martedì 12 settembre 2006

Abortire in casa

Su Liberazione un bell’articolo di Ritanna Armeni mette in evidenza i motivi per cui in Francia molte donne preferiscono abortire in casa con la RU486 («Abortire in casa. Per le donne francesi è possibile. Per le italiane è possibile almeno discuterne?», 10 settembre 2006, p. 1):

Abortire in casa? In Francia è possibile e le donne che lo preferiscono sono in aumento. La notizia è stata data con rilievo dai giornali francesi mentre da quelli italiani non è stata ritenuta degna di nota. È aumentato il numero delle donne che preferiscono interrompere la gravidanza fra le mura domestiche. Nel 2005, 10mila aborti su 200mila sono stati praticati fuori dalle strutture ospedaliere e il Ministro della salute ha reso noto che nel 2006 questo numero aumenterà e arriverà a 1500 al mese.
Si decide di abortire in casa per molti e comprensibili motivi. Perché non si ha voglia di recarsi in ospedale, parlare con i medici e gli infermieri, incontrare estranei, spiegare, raccontare. Non si vuole affrontare un’operazione chirurgica per quanto semplice. Non si vuole stare in una stanza d’ospedale. Si vuole che l’aborto rimanga un fatto privato, intimo, un problema doloroso da condividere col partner, con un’amica, o con una persona cara.
Possiamo immaginare le obiezioni che una simile pratica incontrerebbe in Italia. Tutte quelle che l’introduzione della pillola Ru486 ha già incontrato. Ci sarebbe sicuramente l’opposizione di chi, ritenendo l’aborto una colpa delle donne, pensa sia giusto che esse paghino almeno il prezzo di un’operazione chirurgica, provino la vergogna, affrontino la burocrazia e la lentezza delle strutture ospedaliere. Si scontrino con i medici obiettori che sono la stragrande maggioranza. …
Leggendo questa notizia è venuta spontanea la domanda su quante donne italiane di fronte alla necessità di abortire preferirebbero questo metodo che non le costringe, come avviene oggi, ad affrontare oltre che il trauma dell’aborto, anche quello della burocrazia e delle strutture ospedaliere non sempre accoglienti. Sono passati 27 anni dall’approvazione di quella legge 194 che ha liberato le donne italiane dal dramma della clandestinità e dell’illegalità. Forse è arrivato il momento di fare qualche passo avanti per rendere quella scelta dolorosa almeno un po’ più semplice. Forse è arrivato il momento di fare un bilancio e di cercare di superare quello che non funziona. In Italia è chiaro ciò che rende possibile oggi la piena applicazione della 194. L’obiezione della gran parte dei medici, che spesso con la coscienza non ha nulla a che fare, ha reso difficile e complicata l’interruzione di gravidanza. Provoca ritardi, lentezze, costringe i medici (pochi) che non fanno obiezione ad un lavoro massacrante. L’aborto a casa propria sotto il controllo medico lo renderebbe meno traumatico per le donne e meno pesante per i medici non obiettori. Le donne francesi stanno dando un segnale preciso. Non si potrebbe almeno provare a sapere che cosa ne pensano le italiane?
Sul Foglio risponde un commentatore anonimo – ma dallo stile e dagli argomenti direi che dovrebbe trattarsi di Eugenia Roccella («Bricolage», 12 settembre, p. 1):
Moderno squallore a domicilio in cui la colpa (quella che si vorrebbe eliminare evitando la trafila ospedaliera, il volto scoperto, le occhiate di un’infermiera o la preoccupazione di un padre) è moltiplicata dalla solitudine e dalla normalità di un pomeriggio (vari giorni in verità) in casa, diventa davvero la piccola storia ignobile di cui portare addosso ogni contorno, ogni particolare, ogni ora trascorsa ad ascoltarsi il mal di pancia. … Ecco dove sta la liberazione dal trauma: l’opportunità gelida di soffrire in silenzio, bere una camomilla e ficcarci le lacrime, e pensare che se non lo sa nessuno, allora forse non è successo.
Insomma, un esempio di quello che chiamerei il riflesso illiberale: non piace a me, non deve piacere neanche a voi. In uno degli articoli a cui faceva riferimento la Armeni, invece, Laurence Roussel, coordinatrice della pianificazione familiare di Nantes e membro dell’ufficio nazionale della pianificazione familiare francese, afferma con maggior saggezza (Anne Chemin, «“IVG en ville”: le choix d’avorter à domicile», Le Monde, 8 settembre):
Ogni donna è differente: non è detto che tutte si trovino nella stessa fase della propria vita. Per abortire non esistono metodi buoni e cattivi: quel che è importante è la possibilità di scegliere.
Nell’originale:
Les femmes sont toutes différentes et elles ne sont pas forcément au même moment de leur vie. Pour un avortement, il n’y a pas de bonne et de mauvaise méthode: ce qui est important, c’est d’avoir le choix.
Lo stesso articolo rivela una piccola ma significativa meschinità (o forse incuria) dell’autore (o dell’autrice) dell’editoriale del Foglio, che parlando di Sonia, la ragazza francese che ha raccontato a Le Monde la propria esperienza, prima riporta:
Diceva: “Questa gravidanza riguarda solo me e il padre del bambino”. E allora per interromperla non voleva intorno nessuno, oltre a se stessa sanguinante e al suo fidanzato consenziente.
e poi, più avanti, aggiunge:
Forse è anche questa la discrezione, non dire a nessuno che cosa è successo, quante volte si è vomitato, quanto sole ci si è sentite, ché poi il fidanzato aveva da fare, l’amica non capisce niente, la mamma non lo deve sapere.
Così sembra che la ragazza sia rimasta sola; e invece non è vero («Heureusement, mon compagnon était avec moi»). «Ma io parlavo in generale», si difenderebbe probabilmente la giornalista (o il giornalista) del Foglio, con una smorfia sarcastica...

5 commenti:

Anonimo ha detto...

sono pienamente d'accordo con l'aborto casalingo: se non c'è necessità di ospedalizzazione, non capisco perché imporla. qualsiasi sia il tipo di intervento, stare in ospedale è quanto meno scocciante.
ciò che però mi dà sempre fastidio è questo sottolineare che la scelta dell'aborto è sempre sofferta, dolorosa, angosciante. non è vero! è umiliante, è un fastidio, ma non è detto che debba essere una sofferenza! lo è se una vorrebbe avere un figlio e non può concederselo per una serie di motivi, oppure se in coscienza (spinte dalla propaganda della chiesa e simili) crede di uccidere un essere umano. ma ci sono moltissimi casi (e spero diventino tutti così) in cui le donne abortiscono serene di fare qualcosa di buono per sé e per la propria vita, in cui una donna non vuole un figlio perché non le interessa averlo e decide serenamente di non continuare con una gravidanza da lei non cercata.
questo continuare a rimarcare la scelta "sofferta" e "dolorosa" non fa che propagandare in maniera serpeggiante l'idea che abortire sia una colpa, quando invece deve essere sentito solo come un DIRITTO. non sarebbe meglio parlare di scelta "ponderata", "matura", "responsabile"?

Giuseppe Regalzi ha detto...

Concordo in pieno. Il problema è che anche da sinistra non si vuole riconoscere che l'aborto è un diritto (in quanto diritto di fare del proprio corpo e della propria vita ciò che si vuole), ma si preferisce invece non conferire autonomia alle donne e concepirle come soggetti deboli a priori, che hanno bisogno delle cure degli amministratori del disagio sociale. Il modello mentale che hanno è quello vetusto della moglie dell'operaio che non può tenere il figlio perché la famiglia non ha abbastanza soldi e ne ha già tre, non quello della donna che lavora e che un figlio non lo vuole proprio o lo vuole solo nel momento e alle condizioni che vorrà lei.

(Scusami, potresti firmare i tuoi commenti? Anche con un nickname, l'importante è che siano identificabili.)

Anonimo ha detto...

Senza dubbio la scelta è "sofferta, dolorosa, angosciante" per chi la subisce e non può difendersi. Non c'è mica solo la donna in un aborto, qualcuno ancora lo ricorda?
Oppure quel figlio è solo un disturbo o un ostacolo alla carriere o allo shopping? non sarà forse un caso che almeno la colpa rimanga, a ricordo che non èè un diritto come il diritto di comprare un paio di scarpe!

Marco

Anonimo ha detto...

Guardate, io sono un laico convinto, anticlericale, favorevole alla procreazione assistita anche eterologa e all'utilizzo degli embrioni congelati per la ricerca (piuttosto che gettarli via...). Però mi riesce difficile considerare l'aborto solo come un diritto. Certo, è meglio della gravidanza forzata ed è assurdo punirlo penalmente. Ma si tratta sempre dell'interruzione di un processo vitale che, senza interventi esterni, porterebbe alla nascita di un essere umano. L'embrione prodotto in vitro è un'entità senza prospettive, a meno che non si intervenga dall'esterno per impiantarlo, l'embrione già impiantato si avvia a divetnare una persona, a meno che non s'intervenga per eliminarlo. E quando s'interviene è sempre una sconfitta, perché si sacrifica comunque qualcosa d'importante.

Anonimo ha detto...

Personalmente ritengo che per 'sofferta' vada inteso ponderata: anche la scelta tra due facoltà universitarie può essere… sofferta.

Non vedo molta differenza tra decidere di non mettere al mondo figli utilizzando un anticoncezionale e scegliere l'interruzione di gravidanza perchè l'accorgimento ha fallito. La decisione di fondo è inequivocabile.
Certo, nel momento in cui si prospetta l'inaspettata ipotesi di una natalità, chi non riflette seriamente su quello che 'potrebbe essere' e che, senza ripensamenti, sicuramente 'non sarà'?
Un tale pensiero credo possa sorgere spontaneo…
Ma ciò vale anche nel caso in cui una coppia decidesse di non concepire prima dei trent'anni (anche con la castità!!!) e poi scoprisse che non è più in grado di procreare per sopraggiunti problemi di lui o di lei.
Come per tutte le cose, siamo sempre nell'ambito delle scelte e mai nulla garantisce che le nostre decisioni offriranno solo risvolti positivi o potremo, eventualmente, avere il tempo di cambiare idea.
Ecco da dove può venire la 'sofferenza'.

È naturale che cambia tutto se una persona pensa che anche il malfunzionamento di un contraccettivo sia dovuto a un disegno superiore…