Dal numero 9 (luglio 2007, Anno 5, Numero 122) di DoctorNews riporto una nota della Società Italiana di Neurologia molto interessante.
Una legge per non ripetere il caso Riccio
Il controverso e discusso caso Welby ha smosso le coscienze di medici, politici e titolisti di giornali. Oggi se ne torna a parlare per la presa di posizione della Società Italiana di Neurologia (SIN) che auspica una rapida soluzione giudiziaria della vicenda ma anche il varo di una legge che chiarisca una volta per tutte responsabilità dei medici e competenze della magistratura
L’antefatto, è noto, risale alla decisione di Mario Riccio, anestesista all’Ospedale di Cremona, di accogliere la richiesta, lo scorso 20 dicembre, di Piergiorgio Welby di interrompere la ventilazione artificiale che lo teneva in vita. La decisione del medico passò al vaglio dell’Ordine dei medici di Cremona che decise all’unanimità di non aprire un procedimento disciplinare nei suoi confronti dal momento che la richiesta di distacco del respiratore artificiale, da parte di Welby, costituiva la negazione del consenso ad un trattamento terapeutico da parte di un paziente capace di intendere e di volere e pienamente consapevole delle conseguenze che l’interruzione del trattamento avrebbe determinato. Un parere analogo era stato espresso il 5 marzo dal Procuratore della repubblica di Roma che, visto l’esito dell’autopsia, aveva formulato la richiesta di archiviazione del caso, non ravvisando alcuna ipotesi di reato nei fatti che la sera del 20 dicembre avevano portato alla morte di Piergiorgio Welby. Il 7 giugno il GIP ha però valutato diversamente i fatti e ha rigettato la richiesta di archiviazione del PM disponendo che Riccio fosse rinviato a giudizio per “omicidio del consenziente.” Il GIP ha affermato che il diritto alla vita è inviolabile, e limita anche il diritto a rifiutare le cure sancito dall’articolo 32 della Costituzione e adottato dagli articoli 35 e 53 del Codice Deontologico dell’Ordine dei Medici.
Su quest’argomento è arrivato il commento della SIN: “Noi neurologi – si legge in una nota a firma di Mario Manfredi, Presidente della SIN, Virginio Bonito e Carlo Alberto Defanti del Gruppo di Studio per la Bioetica e le Cure Palliative della SIN – incontriamo quotidianamente persone con patologie neurodegenerative che possono portare a una disabilità talvolta gravissima paragonabile a quella di Piergiorgio Welby. La nostra responsabilità professionale nei loro confronti sta cambiando. In passato sembrava che il nostro compito potessi limitarsi alla diagnosi e alla ricerca sulla malattia: ora sappiamo che prendersi cura di queste persone richiede equipe multi-professionali capaci di operare con continuità sia a domicilio che in ospedale, capaci di comunicare con il paziente e i suoi familiari per aiutarlo a vivere meglio con una malattia che le cure non possono guarire. Questo approccio – dicono i neurologi – richiede un cambiamento di mentalità e una riorganizzazione dei servizi che consenta ai pazienti un’assistenza specialista da parte di un neurologo anche nei momenti terminali della malattia. È in queste fase, caratterizzata da gradi di disabilità che dipendono dalla qualità delle cure e degli ausili adottati, che può maturare la decisione in merito alla paralisi respiratoria irreversibile: alcuni sceglieranno di non sopravvivere alla paralisi; altri potranno decidere di vivere ancora diversi anni grazie alla ventilazione artificiale; alcuni la subiranno in condizioni di emergenza. Le decisioni in questo ambito delicato secondo moltissimi punti di vista, sono critiche e molti colleghi – continua la nota – non se la sentono di accogliere le richieste dei malati. Prevale la ripugnanza istintiva a compiere un atto che conduce alla morte, o il timore di essere denunciati per un atto di eutanasia”.
Va anche evitato di creare un meccanismo perverso in conseguenza del quale i pazienti non vogliano iniziare una ventilazione solo per il timore di non poterla più sospendere quando le circostanze dovessero renderla inaccettabile. “Se fosse definitivamente stabilito che anche la ventilazione può essere lecitamente sospesa, sarebbe più facile iniziarla. Per questo chiediamo che in parlamento si arrivi a una legge che ridia univocità alle interpretazioni dei magistrati, e auspichiamo che si arrivi in tempi brevi ad una sentenza sul caso Riccio. Speriamo – concludono – che al più presto la morte di Piergiorgio Welby possa essere raccontata come una testimonianza coraggiosa, per la vita e per la sua qualità”.
1 commento:
Purtroppo però in Parlamento le cose rischiano di prendere la strada opposta.
Venerdì 6 luglio ho assistito a Udine al convegno sull'etica di fine vita organizzato dalla FNOMCEO, nel corso del quale la senatrice Paola Binetti ha detto che proporrà una legge nella quale verrà stabilito che la ventilazione meccanica non è una terapia e come tale non potrà essere interrotta in quanto, provocando come diretta conseguenza il decesso del paziente, tale atto sarà considerato al pari di un omicidio (le parole erano diverse ma il significato, per quanto ho capito io, era questo).
Nessuno dei partecipanti al convegno ha fatto notare che, con una legge del genere, al povero Welby non sarebbe stato possibile invocare il diritto a rifiutare la terapia e pertanto si sarebbe trovato costretto a restare a tempo indeterminato in quella situazione che lui stesso non sopportava più.
A mio parere, il presentare una legge così è indice di disprezzo assoluto per la libertà delle persone e anche di cattiveria e presunzione, tenuto conto che nessuno, finchè è sano, può immaginare cosa significhi vivere nelle condizioni in cui si trovava Welby e in cui si trovano altri con malattie analoghe.
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