domenica 3 settembre 2006

Che cos’è la laicità? Un dibattito con Martin Venator

Le discussioni – comprese quelle che hanno luogo nella blogosfera – servono spesso a chiarire e a chiarirsi concetti fondamentali. Una discussione iniziata una ventina di giorni fa su Bioetica con Martin Venator, l’Anarca dell’omonimo blog, ci offre l’opportunità di andare alla radice dell’opposizione tra laici e clericali, che domina di questi tempi il dibattito intellettuale e politico.

Tutto è iniziato con un post di Chiara Lalli («Interpellanza contro Maura Cossutta», 9 agosto 2006), a cui Martin Venator ha aggiunto un commento polemico due giorni dopo. In assenza di Chiara ho risposto con un post mio («Da Buttiglione alla Cossutta, ovvero: risposta a Martin Venator», 12 agosto), che ha suscitato a sua volta la replica dell’Anarca (articolata in una premessa, «Rissa in galleria... risposta a “Bioetica”», 18 agosto, e in un lungo articolo, «Il caso Buttiglione tra laicità e intolleranza laicista. Dibattito con “Bioetica”», 17 agosto). Dopo una pausa, dovuta al fatto che mi è parso corretto non replicare durante l’assenza per vacanze del mio interlocutore, ecco qui la mia contro-risposta. Cercherò di tenere conto dei lettori che non possono o non vogliono ripercorrere uno scambio divenuto oramai parecchio lungo, riassumendo per loro l’oggetto del contendere.

L’Anarca, come molti altri clericali, cerca di attribuire un’immagine di moderno martire cristiano a Rocco Buttiglione, che nell’autunno del 2004 era candidato a ricoprire il ruolo di Commissario europeo per la giustizia, la libertà e la sicurezza (a cui spetta, tra gli altri compiti, anche quello di coordinare la lotta alla discriminazione in base all’orientamento sessuale), ma la cui candidatura fu clamorosamente bocciata dalle due commissioni del Parlamento Europeo che, come vuole la prassi, lo avevano esaminato. Per il solo fatto di essere cattolico, sostengono i clericali; ma la realtà – come ho cercato di dimostrare nel mio post – è ben altra.
Quando uno dei parlamentari europei contestò a Buttiglione alcune sue passate dichiarazioni, in cui definiva l’omosessualità «un peccato» e «un segno di disordine morale», la risposta fu questa:

I shall remind you of an old and perhaps not completely unknown philosopher, a certain Immanuel Kant from Königsberg, who made a clear-cut distinction between morality and law. Many things may be considered to be immoral that should not be prohibited. In politics we do not renounce the right to have moral convictions. I may think that homosexuality is a sin but this has no effect on politics unless I say that homosexuality is a crime. In the same way, you are free to think that I am a sinner in most areas of life and this does not have any effect on our relations as citizens. I would regard it as an inadequate consideration of the problem to pretend that everybody agrees on moral matters.
We can build a community of citizens even if we have different opinions on some moral issues. The issue is rather non-discrimination. The state has no right to interfere in these matters and nobody can be discriminated against on the basis of sexual orientation or gender orientation. This is stated in the Charter of Human Rights. This is stated in the Constitution and I have pledged to defend this Constitution.
Una dichiarazione di impeccabile laicismo; ma più tardi, rispondendo a un altro parlamentare, che gli chiedeva quale sarebbe stato il suo comportamento se la Commissione Europea o uno dei suoi colleghi commissari avessero proposto delle leggi in contrasto con le sue vedute morali, la risposta non fu più tanto laica:
the answer is very simple. If there is a proposal contrary to my moral convictions, I would oppose it and I would enter into a dialogue as is normal in democracies.
La contraddizione con quanto detto prima è talmente macroscopica che se ne accorse lo stesso Buttiglione, che immediatamente corse ai ripari con un brusco ritorno all’apologia della separazione tra dominio della morale e dominio della legge:
I should add one reservation on this point. I am not sure that the distinction between morality and law has been clearly understood. I believe in freedom and liberty, and liberty implies that you cannot impose on others what you consider to be morally right because truth must be the form of the life of the individual person and, if it is imposed, it cannot be the form of his or her life. That is why we must accept that each human being has a right to give form to his own life according to his personal convictions. In many areas these will not have a direct social impact. You have a duty to respect the privacy of the other and you can try to change his opinion through dialogue, but you cannot force him through law, so I hold firmly to my moral convictions.
Qual è, allora, il vero Buttiglione? Come sempre, contano i fatti e non le parole. Il vero Buttiglione è quello che pochi anni prima, nel 2000, dalla bozza dell’art. 22 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali, che recitava:
Non è ammessa alcuna forma di discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche, l’appartenenza a una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, un handicap, l’età o l’orientamento sessuale.
tentò di cancellare l’ultimo divieto, quello contro la discriminazione di omosessuali e bisessuali. Decisamente, non si trattava del candidato più adatto a interpretare il ruolo di difensore delle persone di diverso orientamento sessuale...

Veniamo adesso al’ultimo post dell’Anarca, in cui si tenta di contestare questa ricostruzione dei fatti. All’inizio Martin Venator loda senza riserve la perorazione kantiana di Buttiglione, e la sua distinzione tra diritto e morale («Una lezione di laicità e di democrazia», «Limpido ragionamento»); poi, succede qualcosa di strano. In modo quasi inavvertibile, la separazione tra diritto e morale subisce una grottesca metamorfosi, e si trasforma in qualcosa che Kant avrebbe fatto molta fatica a riconoscere:
Giuseppe prova a ironizzare che forse, a quei tempi, Buttiglione non avesse ancora letto Kant. Non gli viene in mente che è proprio perché ha letto Kant può permettersi di presentare un emendamento del genere. Perché il sigillo di una moderna democrazia sta nel patto che lega ogni cittadino al rispetto della volontà maggioritaria, alla difesa di ciò che la maggioranza decide ma senza abdicare alle proprie convinzioni. Un patto fondante senza il quale una democrazia, all’interno di una società complessa, non può esistere. La distinzione kantiana, a cui si appella Buttiglione, non nega valore alle convinzioni morali, ma traccia una strada che consente, in un mondo sempre più complesso, di conciliare etica e diritto. Un politico può avere le convinzioni morali che vuole, anzi; può cercare anche di affermarle con gli strumenti che la politica offre, ma deve sapere che davanti alla legge dovrà separare il diritto dalla morale a garanzia del bene di tutti, sia di coloro che hanno le sue stesse convinzioni sia di coloro che non le hanno [corsivo mio].
E più avanti:
Uno stato laico non chiede la rimozione dei propri convincimenti religiosi; esige che non vengano imposti agli altri ma non che non si debbano rivendicare in politica. Il principio laico mi dice che io posso provare ad affermare le mie istanze morali con gli strumenti della democrazia... ma, allo stesso tempo, io sono obbligato a rispettare le leggi e a farle rispettare; qui si gioca il mio ruolo pubblico [di nuovo, corsivo mio].
C’è qui un travisamento così completo della vera natura del principio di laicità, da lasciare attoniti. La separazione tra morale e diritto consiste precisamente nella rinuncia «ad affermare le proprie istanze morali con gli strumenti della democrazia»! Per usare non le mie parole, ma quelle di Buttiglione, sopra citate:
liberty implies that you cannot impose on others what you consider to be morally right because truth must be the form of the life of the individual person and, if it is imposed, it cannot be the form of his or her life. That is why we must accept that each human being has a right to give form to his own life according to his personal convictions … you can try to change his opinion through dialogue, but you cannot force him through law.
Ed è questa la sostanza della grande lezione kantiana (anche se non fu Kant ad esprimerla per primo), che troviamo nella prima parte della Metafisica dei costumi (Metaphysik der Sitten, 1797), per la quale il diritto è
l’insieme delle condizioni per mezzo delle quali la volontà dell’uno può accordarsi con la volontà dell’altro secondo una legge universale della libertà.
E questa legge recita:
Agisci esternamente in modo che il libero uso della tua volontà possa accordarsi con la libertà di ogni altro, secondo una legge universale [«Introduzione alla dottrina del diritto», § E].
Questo è il principio alla base del pensiero liberale: lo Stato non è il braccio armato di una determinata visione morale o religiosa, neppure di quella della maggioranza. Il suo compito è solo quello di difendere i diritti dei cittadini. Come ha scritto con parole indimenticabili John Stuart Mill (Saggio sulla libertà, trad. di S. Magistretti, Milano, Il Saggiatore, 1981, pp. 32-33 [On Liberty, 1861]; della frase finale Bioetica si fregia orgogliosamente come esergo):
Il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri. Il bene dell’individuo, sia esso fisico o morale, non è una giustificazione sufficiente. Non lo si può costringere a fare o non fare qualcosa perché è meglio per lui, perché lo renderà più felice, o perché, nell’opinione altrui, è opportuno o perfino giusto: questi sono buoni motivi per discutere, protestare, persuaderlo o supplicarlo, ma non per costringerlo o per punirlo in alcun modo nel caso si comporti diversamente. Perché la costrizione o la punizione siano giustificate, l’azione da cui si desidera distoglierlo deve essere intesa a causar danno a qualcun altro. Il solo aspetto della propria condotta di cui ciascuno deve render conto alla società è quello riguardante gli altri: per l’aspetto che riguarda soltanto lui, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo è sovrano.
Si può essere in disaccordo con tutto ciò; si può sostenere che la maggioranza ha il diritto di imporre alla minoranza la propria morale. Il liberalismo accorda piena libertà di espressione ai propri nemici; ma costoro abbiano la decenza di non dirsi liberali, e di non invocare il nome di Kant o di altri padri del liberalismo mentre tentano di infiltrarsi nelle istituzioni, e di usarle per diffondere il loro bigottismo.
Quanto ai loro difensori, riflettano su quale sarebbe la loro reazione se una maggioranza democratica, per la quale fosse immorale imporre ai bambini idee religiose che non possono accogliere criticamente, decretasse di conseguenza la chiusura degli oratori, e la proibizione del battesimo ai minori e la frequenza di questi alle funzioni religiose. Accetterebbero serenamente la decisione della maggioranza, in base al principio che «un politico può avere le convinzioni morali che vuole», e «può cercare anche di affermarle con gli strumenti che la politica offre»? Oppure si trasformerebbero immediatamente anche loro in liberali senza compromessi?

Veniamo adesso brevemente a questioni più specifiche. Martin Venator difende la proposta buttiglioniana di emendamento alla Carta Europea dei Diritti Fondamentali in questi termini:
Buttiglione ha detto … che togliendo la specifica sull’orientamento sessuale, il principio generale non cambia... la definizione di “orientamento sessuale” non rafforza il principio di non-discriminazione di un individuo, quindi perché specificarlo? È ovvio perché quella specifica sarà la porta aperta per far entrare a livello europeo questioni che ora sono trattate a livello nazionale (come per esempio il matrimonio omosessuale) e che, secondo Buttiglione, lì devono rimanere per il principio di sussidiarietà che citerà in seguito. Perché è evidente l’imbroglio: confondere l’uguaglianza dei diritti di tutti, con i diritti (o presunti tali) di interesse particolare.
Se si vuole affermare un principio generale, due sono le strade che è possibile percorrere: o si sceglie una formulazione generica, valida erga omnes – e allora si cancelleranno tutte le ulteriori specificazioni, non solo una; oppure si cerca di essere esaustivi, e allora si elencherà il numero maggiore possibile di casi. Non riesco quindi a capire perché l’aggiunta della discriminazione per orientamento sessuale non rafforzerebbe il principio generale. La discriminazione contro gli omosessuali e i bisessuali esiste, non è l’invenzione di una lobby: le persone vengono discriminate sul lavoro, vengono insultate per la strada, vengono violentate perché sono uscite da una discoteca per gay. Talvolta vengono anche uccise. Non menzionare fra tutti solo questo tipo di discriminazione nella Carta Europea dei Diritti avrebbe significato quindi lanciare un messaggio che, con molta generosità, possiamo definire fortemente ambiguo. Tutte le altre considerazioni cadono di fronte a questa; se, comunque, da un principio di non discriminazione si potesse far derivare in modo giuridicamente valido la legittimità del matrimonio omossessuale, questo significherebbe semplicemente che negare il matrimonio agli omosessuali equivale appunto a discriminarli, e occorrerebbe allora trarne onestamente tutte le conseguenze.

Sostiene ancora l’Anarca:
nel referendum sulla legge 40 gli elettori non venivano chiamati alle urne per complicate disquisizioni etico-religiose ma per confermare o meno una legge già votata dal Parlamento. La maggiorparte [sic] degli elettori sapeva bene che astenendosi avrebbe confermato la legge in questione. La maggiorparte delle persone ha preferito non andare a votare (cioè astenersi). Disquisire sull’interpretazione della volontà è fuorviante. Mettiamola così: la maggiorparte degli elettori non ha voluto prendere posizione sulla materia. Ok, è vero, cioè... ha preferito affidarsi alla scelta già fatta dal Parlamento.
Tecnicamente, quando qualcuno si astiene in un referendum abrogativo, non preferisce «affidarsi alla scelta già fatta dal Parlamento», ma a quella compiuta dai suoi concittadini che hanno votato. Tolta la percentuale (non quantificabile con esattezza a priori) di quelli che in occasione dei referendum del 2005 hanno usato il non voto come grimaldello per imporre la volontà di una minoranza, è proprio questo il senso da dare all’astensione di coloro che non sono andati a votare per mero disinteresse, e che per la maggior parte non potevano essere sicuri che i referendum sarebbero comunque falliti.

Infine, Martin Venator mi rimprovera di «affrontare l’attuale dibattito sulla società tecnico-scientifica e postindustriale, citando un pensatore del ’500 (quando l’atomo non era scisso e i bambini non si facevano in provetta)», perché alla fine del mio post riportavo questa frase dalla New Atlantis di Francis Bacon:
The end of our foundation is the knowledge of causes, and secret motions of things; and the enlarging of the bounds of human empire, to the effecting of all things possible.
Sarebbe facile rispondere che questo è un ben bizzarro rimprovero da parte di qualcuno che pensa di affrontare problemi come quelli dei bambini in provetta affidandosi a una religione di 2000 anni fa; ma lasciamo stare. Quello di Bacone è uno slogan che ancora informa l’impresa scientifica (tanto è vero che le viene costantemente rinfacciato). E l’Inghilterra del ’600 (il libro di Bacone è del 1626), come ha mostrato un grande scienziato (Peter B. Medawar, «On “The Effecting of All Things Possible”», Presidential Address delivered on September 3, 1969, at the Exeter Meeting of the British Association; Advancement of Science 26, 1969, pp. 1-9), non era poi tanto lontana dal nostro mondo. Rimando alla lettura del saggio per la persuasiva illustrazione dei paralleli tra le due epoche; qui mi limito a riportare le parole conclusive di Medawar, che citano un altro grande del ’600:
We are still beginners, and for that reason may hope to improve. To deride the hope of progress is the ultimate fatuity, the last word in poverty of spirit and meanness of mind. There is no need to be dismayed by the fact that we cannot yet envisage a definitive solution of our problems, a resting-place beyond which we need not try to go. Because he likened life to a race, and defined felicity as the state of mind of those in the front of it, Thomas Hobbes has always been thought of as the arch materialist, the first man to uphold go-getting as a creed. But that is a travesty of Hobbes’s opinion. He was a go-getter in a sense, but it was the going, not the getting he extolled. The race had no finishing post as Hobbes conceived it. The great thing about the race was to be in it, to be a contestant in the attempt to make the world a better place, and it was a spiritual death he had in mind when he said that to forsake the course is to die. “There is no such thing as perpetual tranquility of mind while we live here,” he told us in Leviathan, “because life itself is but a motion and can never be without desire, or without fear, no more than without sense”; “there can be no contentment but in proceeding.” I agree.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Perfetto. (Malvino)

Chiara Lalli ha detto...

A proposito di coercizione legale (legittima oppure no)
Quando una qualunque autorità attenta alla parte di esistenza individuale che non è di sua competenza, poco importa da quale fonte questa autorità dica di derivare, poco importa che essa si definisca individuo o nazione; essa potrebbe essere la nazione intera, meno il cittadino che opprime, e non sarebbe meno illegittima.
Benjamin Constant

E ancora dal nostro:
L’ampliamento del raggio d’azione di quella che può essere chiamata polizia morale fino a farle ledere la libertà la libertà individuale più indiscutibilmente legittima è una delle più universali propensioni umane.
John Stuart Mill

Anonimo ha detto...

bravissimo (thewreck)