martedì 3 luglio 2007

Intanto all’estero

Prelevato. Maturato in laboratorio. Vetrificato. Scongelato. Fecondato. Impiantato nell’utero di una donna. E capace di dar luogo a una nuova vita. Per la prima volta al mondo un bambino è nato sano da un ovulo così manipolato in laboratorio: la nuova frontiera della fecondazione in vitro è stata raggiunta da ricercatori canadesi dell’Università di Montreal e potrà rappresentare una soluzione per le donne con tumore che desiderano conservare la capacità di procreare. Per ora, come hanno raccontato gli specialisti canadesi a Lione, dove è in corso il 23mo meeting annuale dell’European Society of Human Reproduction la procedura è stata usata su quattro donne affette da sindrome dell’ovaio policistico: una ha già partorito, altre tre hanno in corso la gravidanza.
Continua (Nasce da un ovulo maturato in vitro, Il Corriere della Sera, 2 luglio 2007).

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Tanto diverso da quello che fa la famigerata Porcu a Bologna?

Anonimo ha detto...

Da un punto di vista concettuale, la differenza è di proporzioni siderali.
Come già detto pochi giorni addietro "se può essere accettabile una sperimentazione rivolta al miglioramento di questa metodica (il congelamento degli ovociti, NdR) col preciso scopo di creare scorte ovocitarie per donne destinate alla chemioterapia antitumorale, quindi per pazienti obiettivamente prive di alternative, il condannare ad una simile sperimentazione delle donne che, appena fuori dal confine, potrebbero contare su una metodica ormai sperimentata e di sicura efficacia quale la crioconservazione degli embrioni diventa un esercizio degno del peggior Mengele."
In altri termini, nell'attesa di scoprire quale efficacia potrà essere raggiunta in futuro da queste metodiche che tanto solleticano l'immaginario degli ultras cattolici afflitti dal totem della sacralità dell'embrione, l'obbligare adesso a questa sperimentazione, per motivi ideologici, delle pazienti che potrebbero invece usufruire di una tecnica ben collaudata quale la crioconservazione degli embrioni costituisce un atto immorale.
Perchè impedisce loro di ricorrere alle migliori cure possibili e disponibili, come è nel diritto di ogni paziente.

Anonimo ha detto...

Scusi, ma una tecnica che ha un fallimento del 70% circa dei trattamenti non è già mengeliana?

Chiara Lalli ha detto...

Non direi che la percentuale di una tecnica sia indicativa rispetto all'essero o no "mengeliana".
Il punto è, come diceva Filippo, la sacralità dell'embrione.
Partiti da qui è immorale produrre embrioni, sperimentare e così via.
Io però ho una domanda (per Gelsomina): tu giudichi la legge 40 una buona legge? (Non è una domanda polemica, voglio solo capire se partendo dalle tue premesse la giudichi una legge moralmente accettabile).

Anonimo ha detto...

A giudicare dalla fatuità di questa affermazione sul 70% di insuccessi nella PMA, percentuale che comunque non è certo migliorata dopo l'introduzione della legge 40, diventa interessante anche chiedere cosa ne pensa della fecondazione assistita in genere questa nostra nuova amica che, in mancanza di meglio, si sofferma sui numeri invece che sulla realtà di coppie sterili vilipese nei loro diritti di ammalati da una legge che le priva delle migliori cure disponibili (o delle meno inefficaci, questione di punti di vista) condannandole, qui in Italia e solo in Italia, alla forzatura di sperimentazioni, in ottica PMA, rese necessarie non già da motivi tecnici ma da imposizioni dogmaticamente ideologiche.
E' noto che i capibastone vaticani si sono già pronunciati sull'argomento, bollando la fecondazione assistita come "intrinsecamente immorale". Questa sciocca frase sulle percentuali di successo della PMA vuole forse sottintendere, nel pensiero di questa cosiddetta interlocutrice, che mengeliana sarebbe la procreazione assistita nel suo insieme? Sarebbe comunque in linea con quanto affermato autorevolmente dal mentecattume cattolico ai suoi massimi livelli di pensiero...