lunedì 25 settembre 2006

Eutanasia ed equivoci

Mario Adinolfi («Saremmo più soli, senza Piero Welby», 25 settembre 2006):

Dirò solo che se a Piero Welby fosse consentito di morire, saremmo più soli. La sua non è una vita meramente biologica, la sua non è una vita priva di capacità di relazione, la sua non è una vita inutile. Nessuna vita lo è. E se aprissimo lo spazio ad un pensiero del genere, arriveremmo presto al genocidio.
Perché quando si parla del valore che la propria vita ha per se stessi, c’è sempre qualcuno che capisce che si sta parlando del valore che la propria vita ha per gli altri? È davvero un concetto così difficile da comprendere?

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ne sto leggendo di idiozie sull'eutanasia, discendono tutte da questa smania di assorbire voci come quella di Welby che ha bisogno di comprensione mirata, unica, individuata, in un concetto universale che, prima di tutto, schiaccia e annienta la richiesta individuale con l'idiozia ottusa propria della "verità".

Ivo Silvestro ha detto...

È evidentemente difficile, molto difficile.
Aggiungo un esempio, tratto da repubblica.
Castagnetti:
«Nè può essere condivisa l'idea che la vita appartiene a chi la possiede e che debba essere tutelata la sua libera determinazione al riguardo. In questo modo si arriverebbe non solo alla legittimazione di ogni forma di eutanasia anche in assenza di presupposti apparentemente oggettivi (sempre di impossibile definizione per via legislativa) ma anche alla legittimazione morale del suicidio».

Le leggi, per Castagnetti, hanno il potere, se non l'obbligo, di legittimare moralmente degli atteggiamenti. Se è così, voglio una legge che obblighi le persone ad essere buone e ad aiutare le persone anziane ad attraversare la strada.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Ivo, la diffusione della cultura liberale in questo paese è praticamente nulla, temo...