lunedì 31 luglio 2006

Elio Sgreccia, Norimberga e l’ipocrisia

Avevamo ignorato il parere di Sgreccia a proposito della questione dei finanziamenti comunitari da destinare alla ricerca sulle staminali embrionali, ma questa mattina un titolo in Passi nel Deserto ha attirato la mia attenzione e mi ha quasi imposto di aggiungere qualche commento. Staminali: Vaticano, con la nuova legge siamo tornati a prima di Norimberga (in un post successivo si può ascoltare una intervista a Sgreccia sulle staminali).
La mozione Finocchiaro ha tolto l’Italia da una situazione davvero incresciosa: la dichiarazione etica, patto stipulato insieme a cinque altri Paesi Eu contro la finanziabilità con fondi comunitari alle ricerche contrarie all’etica (una certa etica). Secondo Sgreccia saremmo tornati indietro, a prima di Norimberga. Ovvero? Ovvero, spiega, “nella situazione cioè in cui si faceva ricerca sui bambini indifesi, poiché malati gravi, e la si faceva senza il bisogno di nessuna autorizzazione medica”.
Il richiamo al fantasma hitleriano è onnipresente nei dibattiti su ricerca, eutanasia e in generale sugli avanzamenti delle biotecnologie. Il paragone però è fuori luogo. E la identificazione sgrecciana tra una cellula staminale embrionale e un bambino è tutta da dimostrare. Ho sempre avuto il dubbio che non ne sia convinto nemmeno lui – ma questa è una questione personale. Meno personale invece è paragonare la ricerca attuale ai deliri pseudoscientifici nazisti. Il paragone è scorretto, di pessimo gusto e di una banalità disarmante.
Forse farebbe bene a Sgreccia ripassare quanto accadeva nella patria di Ratzinger, e noi gli andiamo incontro con una brevissima nota sull’eutanasia infantile.
Quanto all’ipocrisia della posizione italiana che permette di fare ricerca su linee cellulare derivate e non su embrioni, condividiamo. Ma la soluzione non è quella auspicata da Sgreccia.



Eutanasia infantile: la morte pietosa
Il primo bambino viene ucciso tra il 1938 e il 1939: il piccolo Knauer, nato cieco, mancante di arti e apparentemente idiota. Il medico personale di Hitler, Karl Brandt, visita personalmente il bambino nella clinica dell’Università di Lipsia per autorizzare l’eutanasia (e per rassicurare i medici che per ordine di Hitler sarebbero stati annullati eventuali procedimenti legali contro di loro).
Brandt dichiara che non esiste alcun motivo per tenere in vita Knauer, in accordo con il direttore della clinica pediatrica. La procedura di uccisione doveva essere camuffata come un procedimento medico, e i genitori non dovevano rischiare di sentirsi responsabili per la morte del figlio.
Il caso del piccolo Knauer è utilizzato per avviare il progetto eutanasia, sia per i bambini che per gli adulti.
(La testimonianza del padre nel 1973: “Il Führer voleva esplorare il problema delle persone prive di un futuro, la cui vita era senza valore. Da allora in poi, non avremmo più dovuto soffrire per questa terribile disgrazia, poiché il Führer ci aveva concesso l’uccisione pietosa di nostro figlio. In seguito avremmo potuto avere altri figli, belli e sani, di cui il Reich avrebbe potuto essere fiero… Si doveva costruire la Germania e c’era bisogno di ogni particella di energia. Ecco quel che mi spiegò Herr Brandt. Era un uomo magnifico: intelligente, molto convincente. Fu per noi come un salvatore: l’uomo che poteva sollevarci di un peso molto grande. Lo ringraziammo e gli esprimemmo tutta la nostra gratitudine”, Robert Jay, Lifton, 1986, The Nazi Doctors: Medical Killing and the Psychology of Genocide, New York, Basic Books; trad. it., I Medici Nazisti, Milano, Rizzoli, 1988, p. 139).
I programmi di uccisioni pietose prendono piede. Per quanto riguarda i bambini si comincia da quelli più piccoli, come se fosse più facile cominciare e abituarsi a sopprimere i neonati, poi i bambini di due o tre anni e infine quelli più grandi. Le uccisioni, nella scelta delle vittime e nelle procedure, diventano sempre più disinvolte. Per gestire il programma viene creato il Comitato del Reich per il rilevamento di malattie ereditarie e congenite gravi. Lo scopo era di registrare tempestivamente tutti i bambini con malattie ereditarie gravi: idiozia e mongolismo (specialmente se associato a cecità e sordità); microcefalia; idrocefalia; malformazioni di ogni sorta, specialmente di arti, testa e colonna vertebrale; e paralisi, comprese condizioni spastiche (Ordine segreto, 18 agosto 1939: oggetto – dovere di riferire su neonati con malformazioni etc.).
Alla nascita la levatrice doveva denunciare lo stato del bambino; i medici avevano il compito di riferire sulle loro condizioni fino all’età di tre anni. Il Ministero della Sanità del Reich distribuiva questionari, che i responsabili delle cliniche pediatriche dovevano compilare. A partire dal 1940 le informazioni richieste comprendevano notizie sulla nascita, sulla storia familiare (soprattutto riguardo a malattie ereditarie ma anche ad abuso di alcol, nicotina o farmaci); la previsione di miglioramenti, speranza di vita e la descrizione dello sviluppo fisico e mentale.
Compilati questi questionari, una commissione composta da tre medici doveva giudicare quelli da sottoporre a eutanasia (senza vedere i bambini e senza nemmeno leggere la documentazione medica). C’era una apposita colonna del questionario dedicata a specifica il Behandlung (trattamento): (+) significava a favore del trattamento (uccisione); ( – ) contro; nell’incertezza veniva specificato: rinvio temporaneo o osservazione. Ogni medico esaminava il modulo e dopo averlo compilato lo passava al collega: il secondo conosceva il parere del primo, e il terzo dei primi due. Per procedere al trattamento serviva unanimità nel giudizio: è evidente che questo modo di procedere favoriva la condanna di quei bambini che il primo esaminatore giudicava indegno di vivere. In caso di mancato accordo, i bambini venivano mandati insieme a quelli condannati nelle unità pediatriche deputate alle uccisioni per ‘accertamenti’. Trascorrevano un periodo di tempo in questi Istituti Specialistici Pediatrici (o Dipartimenti Specialistici Pediatrici o anche Istituzioni Terapeutiche di Convalescenza) per poi essere sottoposti nuovamente al giudizio della commissione, sulla base dei vecchi questionari.
Questi Dipartimenti erano presentati come luoghi in cui venivano offerte ai bambini le migliori terapie pediatriche; la morte era mascherata da assistenza specialistica. “Tutti procedevano come se quei bambini fossero effettivamente destinati a ricevere i doni della scienza medica, come se dovessero essere guariti invece che uccisi. La falsificazione era chiaramente intesa a ingannare: le famiglie dei bambini, i bambini stessi quando erano abbastanza grandi e il pubblico in generale. Ma serviva anche a soddisfare i bisogni psicologici degli assassini esprimendo letteralmente il rovesciamento nazista di terapia e uccisione” (Lifton, p. 80). Spesso il medico spiegava ai genitori che il figlio aveva bisogno di un intervento rischioso, oppure che bisognava ricorrere a terapie straordinarie (in tutti i casi si preparava il terreno per l’annuncio del decesso prestabilito, e giustificato proprio dal ‘rischioso’ e dallo ‘straordinario’). Serviva anche a favorire l’autoinganno dei medici: l’autoinganno colpevole di credere che i bambini fossero davvero morti per un incidente o a causa della loro anormalità. L’autoinganno era nutrito anche da altre espressioni, come ad esempio il ‘mettere a dormire i bambini’ (ucciderli).
L’inganno ai genitori era costruito a seconda della ritrosia, e comunque seguiva alcune tappe: venivano inviate loro lettere nelle quali la disabilità del figlio era sottolineata, esasperando la non curabilità. Poi con un qualche pretesto si invocavano misure eccezionali e il trasferimento nelle istituzioni adatte (all’uccisione). Di fronte a resistenze ostinate si minacciava anche il ritiro della tutela genitoriale in nome del miglior trattamento per il bambino.
Una volta trasferiti, i bambini venivano tenuti in vita per qualche tempo per simulare una terapia sperimentale. La morte era provocata dalla ripetuta somministrazione di luminal. Nel giro di qualche giorno il bambino cadeva in un sonno continuo, poi nel coma e infine moriva. Se il luminal non bastava a uccidere abbastanza in fretta, gli veniva fatta una iniezione di morfina o di scopolamina.
Il limite dell’età dei bambini da sottoporre al trattamento si alzò fino all’adolescenza, e tra le condizioni considerate come ragioni sufficienti per l’eliminazione fisica rientrarono il mongolismo, disabilità limitate, delinquenza e stranezze non meglio specificate. I bambini ebrei erano oggetto del trattamento per il solo fatto di essere ebrei.
L’eventuale senso di colpa nei medici era tenuto a bada dall’impostura dell’uccisione mascherata da terapia, ma anche dalla burocratizzazione del processo, facilitata dalle strutture mediche destinate alla eutanasia (sia infantile che di adulti). Il meccanismo era costituito da diverse persone, ognuna delle quali poteva coltivare l’illusione di non essere responsabile di un vero e proprio omicidio; ognuno poteva considerarsi un piccolo (e irresponsabile) agente il cui influsso era così piccolo da essere irrilevante.
Non c’era un comando esplicito nemmeno per le infermiere che dovevano eseguire l’omicidio somministrando sonniferi in dosi massicce. È significativo quanto affermato da un direttore di uno di questi Istituti di morte: “A coloro che venivano prescelti per essere uccisi venivano prescritte dosi di luminal molto più elevate […] Erano bambini spastici, […] avevano la polio cerebrale, erano idioti, erano incapaci di parlare o di camminare. Come si dice oggi, date loro un sedativo perché sono agitati. E con questi sedativi […] il bambino dorme. Se non si sa cosa sta accadendo, [il bambino] dorme. Si dev’essere ben introdotti per sapere che in realtà lo stanno uccidendo e non solo calmando” (Lifton, p. 84).

1 commento:

Anonimo ha detto...

Рукд!

Рогподв, йцуервщ т плещ иароызшк зпрсбовнк. Орв угпр нгннат жадург о ок, аощяком :)

Раоек загет, мпк аогкл ндйан пою зкт твнуолмну?