E, soprattutto, delle risposte ancora più scomode (Anna Meldolesi, Infermiere bulgare, lite franco-tedesca, Il Riformista, 25 luglio 2007):
Di chi è il merito della liberazione delle cinque infermiere e del medico? Chi ha pagato per il cospicuo fondo che risarcisce le famiglie dei 438 bambini contagiati nell’ospedale di Bengasi? Che gioco ha giocato Gheddafi in questi otto anni di detenzione e processi farsa a carico dei sei operatori sanitari? Ora che è finito l’incubo e i protagonisti di questa storia di straordinaria follia sono atterrati finalmente a Sofia, per essere subito graziati dal presidente Georgi Parvanov, è l’ora delle domande scomode.
La versione ufficiale è affidata alle parole pronunciate dal primo ministro Sergei Stanishev all’aeroporto: “Questo è il risultato diretto del nostro ingresso nell’Unione Europea, della solidarietà che l’Ue ha dimostrato nei confronti della Bulgaria”. Ma le polemiche divampate intorno a Nicolas Sarkozy e signora non si spegneranno tanto facilmente: la coppia presidenziale ha sbloccato l’impasse o ha soltanto tenuto la scena approfittando di una vicenda dal lieto fine già scritto? Non ha dubbi Der Spiegel, che il 23 luglio ha pubblicato un articolo ricco di indiscrezioni, eloquentemente titolato “Come l’Unione Europea e la diplomazia tedesca hanno contribuito a salvare le infermiere bulgare”. Secondo la testata, che ha raccolto gli sfoghi off the record dei negoziatori di Bruxelles e Berlino, la vera svolta arriva il 12 giugno, in una trattativa a quattro che impegna il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, il commissario europeo per le relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner, il figlio di Gheddafi Saif al-Islam e l’ex premier libico Abdul Ati al-Obeidi. La certezza che i patti sarebbero stati rispettati sopraggiunge il 13 luglio, nella solita tenda della base militare di Tripoli. Qui Gheddafi, dopo aver ascoltato l’erede designato e altri stretti consiglieri, proclama: “Fratelli, mi avete convinto. La morte delle infermiere sarebbe come quella dei bambini”. Detto fatto: il 17 il Consiglio supremo commuta la pena capitale in ergastolo, ben sapendo che l’accordo di estradizione tra Libia e Bulgaria avrebbe significato la liberazione dei condannati. Ma poi, sostiene Der Spiegel, la Francia si mette di mezzo e rischia di mandare tutto per aria. Mentre la Germania aveva costruito con pazienza e discrezione la sua tela diplomatica durante la sua presidenza dell’Unione, Cécilia vola platealmente a Tripoli offrendo aiuti francesi per modernizzare un altro ospedale e Nicolas annuncia un’imminente trasferta per rafforzare i rapporti tra Libia ed Europa. Steinmeier non è soltanto irritato per quello che il giornale tedesco descrive come uno scippo, teme anche che la Francia abbia servito al regime nuove carte riaprendo la partita. Quindi avverte il giovane Gheddafi che i giochi ormai sono chiusi e qualsiasi altra iniziativa dovrà essere discussa nel contesto dei futuri progetti comunitari per lo sviluppo. L’Eliseo comunque non desiste: Cécilia torna a Tripoli e l’aereo presidenziale francese se ne riparte carico di gloria: a bordo ci sono i sei operatori sanitari pronti per il commovente, attesissimo, ritorno in patria. Si tratta di una ricostruzione credibile? Probabilmente sì, in buona parte, ma vale la pena di aggiungere una postilla: Sarkozy è entrato con passo da elefante in una cristalleria, ma per troppo tempo in quella cristalleria non era voluto entrare nessuno. I viaggi e le telefonate eccellenti da parte dei governi occidentali, infatti, si sono intensificati solo dopo la seconda condanna a morte alla fine del 2006, quando i sei innocenti erano in carcere da quasi 8 anni.
Che ruolo ha avuto il regime di Tripoli in tutto questo tempo? Chi sostiene che si è trattato di un rapimento a scopo di estorsione o del divertimento sadico di un tiranno imprevedibile coglie solo una parte della verità. Gheddafi ha usato la vita delle infermiere per rafforzare il suo regime, ma poi potrebbe essere rimasto vittima della sua stessa trappola. Inizialmente accusava anche Cia e Mossad di aver tramato con le infermiere, poi quando i rapporti con gli Usa hanno iniziato a normalizzarsi nel 2002 ha cambiato tattica. Comunque ha continuato a usare il caso per cercare di recuperare i milioni di dollari versati per la strage di Lockerbie, ha persino accarezzato l’idea di uno scambio di prigionieri con l’agente libico implicato nell’attentato. Ma tra gli scienziati italiani che hanno avuto contatti con la Fondazione Gheddafi, c’è chi crede che a un certo punto la situazione si sia ribaltata. Liberare i sei capri espiatori avrebbe significato ammettere le colpe del governo nell’epidemia ed esporre il regime alle ire delle opposizioni interne e dei fanatici religiosi. Bisognava trovare una via di uscita di basso profilo, che raccogliesse il consenso delle famiglie delle vittime. Il fondo gestito dalla Fondazione Gheddafi è servito allo scopo, ma chi ha messo i soldi? Sappiamo che la Bulgaria ha azzerato il debito di Tripoli e questa somma, pari a 44 milioni di euro, è stata fornita dalla Banca nazionale libica. Altre piccole donazioni sono arrivate da una dozzina di paesi, mentre l’Ue ha offerto 9,5 milioni per usi specifici come le attrezzature di laboratorio. In questo modo Bruxelles e Sofia possono dire di non aver pagato alcun riscatto, mentre Tripoli può sostenere che i soldi hanno una provenienza mista, privata e governativa, libica e internazionale. Ma la verità, secondo Der Spiegel, è che la somma necessaria per versare 724.000 euro a ogni famiglia viene in gran parte dalle casse dello stato libico. Se questo è un riscatto, a pagarlo è stato lo stesso regime per salvare se stesso.
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