sabato 28 aprile 2007

L’Italietta di Cogne

Daniela Amenta, Cogne, il dramma che non ha un finale, 28 aprile 2007, E Polis, p. 6.

Annamaria Franzoni condannata a 16 anni. Pena ridotta per le attenuanti generiche. Così ha deciso la Corte d’Appello nell’udienza numero 24, la ventiquattresima stazione di una via Crucis iniziata il 30 gennaio del 2002. Mentre la folla preme, mentre il circo mediatico va in onda, mentre la gente in fila si accaparra il numeretto per partecipare all’evento, cresce lo scollamento tra realtà e percezione della realtà. Cinque anni. Con l’unica vittima rimasta sullo sfondo di un processo fiume, un dramma all’italiana che della tragedia greca non ha né il passo, né il respiro, né – pare – un unico finale salvifico, catartico. Perché ad aleggiare sul “caso Cogne” anche domani, anche se dovessero arrivare i giorni della Cassazione e perfino dopo la sentenza della Suprema Corte resterà perpetuo l’alito del dubbio. Anche per questo Samuele è oramai una icona, il solo non protagonista di una storia stracolma di personaggi. Fin troppi, fino al limite della volgarità. Samuele trasformato in una prova, un fascicolo, un pigiamino sporco di sangue, sublimato nel seggiolino vuoto di un’altalena in quel giardino di terra montana. Anche l’orrore si metabolizza. La televisione ce l’ha messa tutta per farci ingoiare le lacrime della signora Franzoni, le tracce sul lenzuolo, i frammenti della mattanza, la villetta di legno. Satolli di immagini, parole, gemiti, flash di questa donna enigmatica e di una famiglia “tanto unita” da seppellire lo sgomento tra uno studio tv e un’aula di tribunale. Satolli e soddisfatti, tanto da non aver più spazio nel cuore per riuscire a provare pietà, inquietudine. Dunque, Samuele resta sullo sfondo di un Paese che va in gita a Cogne con la videocamera, un Paese che fa ressa davanti ai palazzi di giustizia, un Paese che si prende la libertà di formulare la propria opinione solo annusando l’alito di un microfono. Clacque, nient’altro che clacque appostata ai margini di una passerella macabra. Percezione deformata della realtà, appunto, nell’Italietta che scommette pure sui delitti, così abituata al televoto da voler dire la propria anche questa volta. Invece non c’è nulla da dire in nome del popolo italiano e del dubbio che resta incollato tra la camera di consiglio della Corte di Torino e la camera da letto di una casa in legno. Nulla da aggiungere per colmare il senso di vuoto di un’altalena spostata solo dal vento.
(Nella foto in fila per lo show in Tribunale)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Come diceva Samuele Bersani...

"Chiedi un autografo all’assassino
guarda il colpevole da vicino
e approfitta finche’ resta dov’é
toccagli la gamba fagli una domanda, ancora
chiedi un autografo all’assassino
chiedigli il poster e l’adesivo
e approfitta finche’ resta dov’è
toccagli la gamba
fagli una domanda
cattiva
spietata
è la mia curiosità impregnata
di pioggia televisiva
comincia un’altra partita.... "