venerdì 13 luglio 2007

Venire al mondo 1 (ovvero, più che Lucetta, Buietta)

È uscito il terzo quaderno di Scienza&Vita (qui ci eravamo barcamenati sul primo, Né accanimento né eutanasia, con tanto di accenti sbagliati: Nè accanimento, nè eutanasia, ma insomma è il contenuto che conta no?)
Anche stavolta è una pregevole antologia di scritti. E anche stavolta saranno affrontati i singoli interventi (forse non tutti, forse nemmeno un altro dopo questo), se e quando le forze ci sosterranno.
Si comincia proprio dall’inizio, dall’introduzione di Lucetta Scaraffia che in cotanto modo avvia (introduce, letteralmente) il quaderno:

Venire al mondo oggi non è un evento scontato, il cui buon esito dipende solo dalla salute della madre e del bambino. Il mondo in cui il piccolo nato deve entrare, oggi, lo può infatti rifiutare: perché è stato concepito nel momento “sbagliato”, o in una situazione “sbagliata”, oppure perché non “è venuto bene” ed è un “prodotto difettoso”.
Colpisce questa nostalgica rievocazione di una età dell’oro (anche qui, se non sbaglio era usata anche in materia di morte), magari mai esistita, questa ingenua idea che un tempo i bambini fossero accolti in un modo e in un mondo migliori, dimenticando che fino a pochi decenni or sono l’infanzia non aveva poi molta importanza, almeno nei suoi singoli costituenti. E invece per Scaraffia il male si concentra nei giorni attuali, ove la maternità è sottratta alla società per diventare esperienza personale (lo dice poche righe più giù: “un fatto squisitamente privato” – e che cosa ci sarebbe di male in questo?). Dove la scelta di interrompere una gravidanza di un feto malato è interpretata solo come egoismo, rifiuto della invisibile e sciocca imperfezione estetica. Non ci si sofferma nemmeno per due parole a pensare dal punto di vista del nascituro e della sua esistenza. Liquidando il discorso sul migliore interesse del nascituro come un pretesto per liberarsi di un sasso nella scarpa.
Quindi è la madre che, su informazione e consiglio dei medici, decide se accogliere il nuovo nato o rifiutarlo.
E che cosa bisognerebbe fare, una votazione nella pubblica piazza?
In altri tempi chi decideva (sebbene con minore o quasi nessuna consapevolezza)? Viene da rispondere: sempre la madre. Perché è lei a portare avanti una gravidanza, e da lei ne dipende l’esito.
Colpisce poi la connessione logica. La decisione della madre (premessa), la medicalizzazione della gravidanza (conclusione). Qui non si sta difendendo la medicalizzazione, ma contestando il fatto che sia un risultato del protagonismo decisionale della madre. Anche perché se fosse la donna a decidere consapevolmente di medicalizzare la propria gravidanza, non potremmo che rispettare la sua scelta. Il guaio è che spesso ciò avvenga non per sua scelta, e spesso per ragioni economiche. E questa è un’altra storia.
Proprio per questo la gravidanza e il parto hanno assunto una dimensione di medicalizzazione esasperata, in cui l’attesa non è rivolta a un figlio, ma al “figlio desiderato”, che quindi non solo deve nascere al momento voluto, ma anche corrispondere alle aspettative di chi l’ha voluto.
Da qui si avvia un ragionamento squassato dai non sequitur e dalle affermazioni quantomeno bizzarre. Per far esistere il “figlio desiderato” bisogna creare il “figlio rifiutato” (la citazione di Marcel Gauchet è usata come una clava, come principio di autorità; per questo la ignoro).
L’aborto, più ancora della contraccezione, garantisce la possibilità che nascano solo “figli desiderati” nel momento desiderato, mentre la diagnosi prenatale serve anche a eliminare i bambini malati, imperfetti, quelli che non corrispondono al desiderio.
Ancora nemmeno una parola sulle esistenze di questi figli imperfetti, che hanno malattie gravissime di cui forse Scaraffia non conosce nemmeno il nome. Altrimenti non parlerebbe di bambini imperfetti, ma di bambini disgraziati. E poi, soprattutto, non parlerebbe di bambini: la diagnosi prenatale si compie sugli embrioni e sui feti (quella di preimpianto su organismi di poche cellule, ma è roba da nazisti!). I bambini si portano dal pediatra, non si sottopongono a diagnosi prenatali.
il nostro venire al mondo e il nostro essere riconosciuti come esseri umani sono diventati dubbi e la nostra stessa appartenenza al genere umano è discussa.
Non capisce o fa finta? La nostra appartenenza al genere umano non è messa in dubbio. No. La nostra titolarità di diritti fondamentali viene discussa. La distinzione tra essere umano e persona, che è quella che permette l’espianto di organi (chi direbbe che colui da cui si espiantano gli organi non sia più un essere umano? Solo uno scriteriato. Forse Luca Volontè).
il diritto per ogni essere umano di venire al mondo.
Se tale diritto fosse sancito, le conseguenze sarebbero molto gravi. E si chiamerebbero criminalizzazione della gravidanza (ogni gesto, ogni comportamento di una donna incinta è potenzialmente lesivo del “diritto di ogni essere umano di venire al mondo”). Non parliamo della possibilità legale di interrompere una gravidanza. Ma poi anche di ricorrere alla contraccezione o di non passare tutto il giorno a praticare attività riproduttive. Se ogni essere umano ha il diritto di venire al mondo, ce l’ha anche l’essere umano non ancora concepito. Quello potenziale. Quello omesso da un mancato rapporto sessuale o da una pillola contraccettiva.
E ci pongono di fronte a un problema morale cruciale: è giusto impedire la venuta al mondo di neonati malati, di esseri umani dei quali si può fondatamente ipotizzare una cattiva “qualità della vita” futura? Naturalmente, noi rispondiamo che non esiste vita “indegna di essere vissuta”, e che a questo si dovrebbero ispirare i medici che devono intervenire nelle situazioni controverse. Ma senza cadere nell’errore opposto, quello che possiamo chiamare “accanimento terapeutico”.
La diagnosi prenatale, da strumento prezioso per prevenire e guarire malattie, si può trasformare in elemento disumanizzante della gravidanza (Duden) o in strumento di selezione (Romano, Di Pietro e Serebovska, Noia).
Naturalmente. Se non esistesse una vita indegna di essere vissuta, l’accanimento terapeutico non esisterebbe. Forse bisognerebbe prendere una decisione, e poi cercare di essere coerenti. Aspettiamo con ansia le trattazioni specifiche così come preannunciato da Scaraffia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Speriamo di avere presto gente "illuminata" come in Corea del Sud dove un feto diventa "essere umano" solo alle doglie! Basta con questa dittatura dell'embrione e del feto!