Domani a Bologna ci sarà la manifestazione organizzata dalla Coldiretti per difendere l’agricoltura libera da OGM. Per protestare in stile patriottico e con ragioni sufficientemente irrazionali.
Il Presidente Sergio Marini ha affermato (Domani, “Giù le mani dalla qualità italiana”, News Italia Press, 10 luglio 2007): “La nostra è una scelta economica a difesa delle imprese messe a rischio dalle decisioni del Ministro delle Politiche Agricole Paolo De Castro che per la responsabilità che gli compete dovrebbe ben conoscere la scelta irrinunciabile dell’autonomia dai partiti fatta dalla Coldiretti. Proprio per questo abbiamo programmato incontri con tutti i segretari di partito e vertici istituzionali per spiegare i motivi della nostra manifestazione”.
E la Coldiretti aggiunge: “Nella capitale dell’agroalimentare italiano gli agricoltori insieme a cittadini, mamme, giovani e studenti manifesteranno contro il tentativo di standardizzare e omologare verso il basso la qualità dell’agricoltura italiana per asservirla ad un modello di sviluppo produttivistico, contrario all’interesse delle imprese, dell’ambiente e dei consumatori”.
Ci si sono messi pure due chef con la battaglia del parmigiano reggiano OGM free (Grandi chef in prima fila a sostegno del parmigiano OGM free, Greenplanet.net, 10 luglio 2007).
Anna Meldolesi offre interessanti spunti per riflettere sulla questione prima di mettersi ad urlare come un cane pavloviano: “Via gli OGM! Via gli OGM dalla nostra Italia!” (La Coldiretti attacca gli Ogm ma trascura il nostro mais, Il Riformista, 7 luglio 2007):
«Ministro, giù le mani dalla qualità italiana». Con questo slogan l’11 luglio la Coldiretti marcerà a Bologna, accusando Paolo De Castro di alto tradimento nei confronti del tipico italiano. Gli organizzatori cercano una prova di forza, per affermarsi come interlocutori privilegiati del dicastero dell’Agricoltura, ma alla fine della fiera potrebbero anche restare delusi. In difesa di De Castro è scesa in campo la comunità scientifica, mentre il fronte degli alleati tradizionali di Coldiretti mostra qualche crepa. Dagli ambientalisti di Verdi e Margherita sono arrivati inviti alla moderazione, e anche nel comparto agricolo e alimentare in pochi sembrano disposti a seguire Coldiretti imbracciando ortaggi biologici come fossero baionette. Il principale capo d’imputazione è la disponibilità mostrata da De Castro a riavviare le sperimentazioni pubbliche con Ogm bloccate da anni a causa delle politiche ostruzioniste del tandem Pecoraro-Alemanno. Ma l’accusa mossa da Coldiretti sembra strumentale. «Questi studi vengono condotti ovunque in Europa, non pongono problemi di biosicurezza e sono stati approvati dalla commissione interministeriale competente», spiega Roberto Defez. Il ricercatore del Cnr di Napoli oggi è tra i promotori di un documento che raccoglie firme nei laboratori per sostenere De Castro e nel 2001 ha animato le prime manifestazioni pro Ogm dei camici bianchi. «Esistono regole chiare a livello europeo e nazionale, l’attuale ministro dell’Agricoltura si sta limitando ad applicarle», sostiene Defez. Parallelamente l’associazione Galileo 2001 ha scritto una lettera a Napolitano per chiedere che anche per gli Ogm siano rispettati gli articoli 9 e 10 della Costituzione, sulla tutela della libertà di ricerca e sul rispetto del diritto internazionale. La stessa organizzazione ha già sollecitato un intervento della Commissione europea affinché l’Italia applichi finalmente le regole comunitarie sulla sperimentazione con piante transgeniche. Mentre l’associazione di agricoltori probiotech Futuragra ha chiesto a Bruxelles di avviare una procedura d’infrazione contro il nostro paese con l’obiettivo di garantire anche ai coltivatori italiani la libertà di scegliere quali sementi piantare, come già accade in Spagna, Portogallo, Francia, Germania, Repubblica Ceca. Coldiretti si vanta di essere il più grande sindacato del settore in Europa, ma c’è da dubitare che i suoi iscritti siano tutti agricoltori attivi. I critici, anzi, rilevano che rappresenta la parte meno imprenditoriale dell’agricoltura italiana, dominata dagli over 50, caratterizzata in media da ettaraggi ridotti e intrappolata nella vecchia logica dei sussidi. Questa filosofia da agriturismo finora ha trovato sponde nel mondo politico e sui media, ma può bastare per garantire un futuro all’agricoltura italiana? La risposta diventa un secco no se questa domanda viene rivolta ai maiscoltori, sulla cui testa pende la spada di Damocle delle nuove soglie europee per la contaminazione con micotossine. «La Piana del Po ha una tradizione gloriosa, il Friuli detiene addirittura il record mondiale di resa per ettaro», spiega Norberto Pogna dell’Istituto di cerealicoltura. Ma per ragioni climatiche la nostra corn belt è anche il paradiso della piralide e dei funghi che producono le fumonisine. «Già a basse dosi queste micotossine danneggiano il fegato, mentre gli esperimenti su cavie e i dati epidemiologici indicano che a concentrazioni maggiori possono avere effetti cancerogeni e teratogeni», aggiunge Amedeo Pietri dell’Università Cattolica di Piacenza. Il regolamento europeo 1881, che entrerà in vigore in ottobre, fissa un tetto di 2 mila microgrammi di fumonisine per chilo di mais non lavorato, ma in seguito alle pressioni dell’Italia il limite potrebbe essere raddoppiato. «Il voto a Bruxelles sarà il 20 luglio, ma anche così metà della produzione italiana sarebbe fuorilegge per il consumo umano», avverte Enrico Costa dell’Associazione raccoglitori, essiccatori e stoccatori. Già adesso alcuni mulini hanno iniziato a importare mais estero per non mettere a rischio l’esportazione nel centro e del nord Europa. Il nostro contenuto medio di fumonisine è tra i 5 mila e i 10 mila microgrammi per chilo a seconda delle annate, perciò il presidente dell’Associazione maiscoltori Marco Aurelio Pasti teme che ci troveremo presto in difficoltà anche per i mangimi. Se nei prossimi anni diventeranno vincolanti anche le indicazioni europee per uso zootecnico, parte del nostro mais potrebbe non andare bene neppure per i maiali. E lo diciamo con tutto il rispetto possibile, visto che proprio da questi animali derivano alcuni dei nostri prodotti alimentari di bandiera. Insomma, mentre Greenpeace si preoccupa delle mucche del Parmigiano Reggiano che, come tutti i bovini europei mangiano soia Ogm, le fumonisine si rivelano la vera minaccia per il nostro export e per la nostra salute. Per ironia della sorte il mais Ogm potrebbe aiutarci a risolvere il problema. La piralide ogni anno causa danni per 170 milioni di euro a livello nazionale ma le varietà Bt sono resistenti all’attacco di questo insetto. Consentono di ridurre l’uso di prodotti chimici e contengono da 3 a 9 volte meno fumonisine del mais tradizionale. Non è un caso che il mais Bt stia conquistando superfici crescenti persino nella roccaforte dello sciovinismo alimentare, la Francia. Una domanda, insomma, sorge spontanea: perché oltre a pensare ai prodotti di nicchia, Coldiretti non si preoccupa di dare un futuro di qualità al milione e trecentomila ettari coltivati a mais in Italia?
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