Al paziente l’ultima parola, Caffè Europa, 326, 07.08.07 (25 luglio 2007):
Nel settembre 2006 Piergiorgio Welby ha inviato un messaggio pubblico chiedendo di morire. A dicembre Mario Riccio lo ha sedato e ha scollegato il ventilatore meccanico che simulava il suo respiro. L’autopsia ha confermato che Welby è morto in seguito ad arresto respiratorio e non alla somministrazione del sedativo. L’8 giugno il giudice Renato Laviola ha rifiutato l’archiviazione e ha delineato una ipotesi di reato che prevede dai 6 ai 15 anni di reclusione: omicidio del consenziente (Articolo 579 del Codice Penale).
Il 23 luglio il giudice Zaira Secchi ha ascoltato Mina Welby, e ha definito la richiesta di Welby legittima e il comportamento di Riccio l’adempimento di un preciso dovere medico: rispettare le volontà del paziente.
Si conclude così la vicenda di Welby, ma la sua battaglia è solo all’inizio.
Mina, il giudice ha stabilito che non si tratta di omicidio del consenziente, ma di doveroso comportamento medico. Un abisso che rischiava di essere cancellato dall’ordinanza di Laviola, insieme all’autodeterminazione del paziente e alle fondamenta del consenso informato. Qual è l’importanza della decisione di Secchi?
La conferma della legittimità della libera scelta delle persone: l’ultima parola è quella del paziente. (Ho la sensazione che Piero sia resuscitato!) Non può essere un’altra persona che decide, gli altri possono solo consigliare, non imporre. Oltre Piero, riguarda tutte le persone che si trovano in condizioni simili – un pensiero speciale va a Giovanni Nuvoli: mi dispiace moltissimo che abbia dovuto lasciare questa vita con un senso di abbandono e non di aiuto e vicinanza da parte delle istituzioni.
Se fosse andata diversamente ero pronta ad essere processata anch’io. Perché sono complice della richiesta di Piero, ho permesso che il medico venisse a casa, che lo sedasse. Come moglie ho aperto la porta, e avrei potuto invece chiamare le forze dell’ordine. Così come la sorella Carla, Marco Cappato, Marco Pannella. Tutti saremmo stati correi di omicidio del consenziente.
Riccio non è di certo l’unico responsabile, lo siamo tutti noi, e non solo moralmente. È quanto abbiamo scritto io e Carla Welby in una memoria inviata a Laviola: siamo colpevoli anche noi.
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