta aggressività del cavaliere, ma si guarda bene dal fare vere domande. Amen).
[Alla domanda sul suo fare da piacione] È galanteria. Esuberanza. Non c’è nient’altro.
venerdì 6 giugno 2008
Non può che compiacere
Silvio Berlusconi ha dichiarato:
crediamo nei valori di solidarietà, giustizia, tolleranza, rispetto e amore dei più deboli. Siamo sullo stesso piano su cui opera la Chiesa da sempre.Quanta ipocrisia, quante bugie in sole due righe!
martedì 20 maggio 2008
‘Brutta e povera Italia’
Così si intitola il pezzo scritto sul domenicale de El País (18 maggio 2008) da Javier Marías.
Da vergognarsi (se fosse rimasto spazio).
Pero la palma en esto* se la llevan los políticos italianos que acaban de vencer en las recientes elecciones, los muy palurdos Berlusconi y Bossi. De sus dos anteriores etapas al frente del Gobierno –es deprimente que un país exquisito en tantos aspectos haya votado a semejante hortera ¡por tercera vez!–, del primero se conocen ya toda suerte de chascarrillos sin gracia y de mal gusto. El segundo no tiene reparo en hablar de fusiles calientes para combatir, cañonazos para las pateras y recurrir a otras metáforas bélicas –bueno, esperemos que sólo sean metáforas, que no lo sé–. El casi octogenario alcalde de Treviso, Gentilini, no tiene inconveniente en mostrarse orgulloso de lo que aprendió de la “mística fascista” y aplicarlo: el fascismo de Mussolini, aquel aliado de Hitler, aquel dictador que llevó a Italia al hundimiento. Y el nuevo alcalde de Roma, Alemano, no se corta a la hora de manifestar que no soporta a los gitanos y que va a arrasar sus campamentos por las buenas. (Corsivo mio)*Se non fosse chiaro [esto] non è nulla di lusinghiero...
ps
Mi incornicio la copia a me dedicata di Tutte le anime (perché non lo avevo ancora fatto?).
Postato da Chiara Lalli alle 19:57 17 commenti
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