Esiste una concezione dei limiti del diritto penale che poggia su un fondamento della legittimità della coercizione legale scivoloso e inammissibile (per carità, è solo il mio parere...).
Questa concezione affonda le radici della coercizione legale nell’immoralità, può essere rappresentata dalla norma: ‘ti impedisco di compiere x (esercitando la coercizione legale) perché x è immorale’, e prende il nome di moralismo legale.
Non posso che partire da uno dei più formidabili difensori della libertà: John Stuart Mill (la libertà è l’opposto della coercizione legale, e pertanto un discorso sulla legittimità della coercizione legale non può non comprendere una discussione sulla libertà).
Per dimostrare la rilevanza del principio di non interferenza nelle questioni private degli individui Mill esamina il caso di un possibile reato morale. I musulmani provano disgusto e ripugnanza per la carne di maiale e questo sentimento li porta a odiare visceralmente la pratica cristiana di mangiarne. Immaginiamo di trovarci in un paese ad ampia maggioranza musulmana, e immaginiamo che in questo paese venga proibito a tutti il consumo di carne di maiale. Sarebbe legittima una simile proibizione? Non lo sarebbe, perché sebbene per un musulmano mangiare la bestia immonda sia una offesa, un vero e proprio crimine, i gusti alimentari e le scelte religiose sono questioni strettamente personali, e nessuno ha il diritto di intromettersi in una sfera così privata (tenendo sempre fermo, si intende, il principio del danno: se un comandamento religioso ordina di compiere qualcosa che danneggia qualcuno, l’intervento sarà legittimato proprio dalla presenza di un danno, che è indifferente alle scelte confessionali). Se questo scenario sembra inverosimile, basti pensare a tutte quelle credenze religiose che, ritenute verità assolute da un certo gruppo, si cerca di imporre anche a individui non religiosi o appartenenti ad una diversa religione: le differenze di culto, le regole di vita dei fedeli e del clero, le verità rivelate. Ognuno desidera sopprimere ciò che ritiene contrario al cospetto del proprio Dio e ciò che ritiene offensivo per la propria fede e immorale. Ma questo desiderio non può in nessuna circostanza essere sostenuto dalla giustificabilità di una interferenza nella libertà degli individui da parte dello Stato o da parte di alcuni cittadini ai danni di altri. In entrambi i casi si compirebbe una coercizione illecita: “quando una qualunque autorità attenta alla parte di esistenza individuale che non è di sua competenza, poco importa da quale fonte questa autorità dica di derivare, poco importa che essa si definisca individuo o nazione; essa potrebbe essere la nazione intera, meno il cittadino che opprime, e non sarebbe meno illegittima” (Étiénne Hofmann, 1980, (a cura di), Les Principes de Politique de Benjamin Constant [1806], Genève, Droz).
Un reato morale è un crimine che si consuma non a spese di un individuo, bensì, potremmo dire, del comune senso del pudore. Ciò significa che i sostenitori del moralismo legale desiderano che l’immoralità, pur non causando danni, sia impedita e scoraggiata per legge. L’imposizione legale della moralità solleva in prima battuta una formidabile obiezione circa l’intento stesso di moralizzare gli individui attraverso la coercizione: se un uomo è costretto ad astenersi dall’immoralità, il valore di tale astensione è pari a zero; inoltre difficilmente un uomo in tali circostanze potrebbe sviluppare un giudizio critico e potrebbe compiere azioni davvero morali. In altre parole “la pretesa che l’ambito della legalità, cioè delle norme imposte dallo stato, sia allargato a spese dell’ambito della moralità propriamente detta, cioè delle norme imposte non dallo stato ma dalle nostre proprie convinzioni morali, dalla nostra coscienza […] rappresenterebbe la fine della responsabilità degli individui e non migliorerebbe, ma distruggerebbe, la moralità. Sostituirebbe alla responsabilità personale i tabù tribali e l’irresponsabilità totalitaria dell’individuo” (Karl Popper, 1945, The Open Societies and Its Enemies. The Spell of Plato, London, George Routledge and Sons; trad. it. La Società Aperta e i Suoi Nemici. Platone Totalitario, Roma, Armando, 1973).
I reati morali hanno a lungo costituito una categoria a parte di crimini, distinta dai reati contro la persona, la proprietà, e così via. I reati morali sono prevalentemente reati sessuali (adulterio, prostituzione, sodomia), ma anche la dissacrazione di simboli venerati, il trattamento improprio dei cadaveri. Schwartz (Bernard Schwartz, 1963, Moral Offenses and the Model Penal Code, “Columbia Law Review”) sostiene che la proprietà necessaria dei reati morali è la mancanza di una connessione essenziale tra essi e il danno sociale; la sicurezza pubblica non richiede la loro repressione. Il rischio di danno è solitamente accettato dalle persone che compiono un reato morale, e il rischio di danno di altre parti può essere agevolmente impedito da misure volte a impedire la consumazione in pubblico dei reati. A questo punto i reati morali commessi da adulti consenzienti in privato vanno considerati crimini?
Oltre alla presunzione generale contro la coercizione, vi sono ulteriori argomenti contro la proibizione di reati morali privati (Joel Feinberg, 1984, Harm to Others. The Moral Limits of the Criminal Law, Volume One, New York, Oxford University Press): “Le leggi che regolano gli affari privati sono estremamente difficili e costose da far rispettare e hanno effetti collaterali invariabilmente dannosi. Le leggi contro l’omosessualità, per esempio, possono essere fatte rispettare solo occasionalmente e in modo casuale, e ciò conduce a iniquità dovute alla selettività dell’imposizione della legge e all’opportunità per ricatti e vendette private”.
Questi argomenti sono stati per alcuni sufficienti per rifiutare leggi che proibiscono l’immoralità privata, ma per altri hanno costituito un motivo di incoraggiamento per ammorbidire il ricorso esclusivo al principio del danno, per lo meno nel caso dei reati morali.
Patrick Devlin propone una versione mitigata di moralismo legale, secondo la quale l’imposizione della moralità è compiuta in vista di un bene sociale. Il diritto penale, secondo Devlin, deve proteggere gli individui, ma soprattutto deve proteggere la società. La società non può esistere senza un codice morale che ne costituisce il collante e lo scheletro. “Se gli uomini e le donne cercano di fondare una società in cui manchi un sostanziale accordo circa ciò che è bene e ciò che è male essi falliranno nel loro intento; se, avendola fondata su un comune accordo, l’accordo scema, la società si disintegrerà. Perché la società non è tenuta insieme da qualcosa di fisico; è aggregata dai legami invisibili del comune pensare. Se i legami fossero troppo laschi, i membri andrebbero alla deriva. Una morale comune è una parte della subordinazione (bondage). La subordinazione è una parte del prezzo della società; e gli uomini, che hanno bisogno della società, devono pagare questo prezzo” (Patrick Devlin, 1965, The Enforcement of Morals, Oxford, Oxford University Press). Il codice morale lega con fili invisibili ma saldi gli individui tra di loro, promuove la concordia e incoraggia l’ordine. Se il codice morale subisce un indebolimento, secondo la visione di Devlin, la società è minacciata, e di conseguenza è necessario proteggere l’integrità della moralità anche tramite la coercizione legale. La legge deve intervenire per sconfiggere il vizio, allo stesso modo in cui interviene per proteggere un individuo da una aggressione o da un sequestro. Come non esistono aggressioni o sequestri ‘privati’ che possono sottrarsi alla condanna di illegalità, allo stesso modo non esiste una moralità privata che possa ignorare il controllo della legge.
La protezione legale della moralità, però, solleva alcuni problemi. Innanzitutto, pur ammettendo che una struttura morale sia una condizione necessaria dell’esistenza di una società, in che modo e perché la legge sceglie di difendere proprio una certa moralità piuttosto che un’altra? Quali sono gli strumenti legali per riformare una moralità giudicata non ottimale? Qual è il modo per stabilire la moralità di un comportamento e l’indecenza di un altro? La risposta di Devlin a quest’ultima domanda è più o meno la seguente: l’immoralità è ciò che ogni persona ragionevole (right minded person) si presume giudichi immorale. Se ci limitassimo a discutere di un gusto personale, della scelta del colore della propria automobile, o del romanzo da leggere, la dipendenza da un sentimento così vago e così soggettivo non solleverebbe alcuna preoccupazione. Ma in questo caso, la scelta indicata dall’uomo ragionevole si indurisce in un codice morale che verrà imposto a tutti da una legge: il confine che protegge la libertà di coscienza e di pensiero degli individui sarebbe sbriciolato e il passo a giudicare immorale (e dunque vietato per legge) la scelta di una certa automobile, magari perché straniera, o di un certo romanzo, magari perché sovversivo dei valori morali imposti, è breve. Questi non sono rischi vagheggiati e poco verosimili, perché basta ricordare il pensiero di Devlin riguardo alla omosessualità per dare loro corpo: se c’è, egli afferma, un sentimento genuino della nostra società che dice che l’omosessualità è un vizio così abominevole che la sola presenza costituisce una offesa, allora la società ha il diritto di sradicarla vietando per legge (criminal law). Ma l’accertamento della genuinità di quel sentimento è condizionato dal giudizio arbitrario di un essere così fluttuante quale l’individuo ragionevole. La criminalizzazione di un reato senza vittima può intaccare in profondità tutte le possibili libertà.
Un altro problema del moralismo legale è la staticità di un sistema morale affermato (ammettiamo pure di essere disposti a non obiettare riguardo alla arbitrarietà dell’affermazione del primo codice morale: una volta che un codice morale m sia stato considerato come l’impalcatura dell’edificio societario, e sia difeso dalla legge dagli attentanti della dissolutezza, emerge il problema della impossibilità di evoluzione e cambiamento morali). È difficile immaginare quali potrebbero essere i modi per riformare un codice morale protetto dalla legge, e in che modo distinguere i modi di cambiamento morale legittimi da quelli illegittimi. Ci troveremmo costretti a riferirci a una specie di ‘costituzione morale’ e a inventare emendamenti morali, abrogazioni e referendum morali; e non sembra una soluzione brillante.
Esiste anche una versione del moralismo legale che potremmo definire di principio, e non consequenzialista. Non esiste nessun fine diverso dall’imposizione della moralità e dal suo opposto, la punizione del vizio. I sostenitori del moralismo legale forte affermano che il mondo sarebbe un posto migliore se le condotte immorali fossero combattute attraverso la coercizione, anche quelle condotte immorali che non provocano danni. La minaccia della punizione funzionerebbe da deterrente e la punizione cancellerebbe i mali passati dalla memoria dell’universo. La plausibilità di questa tesi sembra essere ancorata alla presenza di un danno: in questo caso la punizione costituisce una forma di estinzione dei reati morali commessi
Se la punizione deve scoraggiare le immoralità private, deve entrare nel privato delle stanze dei possibili violatori della moralità dell’universo, e l’imposizione di una condotta morale dovrà essere imposta con spaventosa efficienza, e con una assoluta indifferenza al rispetto della privacy personale. Aggiunge Feinberg: “Se le immoralità private devono essere scoraggiate dalla minaccia della punizione, le autorità investigative devono essere in grado di guardare dentro le camere buie e le stanze chiuse a chiave del domicilio privato di chiunque. Quando mettiamo questa ampia confisca della privacy sulla bilancia insieme con i costi abituali della coercizione – mancanza di spontaneità, blocco della crescita delle capacità razionali, ansia, ipocrisia e tutto il resto – il prezzo da pagare per assicurare il mero conformismo esteriore agli standard morali della comunità (perché questo è tutto ciò che può essere ottenuto dal diritto penale) diviene esorbitante”.
lunedì 3 luglio 2006
A proposito di divieti morali e del reato di omosessualità: illegittimità del moralismo legale
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Complimenti per l'intervento.
Posta un commento