sabato 23 settembre 2006

L’oscenità veneta

Il consiglio regionale del Veneto sta per varare una legge che consentirà l’accesso dei volontari del Movimento per la Vita nei consultori familiari e nei reparti di ginecologia, per dissuadere con la loro propaganda le donne che intendono abortire. Su questa autentica oscenità ha scritto ieri un articolo molto duro Carlo Flamigni («Processo alle donne», L’Unità, 22 settembre 2006):

Il Consiglio Regionale del Veneto sta per approvare una legge che si propone di regolamentare le iniziative mirate all’informazione sulle possibili alternative all’aborto. Nella relazione che precede i tre articoli si legge che «il dato più sconvolgente che emerge, sentendo l’esperienza di molte donne è la mancata informazione sia sui dati biologici dell’embrione o del feto sia sui possibili aiuti che essa può ottenere». Da chi? Da «moltissimi movimenti e associazioni che hanno come finalità l’aiuto alle mamme che … sono orientate verso l’interruzione della gravidanza».
A questi «moltissimi» movimenti e associazioni, l’articolo 2 della legge concede «di espletare il loro servizio di divulgazione e di informazione nei consultori familiari, nei reparti di ostetricia e ginecologia, nelle sale di aspetto e altre degli ospedali».
Se si trattasse in realtà di «moltissimi movimenti e associazioni» poveri noi, dovremmo immaginare resse tremende soprattutto nei reparti di ginecologia. In realtà si tratta del «Movimento per la vita», e solo di questo, una associazione della quale, sul piano dei risultati, non si può dire che bene, visto che afferma di aver risolto i problemi di un grande numero di donne, inducendole a cambiare idea e a decidere di non interrompere la gravidanza.
Brave persone, dunque. E per capire meglio quanto sono brave, sono andato sui loro siti, a leggere quanto il loro presidente, Carlo Casini, e i suoi collaboratori hanno scritto su questo argomento, come salvare tante vite e tante anime. Mi interessava naturalmente conoscere le loro motivazioni più sottili e capire cosa in realtà queste brave persone pensino delle donne che vogliono aiutare.
Sono capitato così in un sito che riporta, dopo un articolo di Casini, uno studio/proposta di uno psicologo che porta un titolo invitante e sommesso: «La sindrome del boia». E questo è in realtà quello che il Movimento per la vita pensa delle donne che hanno abortito: carnefici, boia, oltretutto consapevoli di esserlo. Valutazione forse non generosa e gentile, ma, ahimè, quanto concreta.
Dunque sono queste le persone che la regione Veneto vuol collocare all’interno delle strutture ospedaliere, alla faccia della “privacy” (a proposito, cosa ne dirà il garante?), per costituire una sorta di tribunale ecclesiastico di fronte al quale le donne che hanno deciso di abortire (sempre utilizzando un loro pieno diritto) dovranno sfilare. …
L’articolo cui fa riferimento Flamigni è: Sandro Gindro, «Conseguenze dell’aborto volontario: la sindrome del boia», in Atti del Convegno Nazionale «Aborto volontario: il domani di una scelta», 1998.

Aggiornamento: l’Assemblea regionale delle donne in difesa della 194 ha indetto una manifestazione con corteo per il 7 ottobre a Venezia (il corteo partirà alle 14.00 dalla stazione S. Lucia a Campo S. Margherita).
Per adesioni: assemblea194@libero.it.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Nel senso che si tratterebbe di una seduta 'informativa' obbligatoria e non un 'colloquio' che la donna può rifiutarsi o no di sostenere?

Saluti

Giuseppe Regalzi ha detto...

La proposta di legge dice (all'art. 2) che al Movimento per la Vita e ad altre consimili associazioni «viene concesso di espletare il loro servizio di divulgazione e informazione nei consultori familiari, nei reparti di ginecologia e ostetricia, nelle sale d'aspetto e atri degli ospedali». Il testo di per sé non specifica in che cosa consistano i «servizi» dei movimenti (l'art. 1 parla solo della presenza del loro materiale informativo), ma dalla lettura dei documenti che l'accompagnano si capisce che l'intento è quello di far sì che i volontari possano avvicinare ogni donna che varca la soglia di un consultorio o di un ospedale, presentarle la loro sozza propaganda e chiederle o dirle tutto quello che vogliono.

Da notare che l'art. 3 punisce con pesanti sanzioni chiunque non solo neghi, ma anche solamente «intralci» l'operato dei seguaci del MPV, consentendo di fatto che questi operino indisturbati, senza alcuna supervisione o controllo da parte del personale medico. Non credo di esagerare se dico che la legge permetterebbe a un antiabortista di seguire una donna che rifiuta di ascoltarlo fin dentro il reparto, e di continuare a molestarla senza che nessuno possa anche solo avvicinarsi.

Anonimo ha detto...

Grazie (tutt'ora non riesco a scaricare i pdf dal link segnalato).