giovedì 7 settembre 2006

Michael Tooley: infanticidio e attribuzione di un serio diritto alla vita all’embrione

Come promesso riprendo la discussione sullo statuto dell’embrione proponendo la tesi di Michael Tooley.

Secondo Michael Tooley (Michael Tooley, 1983, Abortion and Infanticide, Oxford, Oxford University Press) le più accettabili teorie sull’aborto sono quelle più estreme. La teoria che attribuisce al concepito un diritto alla vita è, senza dubbio, una teoria estrema. Anche se non si dichiara direttamente sull’aborto, prende posizione su una questione che costituisce il cuore del dibattito sulla legittimità dell’aborto (e di tutte le tecniche che coinvolgono l’embrione): il problema della definizione di persona come titolare di diritti.
Tutti i sostenitori della legittimità dell’aborto devono sostenere che persona si diventa ‘ad un certo punto’, e prima di quel punto, di quella soglia, è moralmente ammissibile intervenire per interrompere una gravidanza, dopo no, a causa del fatto che l’aborto si trasformerebbe nell’interruzione della vita di una persona, quindi in omicidio. Il problema della soglia è il problema di indicare una differenza moralmente rilevante tra i diversi stadi dello sviluppo di un essere umano, dallo zigote al neonato. Tale decisione non trova e non può trovare una soluzione ‘fattuale’, dal momento che nessun cambiamento fisiologico è intrinsecamente rilevante dal punto di vista morale, e che lo sviluppo prenatale è costituito da una linea continua e senza fratture. La linea di sviluppo concepito-persona è immaginabile come un segmento ove l’estremità sinistra è costituita dal concepimento, mentre l’estremità destra è delimitata dalle condizioni che definiscono un organismo come persona. È evidente che, per i sostenitori della teoria estrema della vita, tale segmento si contrae fino a diventare un punto (il concepimento e la vita personale prendono avvio nello stesso momento); per i sostenitori della distinzione tra concepito e persona, l’estremità di destra sarà collocata tanto più lontano da quella di sinistra quanto più l’emergenza delle caratteristiche proprie di una persona sarà collocata in uno stadio avanzato dello sviluppo (in un momento t precedente alla nascita, in un momento t coincidente con la nascita, in un momento t posteriore alla nascita).

La difficoltà di scegliere e di dimostrare la collocazione temporale di una soglia non indebolisce la distinzione tra pre-persona e persona. La difficoltà, se non l’impossibilità, di stabilire quando (l’esatto momento in cui) dall’infanzia si passa all’adolescenza o dalla giovinezza all’età adulta, rende la scelta del punto di passaggio arbitraria e non sostenuta da evidenze biologiche e psicologiche. Questa impossibilità non insinua comunque il dubbio o la tentazione di sostenere che non ci sia differenza tra uno stadio evolutivo e l’altro. I ‘più onesti’ e i più scrupolosi sarebbero disposti a indicare una fase di dubbio, che richiede precisazioni e aggiustamenti, ma che costituisce lo spartiacque tra pre-persona e persona: un segmento piuttosto che un punto esatto di discrimine.
Qualunque sia il momento in cui un ‘concepito’ diventa persona, quel momento è determinato dall’acquisizione di alcune caratteristiche, che permettono di attribuirgli un diritto alla vita e di parlare di inviolabilità di tale diritto. Prima di tale momento si può parlare solo un processo biologico complesso che, se non interrotto, evolverà in persona umana (cui indubitabilmente si attribuisce un diritto alla vita). Ammettiamo, per ipotesi, di conferire un diritto alla vita alla farfalla ma non al bruco (né alla crisalide) e di non poter indicare l’uscita dal bozzolo come il punto critico di passaggio da bruco a farfalla, non ritenendo tale evento come moralmente rilevante (allo stesso modo in cui non accettiamo che la nascita sia moralmente rilevante e costituisca il momento in cui un concepito diventa persona umana). Saremmo costretti a individuare determinate caratteristiche tali che l’organismo X possa essere definito farfalla e non più bruco: un certo grado di formazione delle ali, lo sviluppo di antenne sensibili, un certo accrescimento del corpo. È evidente che tali caratteristiche non insorgono in un momento t bensì si sviluppano lungo un certo periodo di tempo (una fase di dubbio, in cui è difficile decidere se X sia ancora bruco o già farfalla) e non insorgono neanche al momento della ‘nascita’ (la farfalla all’uscita del bozzolo è già farfalla). Nonostante queste difficoltà, continuiamo a distinguere concettualmente e fisicamente il bruco dalla farfalla (nonché lo stadio intermedio di crisalide), pur non riuscendo ad indicare l’esatto momento in cui avviene la trasformazione.

La posizione di Tooley acquista vigore dal confronto con la dottrina che sostiene che si è persone fin dal concepimento, abbracciata ad esempio dai cattolici e dai conservatori.
‘Dal momento che esistono le persone umane – ciò è indiscutibile – o lo si è da subito oppure mai’, sostengono i fautori di questa teoria estrema della vita, trascurando di specificare almeno una premessa che renderebbe più comprensibile la suddetta affermazione: poiché non si verifica mai, nello sviluppo prenatale, un evento individuabile come cruciale per la trasformazione di un grumo di cellule in persona. Secondo Dionigi Tettamanzi è l’unità sostanziale tra lo zigote e la sua continuità ontologica con il neonato la dimostrazione che fin dal concepimento esiste un uomo in senso proprio. “Il fatto che, dal punto di vista psicologico e sociale, la persona si realizzi come personalità in un lungo cammino di relazioni e di apporti culturali non toglie, anzi esige, che dal punto di vista ontologico, l’individuo umano possegga ciò che consente il suo realizzarsi come personalità fin dall’inizio della vita embrionale e pertanto debba ottenere il rispetto dovuto alla persona. Di conseguenza […] la dignità di persona va riconosciuta e attribuita a ogni individuo umano fin dal momento della fecondazione” (Dionigi Tettamanzi, 2000, Nuova Bioetica Cristiana, Casale Monferrato, Piemme, pp. 248-249). In base a questo ragionamento, si è persone da subito, ovvero, a partire dal concepimento, perché l’altra possibilità, che non si è mai persone, non è ovviamente neanche da prendere in considerazione (riprendendo l’esempio del bruco e della farfalla, si direbbe che si è da subito farfalle, oppure mai). Il problema è che la continuità ontologica tra lo zigote e il neonato è proprio ciò che si doveva dimostrare, mentre Tettamanzi la considera una premessa innegabile e ne inferisce la conclusione tautologica: il concepito è persona.
Ramón Lucas Lucas sostiene che “c’è una profonda ragione metafisica per cui la vita biologica dell’embrione è e deve esser già vita personale. […] La vita umana è la vita di uno “spirito incarnato”. Dunque una vita vegetativa d’un embrione umano è una vita personale umana perché il suo principio vitale unico è l’anima spirituale” (Ramón Lucas Lucas, 2001, Antropologia e Problemi Bioetici, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, p. 84, il corsivo è mio). Un’analisi anche superficiale lascia emergere che, messe da parte le affermazioni riguardanti lo spirito incarnato e l’anima spirituale, non c’è nessuna argomentazione razionalmente accettabile a favore della necessità di considerare una vita vegetativa come una vita personale. La vita di un grumo di cellule è la vita di una persona in virtù della presenza (e delle proprietà) dell’anima. È superfluo sottolineare che tale (presunta) spiegazione è da rifiutare allo stesso modo in cui la spiegazione delle pestilenze rifiuta la credenza che fossero gli untori a scatenare l’insorgenza del male (al massimo potremmo concedere una corresponsabilità della diffusione agli untori se e solo se erano appestati, allo stesso modo in cui erano corresponsabili della diffusione tutti gli appestati). Il richiamo a Dio o all’anima come una soluzione al dilemma dello statuto giuridico dell’embrione somiglia, come si dice, al tentativo di risolvere il mistero tramite un altro mistero, magari più autorevole ma pur sempre un mistero. Inoltre non può fare appello a un accordo unanime, perché è razionale affermare che sebbene alcuni individui accetterebbero l’argomento di Dio, molti lo rifiuterebbero. Per questo motivo non può offrire una dimostrazione né può essere utilizzata come premessa: coinvolgere Dio significa far tacere la discussione oppure farla retrocedere al problema dell’esistenza di Dio.

La posizione conservatrice è meno ingenua: dal momento che è sbagliato distruggere un neonato, lo è anche distruggere uno zigote o un qualsiasi stadio intermedio nello sviluppo dell’essere umano; se si afferma che è sbagliato distruggere un neonato ma non uno zigote o un qualsiasi stadio intermedio nello sviluppo dell’essere umano, così come sostengono i fautori della distinzione tra pre-persona e persona, si deve specificare una linea divisoria non arbitraria tra ciò che è moralmente ammissibile distruggere e ciò che non lo è.
In questa posizione è possibile distinguere concettualmente due argomenti: quello della difficoltà nell’indicare una soglia e quello della potenzialità. Al primo ho già risposto; il secondo merita una breve trattazione.
L’argomento della potenzialità dice che è moralmente inammissibile distruggere qualsiasi stadio intermedio nello sviluppo dell’essere umano in virtù del fatto che l’esito di questo sviluppo sarà una persona. L’embrione è un soggetto moralmente e giuridicamente rilevante perché ha la potenzialità di acquisire caratteristiche moralmente e giuridicamente indiscutibilmente rilevanti, cioè quelle attribuite alle persone.
La prima obiezione consiste nel rilevare che la possibilità che un organismo acquisisca in futuro caratteristiche che lo rendono diverso dallo stato attuale, non è affatto una buona ragione per trattarlo come se avesse già acquisito quelle caratteristiche. Altrimenti, come suggerisce John Harris, dal momento che tutti noi siamo potenzialmente morti, dovremmo trattarci come se lo fossimo già (le analogie sono innumerevoli: sani/malati, giovani/vecchi, etc.). Il fatto che l’attribuzione di diritti attuali sia derivato da future proprietà sia un errore commesso esclusivamente nel dibattito che riguarda lo statuto embrionale, sembra suggerire una certa disonestà di questa argomentazione. Nessuno accetterebbe, infatti, di attribuire il diritto di voto a un dodicenne, soltanto perché egli è un ‘potenziale votante’ e tra sei anni godrà di quelle proprietà che sono indicate come necessarie all’attribuzione del diritto di voto; tale diritto ora è solo potenziale, e non può essere reso attuale (Joel Feinberg).
La seconda obiezione consiste nel sostenere che l’argomento della potenzialità impone di difendere e garantire tutte le potenzialità umane, e questo richiederebbe tempo e energie quasi illimitati. Oltre all’embrione, infatti, anche lo spermatozoo e l’ovulo nel loro insieme, anche se non ancora uniti, sono potenzialmente un essere umano in senso pieno. Tutto ciò che potenzialmente è un embrione è anche potenzialmente un essere umano in senso pieno. Tutti gli anelli della catena causale che conducono alla persona sono potenzialmente persona: anche lo spermatozoo e l’ovulo considerati singolarmente hanno la potenzialità di contribuire alla fecondazione, e dunque di essere persona.

Tooley intende confutare la tradizionale obiezione etica contro l’aborto, che consiste nell’attribuzione di un diritto alla vita all’embrione e al feto (attribuire un diritto alla vita al feto determina, a seconda dell’assolutezza di tale diritto, la condanna di immoralità anche della sperimentazione embrionale, della diagnosi preimpianto che non sia meramente conoscitiva, della soppressione o della crioconservazione degli embrioni). Le questioni da discutere diventano quella di (1) quali proprietà deve possedere un organismo per avere un serio diritto alla vita, e (2) qual è il momento nello sviluppo di un membro della specie umana a partire dal quale si possiedono tali proprietà. In altre parole, cosa rende un organismo una persona e quando un organismo diventa una persona. Il concetto di persona è puramente morale, e deve essere distinto dal termine descrittivo ‘essere umano’: come tale accolgo l’uso da parte di Tooley dell’enunciato ‘X è una persona’ quale sinonimo dell’enunciato ‘X ha un (serio) diritto alla vita’. Spesso nelle discussioni vengono usati i termini ‘persona’ ed ‘essere umano’ come sinonimi, ma le conseguenze di questa interscambiabilità sono filosoficamente confuse. Per evitare confusione il termine ‘essere umano’ può essere sostituito dall’espressione ‘membro della specie homo sapiens’, evitando l’ambiguità di umano e lasciando soltanto una caratterizzazione in termini fisiologici di un certo tipo di organismo biologico.
La risposta di Tooley alla prima questione è il requisito dell’autocoscienza: “un organismo possiede un serio diritto alla vita solo se possiede il concetto del sé come soggetto continuo nel tempo di esperienza e altri stati mentali, e crede di essere una tale entità continua nel tempo” (Michael Tooley, 1972, Abortion and Infanticide, “Philosophy and Public Affairs”, 2, 1, pp. 37-65; ora in Giampaolo Ferranti, e Sebastiano Maffettone, 1992, (a cura di), Introduzione alla Bioetica, Napoli, Liguori, p. 33). La tesi sottostante al requisito dell’autocoscienza è che vi sia un rapporto tra attribuzione di un diritto e un desiderio corrispondente. Tooley espone inizialmente una versione semplificata del suo argomento dell’autocoscienza, i cui passaggi fondamentali possono essere riassunti come segue. (1) ‘A ha diritto a x’ significa approssimativamente che ‘se A desidera x, allora gli altri devono astenersi da azioni che possano deprivarlo di x’. È necessario chiarire cosa si intenda per desiderio e chi sia in grado di provarne; perciò (2) ‘A ha diritto a x’ diventa sinonimo di ‘A è soggetto di esperienza e altri stati mentali, A è capace di desiderare x, e se A desidera x, allora gli altri devono astenersi da azioni che possano deprivarlo di x’. A questo punto l’analisi deve essere applicata a un diritto specifico, ovvero al diritto alla vita: ove ‘vita’, si badi, non significa ‘mera esistenza di un organismo biologico’, ma ‘esistenza da parte di un soggetto di esperienza e altri stati mentali’. Allora (3) ‘A ha diritto alla vita (=diritto a continuare a esistere come soggetto di esperienza e altri stati mentali)’ è sinonimo di ‘A è soggetto di esperienza e altri stati mentali, A è capace di desiderare di continuare a esistere come tale, e se A desidera continuare a esistere, allora gli altri hanno un obbligo a non impedirgli di fare ciò’. L’ultimo passo dell’argomento di Tooley è rappresentato dalla definizione dei requisiti tali che qualcosa possa avere il desiderio di continuare a esistere come soggetto di esperienza e di altri stati mentali (il possesso del concetto di soggetto di esperienza e altri stati mentali e la credenza di essere un soggetto del genere), e dalle eccezioni all’inferenza desiderio-diritto e soprattutto al suo opposto non desiderio-non diritto. È possibile violare il diritto di x di un individuo anche se costui non desidera x (coma, sonno, turbamento emotivo), e per questo Tooley deve introdurre una rettifica all’iniziale argomento semplificato: “il diritto di un individuo a x può essere violato non solo quando egli desidera x, ma anche quando desidererebbe ora x se non fosse per una delle seguenti ragioni: (i) si trova in uno stato emotivamente squilibrato; (ii) è temporaneamente privo di coscienza; (iii) è stato condizionato a desiderare la mancanza di x” (pp. 37-38).
Chiarita la natura del requisito dell’autocoscienza, Tooley afferma che l’embrione e il feto non posseggono un simile requisito, e quindi non godono di un serio diritto alla vita che deve essere tutelato; in altre parole, non sono persone. È evidente che non possa essere considerato come una persona nemmeno il concepito, e questo è quanto mi interessa sostenere in questa sede. L’onere della prova pesa, adesso, sulle spalle di coloro i quali intendono sostenere il contrario. (Per concludere il ragionamento di Tooley, la dimostrazione che il feto e l’embrione non sono persone rappresenta una potente difesa della libertà di abortire sulla base di un forte principio morale. Il carattere estremo della posizione di Tooley è determinato dal fatto che l’attribuzione di quelle caratteristiche di autocoscienza necessarie per l’emergenza della persona non sia contemporanea alla nascita, ma successiva ad essa: un neonato non può avere la capacità di desiderare di esistere come soggetto di esperienze ed altri stati mentali. Il fatto che l’attribuibilità dell’autocoscienza si manifesti solo in seguito alla nascita rende moralmente equivalenti il neonato e il feto per un certo periodo di tempo e moralmente ammissibili sia l’aborto che l’infanticidio. A me basta, lo ripeto, affermare che il momento dell’acquisizione dello statuto di persona non sia coincidente con il concepimento né con la fase iniziale della sviluppo embrionale, ma occorra in seguito.)

Se si accoglie la posizione di Michael Tooley, si accetta che l’embrione non è una persona (intendendo con questo il possesso di un serio diritto alla vita), e la più forte obiezione contro l’aborto cade – e così contro la manipolazione degli embrioni. Ma vi sono molti che rifiutano tanto la conclusione che l’argomento usato e, sebbene non siano capaci di provare l’erroneità di un simile argomento, considerano l’embrione alla pari di una persona. Senza concedere loro nulla gratuitamente, desidero indagare la questione come se all’embrione fossero attribuiti dei diritti, tra questi anche il diritto alla vita, il più controverso di tutti. In altre parole, intendo rispondere alla seguente domanda: quali sono le implicazioni del conferire all’embrione lo statuto morale e giuridico di una persona, dell’attribuirgli un serio diritto alla vita?
L’eventuale attribuzione di diritti all’embrione implica una potenziale violazione dei diritti di un’altra persona (la madre). Attribuire all’embrione un diritto alla vita, determina inevitabilmente un contrasto con il diritto alla vita (incontrovertibile) della madre. Attribuire un serio diritto alla vita all’embrione implica, in primo luogo, un indebolimento o l’annullamento della libertà di abortire. L’aborto sarebbe accettato se e solo se la vita della madre fosse in pericolo in caso di non interruzione della gravidanza (ma solo nel caso in cui il diritto alla vita di questa fosse ritenuto più forte del diritto alla vita del nascituro; nel caso in cui il diritto alla vita del feto fosse considerato più forte del diritto alla vita della madre, è evidente, l’aborto diventa in ogni caso inammissibile). Inoltre l’attribuzione di un diritto alla vita all’embrione delinea uno scenario in cui i diritti di due persone possono entrare in conflitto: un comportamento volto a non danneggiare lo sviluppo prenatale, ad esempio, potrebbe essere imposto per legge (e non soltanto essere ritenuto morale e consigliabile), pena la violazione di un diritto di un soggetto di diritti (il concepito durante tutta la gestazione), e dunque punibile. Un caso estremo del conflitto tra i diritti dell’embrione e i diritti della madre è rappresentato da un fatto di cronaca della primavera 2001: negli Stati Uniti Regina McKnight, il cui comportamento è giudicato la causa della nascita di un bambino morto, è accusata di omicidio e condannata a scontare dodici anni di carcere. Nel 1996 la Corte Suprema di uno degli Stati roccaforte del movimento anti-abortista, il South Carolina, approva una legge che considera persona il feto che abbia raggiunto l’autosufficienza, la possibilità cioè di sopravvivere fuori dall’utero (a viable fetus is legally a person ). Nel 2001 viene approvata una legge federale che vuole tutelare tutti i cittadini, compresi quelli non ancora nati: l’Unborn Victims of Violence Act.

Su Regina McKight e l’Unborn Victims of Violence Act torneremo.

17 commenti:

Anonimo ha detto...

Pur essendo in generale d'accordo, trovo che l'obiezione di J.Harris riguardo al principio di potenzialita' sia probabilmente mal posta. Prendiamo l'esempio del 12enne non votante. Il fatto che diventera' votante fra 6 anni non implica che dovrebbe avere diritto di voto oggi. D'accordo. Ma l'argomento della potenzialita' dice una cosa diversa, sostiene piu semplicemente che gia' oggi un dodicenne ha diritto di diventare votante fra 6 anni (se vive per il necessario) in virtu' del fatto che esistono 18enni votanti a lui contemporanei e che la legge si applica allo stesso modo per tutti. In questo caso specifico l'applicazione di questo principio di potenzialita' non ha effetto pratico, e non mi sembra produrre errori logici. Non si dimostra cioe' che il principio di potenzialita' sia illogico.
Mi sembra poi una sciocchezza l'obiezione che siccome tutti un giorno moriremo, per lo stesso principio dovremmo trattarci come se lo fossimo gia'. Quali sarebbero i diritti dei morti che i vivi vorrebbero rivendicare?

In ogni caso nel diritto civile e penale si tiene in grande considerazione il principio di potenzialita' (inteso come catena di cause-effetti potenziali) quando questo e' unito alla conoscenza (o ragionevole prevedibilita') degli effetti di atti volontari.

Per esempio, l'omicidio nel diritto penale non e' di un solo tipo ma puo' essere classificato come volontario, colposo, praeter intenzionale, etc, proprio perche' si tengono in conto le intenzioni, la volontarieta', la consapevolezza degli effetti causati, di chi uccide. Le pene detentive sono fortemente differenziate, cosa che a tutti noi sembra ragionevole. Un conto e' far cadere un martello sulla testa di qualcuno perche' lo ho dimenticato in bilico su un'impalcatura, altra cosa e' sciogliere del cianuro nel caffelatte di mia suocera.
In modo analogo viene punito il reato di omissione di soccorso (con accusa del tipo: "potevi ragionevolmente prevedere che il ferito nell'incidente sarebbe morto ma non hai fatto nulla per evitare quella evenienza futura").

Sulla base degli attuali principi di diritto penale, non mi sembra cioe' cosi' insensato ravvisare una responsabilita' in chi sopprime un embrione, essendo consapevole del fatto che esso sarebbe diventato un individuo autocosciente. Anche un comatoso potra' (ri)diventare autosciente, e infatti ucciderlo in stato di coma e' considerato un omicidio.
Possiamo davvero considerare rilevante il fatto che l'embrione non fosse autocosciente in alcun istante precedente il suo attuale stato (a differenza del comatoso che era autocosciente prima di cadere in coma)? Perche' dovrebbe essere rilevante?

L'unico modo che io vedo possibile per uscire dall'impasse di dover equiparare l'aborto all'omicidio sta della seconda obiezione di Tooley, secondo cui la coppia ovulo-spermatozoo "nel loro insieme, anche se non ancora uniti, sono potenzialmente un essere umano in senso pieno. Tutto ciò che potenzialmente è un embrione è anche potenzialmente un essere umano in senso pieno."
Ma allora siamo praticamente tutti omicidi.
E questo paradossalmente risolve la questione, come e' facile capire.

Saluti.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Affermare che «un dodicenne ha diritto di diventare votante fra 6 anni» può significare due cose distinte:

1. Se il dodicenne vive altri sei anni, allora – e non prima – avrà diritto di diventare votante. Ma questo si può dire anche dell'embrione: se l'embrione diventa una persona tra x mesi, allora – e non prima – godrà del diritto alla vita.

2. Il dodicenne ha già ora il diritto di arrivare ad essere votante. Ma questo non dipende da un diritto potenziale ad essere votante, bensì da un diritto attuale a vivere; e ciò non si può dire anche dell'embrione, se non al prezzo di una petizione di principio, perché dovremmo dare per acquisito che goda del diritto alla vita: cosa che invece dobbiamo dimostrare.

Il fatto che «l'embrione non fosse autocosciente in alcun istante precedente il suo attuale stato (a differenza del comatoso che era autocosciente prima di cadere in coma)» è rilevante. Come afferma Tooley (e non è il solo), aver diritto a x equivale (sia pure solo prima facie) a desiderare x. Fino a un attimo prima di perdere la coscienza, il comatoso ha avuto il desiderio, anche solo implicito, di continuare a vivere (vale a dire: se fosse stato interrogato in proposito avrebbe confermato che tale era il suo desiderio); ha quindi anche il diritto di vivere (se la perdita di coscienza non è totale, o se esiste una possibilità di ripresa). Ma è un fatto che l'embrione non ha desideri di sorta, e quindi non ha neanche diritto alla vita.

Anonimo ha detto...

Va bene. A me sembra solo che l'esempio del 12enne non dimostri alcuna tesi. Non capisco bene oltretutto come presumere oggettivamente le volonta' di chi ha perso l'autocoscienza senza lasciar detto alcunche' su tali proprie volonta'. Si puo' sempre trovare qualcuno che presumebbe anche la volonta' del futuro individuo attualmente embrione che interrogato sul desiderio di essere soppresso quando era tale risponderebbe probabilmente di no.

Mi premeva del resto solo mettere in evidenza che trovo attaccabile la prima obiezione di Tooley, mentre mi sembra molto solida la seconda.

Saluti.

ps; Lei abusa del verbo essere (come fanno tutti). Se Le interessa capire perche lo dico puo' leggere questo articolo che personalmente ho trovato davvero interessante.
http://www.nobeliefs.com/eprime.htm
Altre considerazioni riguardo alla presunta natura umana dell'embrione sono ben sviluppate in una risposta di B.Caudana a V. Possenti dell'Univ. di Venezia, di cui consiglio la lettura:
http://www.adaptive.it/ph/embrio.htm

Giuseppe Regalzi ha detto...

L'esempio del dodicenne dimostra che non è possibile interpretare diritti potenziali come diritti attuali: se un embrione diventerà persona e avrà per questo diritto alla vita, ciò non vuol dire che abbia diritto alla vita anche adesso che persona non è. Lei, mi pare, aveva mosso un'obiezione, a cui ho tentato di rispondere.

Riguardo al comatoso e alla persona futura: per prima cosa, sgombriamo il campo da interferenze con il problema (che qui non ci interessa) di accertare le volontà del primo o del secondo, e diamo per scontato di sapere con certezza che per entrambi la propria vita abbia un grande valore. Ma nel caso del primo, il desiderio di vivere è stato espresso realmente in un dato punto del tempo; nel caso del secondo, questo desiderio sarà espresso solo se l'embrione continua a vivere, mentre se l'embrione muore questo desiderio non sarà ovviamente mai espresso. Ma l'orrore di un omicidio consiste appunto nell'impedire che qualcuno soddisfi il proprio desiderio di vivere, non nell'impedire che qualcuno sviluppi il proprio desiderio di vivere. Nel primo caso uccido una persona concreta, reale, che ha desideri e aspettative; nel secondo, non faccio sparire dal futuro una persona che stava lì concretamente (come in un racconto sui paradossi della macchina del tempo, quando qualcuno torna indietro nel passato e ammazza il nonno di un suo conoscente).

Grazie per la segnalazione degli articoli: riguardo all'abuso del verbo essere farò quello che mi è possibile – oops, pardon, quello che posso :-) La risposta di Caudana merita di essere letta, nonostante qualche ingenuità nello stile, che non impedisce però di apprezzarne la lucidità: il problema dell'essenzialismo è effettivamente sottinteso in molti dei dibattiti attuali.

Anonimo ha detto...

Mi fa piacere che abbia apprezzato il link :)
Il mio approccio e' piu pragmatico: scrivo di getto e poi controllo la possibilita' di sostituire il verbo essere nelle frasi mantenendo il significato che intendevo. (naturamente cio' non mi impedisce di dire corbellerie, ma almeno
rende piu' difficile l'operazione).

Riscrivo la Sua affermazione iniziale in un modo che a me pare piu' consistente:

"L'esempio del dodicenne dimostra che non è sempre possibile interpretare diritti potenziali come diritti attuali: se un embrione diventerà persona e avrà per questo diritto alla vita, ciò non vuol dire che abbia diritto alla vita anche adesso che io non lo considero una persona. "
Ma i diritti civili si applicano, per definizione, alle sole "persone". Petitio principii.
Ora vede perche' prendo piuttosto seriamente l'e-prime.

Ma immaginiamo che invece avesse fatto solo questa affermazione:
A="L'esempio del dodicenne dimostra che non è sempre possibile interpretare diritti potenziali come diritti attuali: se un embrione diventerà persona e avrà per questo diritto alla vita, ciò non vuol dire che abbia diritto alla vita anche adesso"
Anche cosi' la verita' dell'affermazione A non implica che l'embrione non possa possedere l'attributo giuridico di "persona". Cioe' non esclude che la necessita' di identificare embrione=persona possa discendere da altre considerazioni. Cioe' non dimostra nulla a meno di assumere gia' come ipotesi che l'embrione non sia una persona.

Riguardo alla seconda parte, Lei afferma che "l'orrore di un omicidio consiste appunto nell'impedire che qualcuno soddisfi il proprio desiderio di vivere, non nell'impedire che qualcuno sviluppi il proprio desiderio di vivere".
Concordo pienamente, ma si tratta di una preferenza e non di una deduzione logica da principi fisici. E' una scelta possibile fra molte altre scelte possibili.
Mi sembra difficile che lei riesca a dimostrare la verita' oggettiva e incontrovertibile della necesssita' di identificare la negazione del desiderio di vivere con l'omicidio giuridico. O ci riesce?

Saluti.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Mi perdoni, ma non riesco a vedere dove stia la petizione di principio; a meno che non ci sia un equivoco sulla definizione di «persona», che lei – mi sembra – usa nel senso giuridico di «titolare di diritti», e che io impiego invece nel significato lockiano di «essere intelligente e pensante che può considerare se stesso in diversi tempi e luoghi», cioè in breve di essere autocosciente e per ciò stesso dotato del diritto alla vita – il che ovviamente non significa di per sé che solo gli esseri autocoscienti abbiano diritti.
Riformulando la mia affermazione: l'esempio del dodicenne dimostra che non è possibile interpretare diritti potenziali come diritti attuali: se un embrione diventerà autocosciente e avrà per questo diritto alla vita, ciò non vuol dire che abbia diritto alla vita anche adesso che autocosciente non è (e quest'ultimo è un fatto empirico, per quanto confutabile, non una mia opinione!).

Negli argomenti di etica è quasi impossibile trovare dimostrazioni oggettive e incontrovertibili, per non parlare di «deduzioni logiche da principi fisici». Che l'omicidio sia condannabile perché nega la libertà dell'ucciso si può sostenere in base a vari ragionamenti, che sono qualcosa di meno di verità logiche e qualcosa di più di mere preferenze:

1. questo è ciò che appare all'introspezione: mi appare (e ho buoni motivi per pensare che appaia anche a molti altri) preferibile continuare ad esistere non perché ciò costituisca un dovere di qualche tipo o perché la vita sia in sé buona, ma perché la mia vita è buona, e voglio esserci anche domani e doman l'altro;
2. fare sì che persone possibili non comincino ad esistere non danneggia nessuno nello stesso modo che un omicidio danneggerebbe una persona attuale, e inoltre ammettere che ciò sia riprovevole significherebbe pensare, p.es., che se ho già dieci figli e non ne genero un undicesimo merito l'ergastolo;
3. ciò che viene definito omicidio nei codici correnti coincide in larghissima parte con la soppressione di esseri autocoscienti: comprende in più le persone la cui corteccia cerebrale è distrutta (ma che non si trovano in stato di morte cerebrale), e in meno le grandi scimmie e, forse, i cetacei.

Personalmente questo mi basta.

Anonimo ha detto...

Essendo via per lavoro mi scuso se non potro rispondere ad altri post velocemente.
Lei pensa di aver dimostrato che l'esempio del dodicenne che mai e' possibile trasferire diritti potenziali futuri a diritti attuali. Cosa non necessariamente vera (per lo meno non dimostrata vera). Ci sono diritti giuridici potenziali che sono gia' trasferiti come attuali (se ho diritto di sposarmi a 40 anni allora ne ho diritto anche oggi a 30, anche se non devo combattere per avere questo diritto che gia' ho, ..ma se qualcuno cercasse di negarmelo potrei addurre la potenzialita' del diritto futuro). Stabilire quanto un diritto civile possa avanzare o retrocedere nel tempo e' un elemento del diritto stesso che non mi sembra discendere da principi indipendenti. (ci sono altri esempi.. ad es. con le tasse e il fisco).
A volte l'estensione viene fatta valere a volte no.

Persino quando parliamo di autocoscienza e' difficile pronunciarsi su certi casi limite (stati comatosi, demenze, ma anche autocoscienza in altre specie viventi come primati e delfini, o, per un futuro forse non troppo lontano, possibili stati di autocoscienza di macchine non biologiche.. etc.).
Altrettanto puo' dirsi per lo stabilire oggettivamente che cosa sia vivo e cosa non lo sia. Un virus e' vivo? Un prione? Se un herpes virus e' vivo lo e' anche un virus che infetta il sistema operativo di un pc?

Gli argomenti etici o hanno valore oggettivo o non ne hanno, e rappresentano nel qual caso solo il desiderio e la preferenza di chi li esprime. Nel secondo caso non valgono nulla perche non valgono necessariamente per tutti. Dove per tutti intendo veramente tutti.
Gli argomenti etici non sono teoremi, e questo li rende oggettivamente inservibili a meno che con un esplicito e dichiarato atto della nostra arbitraria volonta' li adottiamo come vigenti.

L'etica non esiste senza metafisica. E se non esiste come metafisica e' il risultato fisico di una serie convenzioni sempre rivedibili e ridiscutibili. (vedi sempre di B.Caudana "Condizioni per qualsiasi etica normativa" http://www.adaptive.it/ph/etlog_it.htm )

Complimenti per il sito e Saluti.

Giuseppe Regalzi ha detto...

A me sembra che Harris e Feinberg abbiano ragione ad affermare che da diritti potenziali – legati cioè al raggiungimento di certe condizioni future – non discende che gli stessi diritti possano essere goduti prima del raggiungimento di quelle condizioni. Il suo esempio, mi scusi, mi sembra poco congruente: certo che se ho diritto di sposarmi a quarant'anni avrò anche diritto di sposarmi a trenta, dato che nessuno ha stabilito una soglia legale intermedia; ma non è vero che ho per questo anche il diritto di sposarmi a quindici anni, in barba all'art. 84 del Codice Civile che lo vieta. Ricordiamoci che la nostra discussione riguarda appunto il caso del diritto alla vita, che si applica (da un punto di vista etico, se non giuridico) alle persone autocoscienti, ma che alcuni vorrebbero applicare anche a chi non è autocosciente, solo perché potenzialmente lo può diventare.

L'autocoscienza è difficile da delimitare, è vero; è difficile anche stabilire un limite preciso tra piano e monte, ma questo non significa che in generale le due cose siano distinguibili. Nulla osta, mi pare, a considerare l'autocoscienza condizione necessaria per il conferimento di diritti. Sui casi limiti ci si regolerà affinando l'indagine e scegliendo ampi margini di sicurezza.

La dicotomia tra verità oggettive che tutti credono e preferenze che alcuni seguono è convincente – ma solo in apparenza. Prendiamo in considerazione una verità scientifica anche banale, come per esempio il fatto che la Terra sia una sfera. Ovviamente non si tratta di un'opinione o della preferenza di alcuni: le prove sono ben note e alla portata di tutti. Ma questo non vuol dire che tutti ci credano: esiste una sparuta minoranza che crede che la Terra sia in realtà una cavità all'interno di una massa solida (con i corpi celesti raggruppati al centro della cavità), e che le prove siano spiegabili in altri modi – in genere come contraffazioni operate da qualche potere misterioso e malevolo (di recente è venuto fuori che il creatore di un famoso sito italiano dedicato a dimostrare che gli attentati dell'11 settembre sono opera della Cia e che l'uomo non è mai stato sulla Luna, crede anche nella teoria della Terra cava). Qualsiasi argomento logico o fattuale si voglia apportare non ha la capacità di convincere tutti, nemmeno quelli che lo afferrano pienamente. Se non voglio crederci, non ci crederò – anche se questo può risultare particolarmente difficile (e infatti i sostenitori della Terra cava sono quattro gatti).
Allo stesso modo l'etica, anche se difficilmente può risultare altrettanto cogente delle prove della sfericità della Terra, può nondimeno presentare argomenti razionali a partire da principi generali di uniformità; ma questi argomenti non possono forzare le convinzioni di tutti, per non parlare dei loro comportamenti (è per questo, in fondo, che esistono le leggi).

Anonimo ha detto...

Harris e Feinberg abbiano pure ragione (ma penso che i termini della questione siano comunque malposti), ma non dimostrano nulla di interessante.
Mettiamola cosi':
{(B non implica A) e' vero} non implica {A e' falso}.
Dove per es.: A="Il feto ha diritto di vivere", B="Un adulto ha diritto di vivere".

Nulla osta al considerare l'autocoscienza condizione necessaria per il conferimento di diritti. Infatti anche questa e' la mia stessa preferenza. Ma non e' un teorema. E' una scelta.
Quando dicevo "per tutti" intendevo la ricerca di una verita' oggettiva a priori (simile ad es. al fatto che per tutti, nell'algebra dei numeri interi, 2+2=4; che continua a essere vero anche se chi non sa contare lo nega).

L'etica può presentare argomenti razionali/ragionevoli a partire da principi generali. Ma questi principi generali sono arbitrariamente scelti fra un insieme di principi generali equipossibili. E siamo punto d'accapo, finche' qualcuno non ci spieghi perche' non sarebbero tutti equipossibili.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Quello che dimostrano Feinberg e Harris sarà anche non interessante, ma intanto è la confutazione di un argomento a sostegno di A, e quindi a qualcosa serve.

Non siamo noi, mi pare, a dover dimostrare che gli esseri non autocoscienti non hanno diritti; sono quelli che sostengono che hanno diritti a doverlo provare, visto che la concessione di quei diritti è onerosa anche per noi (che non possiamo ricorrere all'aborto, non possiamo utilizzare embrioni per ricavarne cellule staminali, etc.). E non possono venirci a dire che questa è la loro preferenza, a meno che non accettino che anche noi si possa imporre loro le nostre preferenze. Naturalmente questa non sarà una verità oggettiva a priori, ma per molti scopi pratici dovrebbe bastare. A meno di scegliere altri principi morali equipossibili; ma io continuo a pensare che tra il principio «tutte le persone autocoscienti hanno diritto alla vita», e il principio «tutti e solo quelli che si chiamano Luigi hanno diritto alla vita» il primo sia preferibile al secondo anche a lume di ragione.

Anonimo ha detto...

Ok! Ma {B non implica A} non confuta {A e' vero}! L'argomento avra' una certa presa psicologica, ma e' tecnicamente sbagliato.

Non so sinceramente chi debba caricarsi l'onere di dimostrare che cosa. Comunque il passato ci insegna che anche altre etiche sono state scelte; etiche in totale contrasto con il nostro modo di pensare. Ad es. l'Etica della Razza e' stata sposata democraticamente dalla Germania e dalle principali "autorita' morali" del '38. Non dimentichiamolo, un grande numero di persone libere, intelligenti e autocoscienti l'hanno preferita all'etica di Giuseppe Regalzi, e suonava cosi': «solo quelli che non sono Ebrei hanno diritto alla vita».

Giuseppe Regalzi ha detto...

Sì, ma chi ha mai detto che {B non implica A} confuta {A è vero}? Nei suoi limiti (B non implica A) l'argomento è corretto.

Che etiche diverse dalla mia siano state scelte in passato – e anche nel presente – mi è noto, in effetti; l'Etica della Razza (che, lei mi scuserà, era adottata da persone che se erano libere non erano intelligenti, e se erano intelligenti non erano libere) non si fondava su una preferenza arbitraria, per cui gli ‘Ariani’ erano preferibili per un puro atto della volontà agli Ebrei, agli Slavi e agli Zingari; si fondava invece su una massa di dottrine pseudo-scientifiche, che attribuivano falsamente determinate caratteristiche alle razze umane, e su calunnie diffuse ad arte, che incolpavano intere etnie di complotti immaginari contro la Germania. I Nazisti sapevano evidentemente che senza fatti inventati non sarebbero riusciti a orientare i valori dei loro concittadini. Forse persino noi, se ci trovassimo in una guerra e fossimo convinti che tra di noi si trovano degli alieni ostili che di umano hanno soltanto le sembianze, saremmo tentati di sterminarli...

Anonimo ha detto...

Direi di no - l'argomento cosi' ridotto mi sembra corretto solo come postulato (ovviamente) ma non come tesi parziale. Ma dal mio punto di vista non e' neppure molto interessante discuterne visto che cmq non dimostra la falsita' di A.

Hitler era intelligente (nel senso che era dotato di capacita' logico-formali sicuramente superiori alla media della popolazione italiana o tedesca attuale e del tempo) e libero. E cosi' pure molti altri gerarchi, militari, civili, vescovi e cardinali (vd. http://www.nobeliefs.com/nazis.htm ), come pure alcuni intellettuali. Oggi, nel 2006, abbiamo l'Islam che fa analoghe affermazioni (sull'inferiorita' degli "infedeli", delle donne, degli omosessuali etc.).
Tutti lo fanno convinti di disporre di un Etica/Morale oggettiva. Sulla base di questa presunzione impongono ad altri il loro personale punto di vista.
Ti uccidono per il tuo Bene.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Non capisco come possa ridurre quell'argomento a un postulato: a me pare una classica dimostrazione per assurdo. Comunque se non è interessato possiamo anche smettere di parlare di questo.

Su Hitler posso ammettere che fosse intelligente (nonostante una condotta della guerra, da un certo punto in poi, abbastanza demenziale); per i suoi seguaci ho qualche dubbio, e in ogni caso non so quanto fosse sincera la loro concezione etica: mi pare che ci fosse più cinismo ed opportunismo che convinzione sincera. Lei però non ha risposto per nulla alla mia obiezione sulla differenza tra scelta etica e concezione contraffatta della realtà; obiezione che mi sento di riproporre per il caso dell'Islam, dove a imporre certe azioni è la credenza che Dio le voglia (e prepari un paradiso di delizie per chi le compirà), non una pura scelta valoriale effettuata nel quadro di un'etica oggettiva.

Anonimo ha detto...

Potrei sbagliarmi ma mi sembra che dipenda dall'insieme in cui B e A sono pescati. {B implica A} nel diritto e' a volte vera (come mostra l'esempio del 30enne e del 40enne) a volte falsa, quindi globalmente falsa, allora {B non implica A} e' vera. Ma cosa garantisce che se prendo il caso particolare A="Il feto ha diritto di vivere", B="Un adulto ha diritto di vivere", non mi trovo nel sottoinsieme dove {B implica A} e' vera?

Su Hitler. Francamente non mi sento di poter dire che non credevano genuinamente alla "bonta'" di quello che facevano. Forse molti erano semplicemente disonesti e non gliene importava nulla dell'ideologia nazista, ma penso che molti altri ci credessero veramente. Certi fatti storici (sevizie gratuite, leggi razziali, brutalita') non trovano una spiegazione adeguata altrimenti.
Molti scelgono la propria Etica su presupposti scientificamente gia' dimostrati falsi. Non sono i casi che mi interessano, e non e' il caso di Hitler (se non per l'inferiorita' presunta degli ebrei, non ho ben capito sotto quale aspetto). Lui voleva una razza pura, che secondo lui avrebbe prodotto il bene dell'umanita'.
Certo che se uccido tutti gli invalidi e tengo i validi avro alla fine una societa' evolutivamente avvantaggiata. E questo era il Bene. Anche l'etica hitleriana razzista potrebbe apparire fondata, sotto questa luce (non certo a me). Che poi a noi oggi faccia orrore e' un altro discorso (ma non fa orrore agli islamici che dicono cose simili).
Del resto non e' vero, in linea di principio che tutte le razze sono ugualmente adattate o "valide" ad ogni ambiente, visto che ognuna si e' differenziata in ambienti leggermente diversi. Ad. es. sembra che i cinesi abbiano un Q.I. leggermente superiore alla razza europea. Certamente i neri sono superiori nelle maggior parte delle prestazioni fisiche rispetto ai caucasici.
Non so se in qualche modo ho risposto alla sua domanda o l'ho nuovamente evasa..

Dio e l'etica-oggettiva non esistono, in ultima analisi, per difetto di definizione.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Sulla cogenza dell'esempio del 30enne e del 40enne la invito a rivedere il mio commento delle 12:10, più sopra.

Un programma di igiene razziale come quello nazista, si fondava a dire il vero su una scienza abbastanza discutibile: per estirpare completamente molte malattie genetiche occorrerebbe identificare e sterilizzare tutti i portatori eterozigoti di geni recessivi – un compito praticamente impossibile.
È vero comunque che dal punto di vista della collettività si eviterebbero i costi dell'assistenza ai disabili; ma perché fermarsi ai portatori di malattie genetiche? E infatti l'ordine di Hitler che dava il via all'uccisione dei pazienti adulti, nell'ottobre 1939, parlava genericamente di «incurabili». Una malattia o un infortunio bastavano dunque a entrare nelle liste della morte. E il discorso, se si fosse stati coerenti, si sarebbe dovuto allargare anche agli anziani non più autosufficienti, nonché ai mutilati di guerra. Ma questo sarebbe stato impossibile, perché la gente avrebbe temuto per la propria vita e per la vita dei propri amici e parenti; di fatto, lo stesso programma T4 di eutanasia forzata fu arrestato quasi del tutto per le proteste popolari: si racconta che lo stesso Hitler fosse stato fischiato in un'uscita pubblica dalla popolazione per questa ragione.
Certo, non è una verità matematica che la gente debba tenere alla propria vita e alla vita dei propri cari più che alla salute dello Stato; ma è una verità umana, e a me personalmente basta.

Anonimo ha detto...

Si avevo letto bene il suo commento delle 12:10.

Non e' necessario sterilizzare tutti i portatori eterozigoti di geni recessivi difettosi per migliorare una razza. Basta selezionare le generazioni (come si fa con le razze canine) e aspettare. E' quello che aveva in testa Hitler.
Il punto e' chi selezionare, cioe' a quale finalita' puntare, e qui arriva l'Etica a fornire puntualmente la sua arbitraria pseudo-risposta.
Per questo sono agguerrito contro questi concetti fasulli.

A mio personale avviso, l'unica opera intellettuale di cui la Bioetica possa oggi decentemente occuparsi e' quella di smontare le Etiche del bios.

Saluti.