sabato 15 novembre 2008

Ma c’è chi non si rassegna

Su Avvenire di ieri un’intervista al professor Giuliano Dolce (che i lettori di Bioetica già conoscono) ci rivela che qualcuno ancora non si è rassegnato a che i diritti di Eluana Englaro vengano infine rispettati. Afferma infatti Dolce («“Scelta pilatesca delle toghe faremo ricorso a Strasburgo”», 14 novembre 2008, p. 3):

Siccome si dice che andrà all’ospedale civile di Udine, in Friuli, mi risulta che una struttura pubblica non possa ospitare una persona, un cittadino della Repubblica, per farla morire anziché curarla. Quindi, sono intenzionato a denunciare i sanitari e i dirigenti che permetteranno che la donna muoia. E non è l’unica cosa che faremo.

Quali altre iniziative avete progettato?
Oggi stesso presenteremo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. Oltre all’associazione Vive, abbiamo il sostegno di 33 realtà tra cui la Federazione nazionale trauma cranico. Abbiamo qualche speranza, i requisiti per accogliere d’urgenza il ricorso ci sono tutti. Non ci illudiamo, ma la Corte europea potrebbe ancora fermare tutto e riaffermare il diritto di questa donna ad essere nutrita.

Su cosa si fonda il ricorso?
Noi rappresentiamo chi si prende cura dei 30 mila pazienti in stato vegetativo e riteniamo che con la sentenza di ieri l’Italia abbia violato diversi trattati internazionali. Uno su tutti, la Convenzione Onu sulla disabilità del 2006. Eluana dal punto di vista medico è una persona in stato vegetativo persistente ed­ è clinicamente guarita, ma in maniera imperfetta ed­ è affetta da disabilità al massimo grado. La convenzione, sottoscritta dall’Italia un anno fa, le garantisce, in un comma dell’articolo 25, il diritto ad assumere cibo e fluidi. Purtroppo i giudici milanesi ignoravano tutto ciò e anche quelli della Cassazione.
Mi risulta difficile comprendere come un atto autorizzato da un tribunale della Repubblica (che nel decreto corrispondente, come del resto è ovvio, non fa distinzione fra strutture sanitarie pubbliche o private) possa rendere passibile di denuncia chi lo compie. Non si capisce dunque cosa abbia in mente Dolce; al di là delle sue intenzioni, la denuncia minacciata assume il carattere oggettivo di un’intimidazione nei confronti dei sanitari che vorranno prestare la loro opera per adempiere alla volontà di Eluana e al decreto della Corte d’Appello. A nessuno piace la prospettiva di ricevere una denuncia, anche se si è certi di agire nella legalità.
Vale forse la pena ricordare al professor Dolce che esiste in giurisprudenza una cosa chiamata «lite temeraria», che consiste nel promuovere una causa civile pur sapendo di non avere valide ragioni per farlo, e che è duramente sanzionata. In campo penale non esiste purtroppo un analogo istituto (viene punito solo chi denuncia una persona calunniandola), ma le cose stanno cambiando. Scrive l’avvocato Ugo Dal Lago, proprio a proposito delle cause a danno di medici («Il danno patito dall’ingiusta accusa è risarcibile?», Pdf):
Alcuni giudici di merito hanno già superato queste barriere, ravvisando già da tempo la responsabilità aquiliana del denunciante non solo quando la denuncia venga fatta con dolo, ma altresì con colpa grave (Trib. Napoli, 22.1.2000, Giur. napol., 2000, 431) affermando che anche qualora non possa configurarsi una calunnia, nel caso di una denuncia penale per un reato perseguibile di ufficio priva di fondamento (con la conseguente assoluzione dell’incolpato) la condotta del denunciante può essere fonte di responsabilità civile, non solo quando sia stata determinata da dolo, ma altresì quando sussista una colpa grave (Trib. Bologna, 12.5.1994, Giur. Merito, 1995, 29).
Quanto al ricorso alla Corte di Strasburgo (che non ha effetto sospensivo sull’esecuzione della sentenza Englaro), le probabilità che possa venir accolta sembrano nulle. L’art. 25 della Convenzione Onu citata recita, nel passo rilevante:
States Parties shall […] prevent discriminatory denial of health care or health services or food and fluids on the basis of disability.
Ma la nutrizione artificiale non verrà sospesa ad Eluana Englaro «sulla base della sua disabilità»: la base del decreto del tribunale sta nelle volontà della donna, espresse chiaramente a suo tempo. Nello stesso articolo citato della Convenzione si legge del resto:
[States Parties shall] require health professionals to provide care of the same quality to persons with disabilities as to others, including on the basis of free and informed consent [corsivo mio].
La traduzione ufficiale francese si comprende ancora meglio:
[Les États Parties] exigent des professionnels de la santé qu’ils dispensent aux personnes handicapées des soins de la même qualité que ceux dispensés aux autres, notamment qu’ils obtiennent le consentement libre et éclairé des personnes handicapées concernées.
Il professor Dolce deve aver casualmente saltato queste righe, quando ha letto il testo della Convenzione...

8 commenti:

Anonimo ha detto...

«Ma perché, mi chiedo, questo lungo viaggio? Eluana potrebbe, e dovrebbe, avere il diritto di morire in casa sua. Perché no, del resto? Chi lo vieta? Ora, dopo l’avallo della Cassazione, sarebbe un’opzione possibile e senza conseguenze penali per nessuno». Il professor Gian Luigi Gigli, primario di Neurologia all’ospedale udinese e coordinatore della Commissione sullo Stato vegetativo del ministero della Salute, ha seguito questa vicenda dall’inizio, passo dopo passo. Con la competenza di un uomo di scienza che però anche si indigna, da semplice cittadino, confessando di osservare preoccupato un Paese dove ormai la magistratura «si sta sostituendo di fatto ai meccanismi della democrazia. Non sono berlusconiano - dice - ma su questo punto lui ha ragione da vendere».

E dice altro, il professor Gigli. Dice cose terribili scandite con calma. «Lo stato in cui si trova Eluana non è assimilabile alla malattia terminale, lei è gravemente disabile. Solo che una volta staccata la sacca nutritiva - non la sonda, come dicono tutti, quella basta tapparla - passerà dalla condizione di disabile grave a quella di malata terminale. È tutto qui, in questo escamotage, il meccanismo per accedere all’hospice in ossequio al diritto. Poi morirà di fame e di sete, anche se non possiamo sapere ora il come e il quando».

Sul «come», il professor Gigli spiega che «forse non sarà proprio quella che noi intendiamo per sofferenza, anche se il danno corticale non esclude la percezione del dolore. Ma non possiamo né provarlo né escluderlo. Poi ci sarà il macabro rituale per alleviare i segni di sgretolamento, attraverso una pesante sedazione farmacologica».

Circa il «quando», Gigli parla di 13 o 14 giorni. Un’agonia probabilmente inutile, sostiene, dato che «stando alla letteratura scientifica in nostro possesso, il caso estremo di sopravvivenza vegetativa è stato di 35 anni, ma con una media che si colloca tra i cinque e dieci, quindi ampiamente già superata dalla povera Eluana, in queste condizioni ormai da 17 anni. Mi chiedo quindi perché non lasciarla lì dov’è, amorevolmente accudita dalle suore di Lecco, peraltro senza quei costi che in altri casi analoghi hanno invece distrutto tante famiglie. Perdipiù, non sta nemmeno soffrendo. Allora, perché forzare?
Chi di noi, sano, non ha mai detto un giorno una frase come quella che le viene attribuita, ovvero di non accanirsi con le cure se ridotti in condizioni vegetative? Una simile manifestazione presuppone però la piena consapevolezza. E se ammettiamo che possa essere esercitata per interposta persona... be’, apriremmo scenari a cui preferisco non pensare».

Io invece ci penso, eccome se ci penso.

AnnaMaria

Anonimo ha detto...

speriamo comunque che alla convenzione siano persone più sensate di quelle che ci ritroviamo qua.

Anonimo ha detto...

(intendo in Italia, non nel blog, e ho dimenticato di frimare ^^', scusate ma sono un pò rimba stamane)
Anna

AcarSterminator ha detto...

Ciao e grazie per questo blog.
Mi interessa cercare di capire cosa si intende esattamente per stato vegetativo (permanente/persistente?) e quando/come avvienne; avevo sentito qualcuno spiegare che può essere indotto volontariamente dai medici per necessità...(?)
Mi potreste dare qualche indicazione, un articolo, un sito, che spieghi senza l'uso di termini troppo tecnici a chi non è competente in materia.
Grazie.

Anonimo ha detto...

ciao, in attesa che arrivi qualcuno con riferimenti migliori, suggerisco wikipedia. Come al solito da prendere con le molle, ma un'idea te la dà. Se sai l'inglese, la pagina (inglese, appunto) è molto meglio, basta che cerchi persistent vegetative state
Anna

Giuseppe Regalzi ha detto...

Acarsterminator: nello stato vegetativo (che si dice "persistente" dopo un mese di durata) il paziente appare sveglio e di notte sembra dormire, diversamente che nel coma, ma è completamente privo di consapevolezza di sé e del mondo esterno, come nel coma. Non ha nessuna risposta consapevole agli stimoli: per esempio non segue con gli occhi un oggetto che attraversa il suo campo visivo. E' incontinente e incapace di qualsiasi movimento volontario, anche se può reagire automaticamente a stimoli dolorosi e respira senza ventilatore artificiale.

La causa è un danno al cervello (in genere per una lesione accidentale o per una mancanza di ossigeno), e più precisamente alla corteccia cerebrale. Più tempo passa, meno probabilità ci sono di uscire da questo stato; in genere dopo un anno la prognosi è di stato vegetativo permanente, anche se ci sono stati dei casi eccezionali di parziali ritorni alla consapevolezza fino a tre anni dopo l'incidente originario.

Che io sappia non è una condizione che può essere indotta da un medico; forse pensavi al coma farmacologico? Nel coma, però, come dicevo sopra, il paziente appare sempre come addormentato (anche se non si riesce a svegliarlo), a differenza dello stato vegetativo.

AcarSterminator ha detto...

Grazie per le risposte.
La cosa dello stato indotto è possibile si riferisse al coma, oppure semplicemente al fatto che lo stato vegetativo permanente non è uno stato naturale ma esiste solo grazie alle tecniche della medicina moderna.

Parlando in generale voglio dire che mi irrita alquanto sentire i capi spirituali della religione prevalente in Italia e i loro portavoce politici affermare che la persona in nessun caso può disporre della propria vita. E' arroganza, prepotenza.
Purtroppo fino a quando quelli religiosi rimarranno dictact anzichè semplici opinioni, con uguale dignità rispetto ad altre opinioni, toccherà irritarsi per l'arroganza degli autoproclamatisi detentori della Verità.
Scusate lo sfogo.

Anonimo ha detto...

hai ragione, il problema è che chi crede in una religione è convinto di possedere la Verità (l'unica) per definizione. Che credente sarebbe uno che professa "credo in un solo Dio, padre onnipotente... però anche tutti gli altri non sono mica male.."? Loro, dal loro punto di vista, non possono che comportarsi così. Il problema è che uno stato dovrebbe essere laico, e fregarsene un pò di più di quel che esce dal vaticano. Almeno metterlo sullo stesso piano del più vicino minareto, per dire.