È inutile: quando si tratta di omosessualità, le gerarchie vaticane e i loro alfieri non riescono a intendere le definizioni più elementari. L’ultimo esempio di una lunga serie ci viene dato da Francesco D’Agostino su Avvenire di oggi («Una buona causa non si serve di argomenti pessimi», 3 dicembre 2008, p. 1). A proposito della dichiarazione per la depenalizzazione dell’omosessualità, ecco cosa scrive:
[Alla campagna contro la pena capitale per gli omosessuali] invece si è addebitata anche (o principalmente? il dubbio è legittimo) la funzione di far fare un passo avanti alla teoria del ‘genere’: i veri diritti da riconoscere agli omosessuali non sarebbero quelli che doverosamente vanno riconosciuti a tutti gli esseri umani, ma i particolarissimi diritti del ‘genere’.Fare ordine in questo groviglio di confusioni ed equivoci è arduo, ma proviamoci.
Ciò che si vuole, in buona sostanza, è portare avanti, fino alla definitiva legittimazione, e ai massimi livelli della comunità internazionale, l’idea secondo la quale l’identità sessuale non è un dato biologico, ma il prodotto di scelte personali, individuali, insindacabili e soprattutto meritevoli di riconoscimento e tutela pubblica (in questo appunto si sostanzia la pretesa del riconoscimento del matrimonio tra omosessuali).
D’Agostino sta confondendo ben tre concetti differenti: l’orientamento sessuale, cioè il genere (maschio o femmina) verso cui una persona prova attrazione fisica; l’identità di genere, il genere in cui una persona identifica nella propria mente se stessa; l’identità sessuale, il genere biologico a cui una persona appartiene. Per omosessuale si intende dunque una persona il cui orientamento sessuale la porta a provare attrazione per un individuo del suo stesso genere biologico; ma questo non significa affatto – almeno, non necessariamente – che quella persona debba anche avere un’identità di genere che non coincide con il proprio genere biologico. Detto più semplicemente: un omosessuale maschio sarà attratto dagli uomini, ma in generale sentirà di appartenere al genere maschile, non a quello femminile; un’omosessuale femmina proverà attrazione per le donne, ma in generale percepirà se stessa come donna, non come uomo. L’omosessualità riguarda dunque primariamente l’orientamento sessuale, e non altro.
Un’ulteriore confusione del discorso di D’Agostino è il richiamo alle cosiddette teorie del gender (nate nell’ambiente filosofico post-modernistico), che sostengono che sono solo i fattori socio-culturali e non quelli biologici a determinare il cosiddetto ruolo di genere (non, come crede D’Agostino, l’identità sessuale!), cioè l'insieme di comportamenti e atteggiamenti che definiamo tipicamente maschili o femminili. La rivendicazione del matrimonio omosessuale si fonda su queste teorie (sostenute da una minuscola frazione del mondo intellettuale)? Ovviamente no: se gli omosessuali chiedono di avere il diritto di sposarsi lo fanno in base all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, che è già sancita dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e che non ha bisogno di essere ribadita da una risoluzione dell’Onu, il cui obiettivo in questo caso è peraltro del tutto diverso.
La confusione di D’Agostino ha tutta l’aria di essere colposa piuttosto che dolosa; ma di certo consente all’illustre studioso di presentare le rivendicazioni degli omosessuali come derivate da bizzarre teorie, e peggio ancora come se essi esigessero «particolarissimi diritti»: una richiesta di privilegi, e non di un diritto di cui tutti gli altri cittadini godono.
1 commento:
http://www.youtube.com/watch?v=Pvfexvihri8
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