giovedì 30 marzo 2006

Il Foglio e il Führer

Il Foglio insiste anche oggi nella sua crociata un po’ sgangherata contro l’eutanasia. Quasi tutta la seconda pagina dell’inserto viene dedicata al tema, con l’intervento di una pediatra che parla di un caso felicemente risolto di spina bifida (sulla premessa implicita – e menzognera – che in Olanda i bambini in queste condizioni vengano tutti sistematicamente ammazzati). Un altro articolo ci informa compunto che «il terzo gradino che si è salito è quello eugenico. La vita che merita di essere salvata e preservata è quella di chi sta bene, o quasi, non quella piena di dolore e sofferenza» (l’autore ha evidentemente poca dimestichezza col vocabolario, visto che ignora cosa significhi davvero «eugenico»); e infine un terzo articolo – quello su cui ci soffermeremo brevemente – elenca nove motivi per dire no all’eutanasia (Mario Palmaro, «Non tocca allo stato stabilire che una vita non è degna di essere vissuta»).
Non esaminerò tutte e nove le ragioni: si va del resto dalla petizione di principio («quello alla vita è un diritto indisponibile, anzi il più importante fra tutti i diritti indisponibili»), al surrealismo («la decisione del paziente è assolutamente inattendibile. Se è formulata prima della malattia, rimane il dubbio che essa sia ancora valida quando il soggetto ha perso conoscenza»), al non sequitur («in un ordinamento in cui fosse accolto il principio che uccidere un innocente è lecito se per motivi pietosi, sarebbe perfettamente coerente attendersi che si ponga fine alle vite ritenute insignificanti ma costose per la società»). Mi concentrerò invece sull’ultima giustificazione:

Nono e ultimo argomento: il precedente nazista. Hitler è stato il primo e il più convinto sostenitore dell’eutanasia per motivi pietosi. Le camere a gas naziste sono state inaugurate da tedeschi di pura razza ariana, nient’affatto ostili al regime, ma considerati portatori di “vite senza valore”. Ci sono lettere riservate del Führer al suo medico personale, in cui Hitler spiega le ragioni filantropiche per cui è meglio eliminare handicappati, scemi, storpi, reduci della Prima guerra mondiale. Non ne parla con odio o disprezzo, ma con sincera pietà. Proprio come accade oggi ai fautori dell’eutanasia liberale e democratica. Per rivivere certi orrori non è affatto necessario far rivivere le camicie brune e le svastiche. Basta lasciare spazio alla cultura che fu alla base di quell’orrore.
In effetti, si sostiene spesso che la concezione contemporanea dell’eutanasia è profondamente diversa da quella della Germania nazista: la prima si fonda sul rispetto della volontà individuale e/o sulla pietà per sofferenze intollerabili; la seconda sul concetto di una razza pura da mantenere incontaminata e sull’interesse supremo della macchina statale. Ora invece Mario Palmaro (ma in realtà non è il primo) ci viene a dire che in fondo anche Hitler propugnava l’eutanasia per motivi filantropici.
Uno avrebbe la tentazione di rispondere che in realtà tutta questa pietà disinteressata altro non era che ipocrisia, per mascherare le motivazioni vere del programma di eutanasia tedesco; del resto, i frutti di tale programma furono tali da sbugiardare ogni scusa umanitaria, con i bambini disabili sottratti con pretesti alle famiglie e uccisi di nascosto. Eppure questa risposta, benché probabilmente corretta, costituirebbe in realtà una concessione eccessiva a un argomento radicalmente sbagliato, e ripeterebbe quella che propongo di chiamare «la fallacia di Berry».
Chi è Berry? Rynn Berry è un vegetariano, che nel 2004 ha scritto un libro intitolato Hitler: Neither Vegetarian Nor Animal Lover (Pythagorean Books), in cui si sforza di dimostrare che, contro l’opinione comune degli storici, Adolf Hitler non sarebbe stato veramente un vegetariano, visto che ogni tanto si concedeva una fetta di prosciutto; in ogni caso non lo sarebbe stato su basi morali, e pertanto i vegetariani possono continuare senza problemi nella loro dieta, senza l’assillo di stare seguendo le orme di un tiranno genocida. Ma è stato obiettato a Berry che anche molti vegetariani convinti indulgono talvolta a qualche piccola incoerenza alimentare; e che possediamo testimonianze attendibili di un Hitler che a tavola angustiava i propri ospiti carnivori con lunghe tirate sugli orrori dei mattatoi. È dunque necessario che i vegetariani abbandonino mestamente la lattuga per tornare alle cotolette?
Ovviamente no. Sostenerlo significherebbe ricorrere a quella che Leo Strauss (già, proprio lui) ha chiamato la Reductio ad Hitlerum (o Argumentum ad Hitlerum, o The Hitler Card), e che si articola così:
Adolf Hitler sosteneva X; quindi, X è male.
L’assurdità del ragionamento si dimostra facilmente, se si sostituisce a X qualcosa come «l’utilità delle autostrade», «le virtù della pittura ad acquerello», o finanche «che due più due fa quattro» – tutte cose che sappiamo per certo essere state sostenute con convinzione da Hitler. A maggior ragione, se Hitler (contro ogni verosimiglianza storica) avrà provato qualche volta pietà per le sofferenze di un bambino, questo non ci obbliga ad ignorarle e a non fare nulla per porre loro fine.

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