Non ha dubbi neppure Francesco Cossiga nel solidarizzare con Giovanardi e nel difendere con tanto di spiegazione storica le sue parole, l’aggettivo nazista compreso: «Se Stati e Chiese — argomenta l’ex presidente della Repubblica — avessero espresso critiche e condanne sulle leggi del Terzo Reich sull’eutanasia, trasformata poi rapidamente in eutanasia di disabili ed ebrei sulla base di ricerche scientifiche, non vi sarebbe potuto essere il male assoluto del nazismo». Ugualmente netto nel difendere la definizione giovanardiana è il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, An: «È fuorviante discettare sull’aggettivo, nazista o non nazista, a proposito delle leggi olandesi sull’eutanasia, e non sul carattere totalitario di esse: che è incontestabile. Il totalitarismo non coincide necessariamente con l’assenza del voto: Hitler è diventato Cancelliere col consenso della maggioranza dei tedeschi».(Lite con l’Olanda: Giovanardi rilancia, Fini frena, Il Corriere della Sera, 20 marzo 2006)
La legge olandese che permette di ricorrere all’eutanasia non impone niente a nessuno; richiede soltanto un po’ di razionalità e di onestà. Non si è mai parlato di eliminare disabili, appartenenti ad altre razze, insufficienti mentali. Mai. Soltanto di consentire, a chi lo sceglie, di morire. Per quanto riguarda l’eutanasia pediatrica (ovvero del caso in cui il diretto interessato non può esprimere una preferenza) la faccenda si complica, pur rimanendo intelligibile.
Nel caso di bambini che hanno come unico futuro possibile quello di una agonia senza rimedio, che spesso non hanno percezione della propria esistenza se non in termini di dolore, è moralmente ammissibile (a certe condizioni e con certe regole che l’Olanda abbraccia) che esista la possibilità di non prolungare questa condizione. Quanti concordano con la sospensione dei trattamenti medici in casi del genere, dovrebbero coerentemente accettare anche la possibilità di una eutanasia cosiddetta attiva (ovvero al provocare direttamente la morte). Gli altri dovrebbero avere il coraggio di sostenere l’accanimento terapeutico, oltre alla condanna dell’eutanasia.
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