Carmelo Meazza scrive oggi sul Riformista un articolo originale e degno di nota («Imporre di vivere a chi vuole morire è come far morire chi vuole vivere», 4 ottobre 2006, p. 6):
In qualche modo dobbiamo riconoscere che l’eutanasia è l’espressione di un diritto della libertà del soggetto umano. Né il criterio della sacralità della vita e neppure quello della qualità della vita sono sufficienti a decidere in circostanze come queste senza controeffetti molto pericolosi. Entrambi se non si sta attenti spostano la decisione fuori della libera volontà.In effetti, la divisione che si fa spesso fra etica della sacralità della vita ed etica della qualità della vita non è molto soddisfacente, in quanto si presta facilmente ad equivoci e (soprattutto) a strumentalizzazioni, come se laici e liberali desiderassero stabilire dei criteri oggettivi di qualità della vita al di sotto dei quali scatterebbe automaticamente il ricorso all’eutanasia (ho cercato di spiegare questo punto in un post precedente). Molto meglio parlare di un’etica della libertà personale, che non deve sottostare a nient’altro che alla libera decisione degli individui.
Il criterio del libero consenso o della decisione sovrana può consentire di evitare anche le controfinalità insite nel complicato concetto di «natura» o «naturale». Non è un caso se Manconi e Polito possono utilizzare lo stesso argomento per una tesi contrapposta. Per l’uno non sarebbe naturale vivere in un corpo assistito da una macchina, e quindi la vita cesserebbe di essere degna di essere vissuta, pertanto l’eutanasia diventa ammissibile; per l’altro, vi sarebbe una naturalità del morire inscritto in leggi immutabili che bisognerebbe rispettare e quindi l’eutanasia sarebbe inammissibile. Ora, la nozione di naturalità non porta lontano. Prima assumiamo la convinzione che la natura si estende insieme con le nostre capacità di intervenire su di essa, prima saremo in grado di padroneggiare meglio la potenza che il genere umano è in grado di esprimere. E prima eviteremo confusioni in campi particolarmente sensibili della nostra vita collettiva.
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