domenica 22 febbraio 2009

Calabrò e il TSO

Nicoletta Tiliacos raccoglie sul Foglio alcune dichiarazioni del senatore Raffaele Calabrò, estensore del discusso disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento («Calabrò ci dice perché non è vero che chi legifera sul fine vita è perduto», 21 febbraio 2009, p. 2):

Calabrò risponde che «sul piano della costituzionalità non temiamo nulla. L’articolo 32 riconosce la facoltà di scegliere se curarsi o meno per una patologia, se accettarne o meno l’evoluzione naturale. Non è invece consentito dire che ci si vuole suicidare. E alimentazione e idratazione, escluse dal nostro testo dalle dichiarazioni anticipate di trattamento, non sono cure di una patologia, ma sostegni vitali». Calabrò sottolinea che questo vale anche per le persone in grado di intendere e di volere: «Fu un giudice, durante uno sciopero della fame e della sete di Pannella, a spingere per l’idratazione e l’alimentazione coatte. Succede pure, nei casi di anoressia, che si impongano trattamenti per salvare la vita di chi non vuole più mangiare […]».
Ma è proprio vero che anche «le persone in grado di intendere e di volere» non possono rifiutare alimentazione e idratazione? Lasciamo perdere il giudice e Pannella: che cosa vuol dire «spingere per l’idratazione e l’alimentazione coatte»? Quali erano le circostanze? Come si è conclusa questa «spinta»? L’esempio, ammesso pure che non derivi da qualche errato ricordo di Calabrò, non significa niente. Soffermiamoci invece sui casi di anoressia. Per procedere all’alimentazione forzata di chi altrimenti rischierebbe di morire di inedia si deve ricorrere a un Trattamento sanitario obbligatorio, TSO. (Per inciso, l’aggettivo «sanitario» compreso in questo termine dovrebbe far riflettere chi come Calabrò esclude che di trattamento sanitario appunto si debba parlare.) La legge che disciplina il TSO è la 833/1978, la stessa che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale. L’art. rilevante è il 33, che ai cc. 1-2 recita:
Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari.
Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l’articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.
Questa è in pratica una parafrasi dell’art. 32 della Costituzione: per sottoporre un cittadino a un trattamento sanitario contro la sua volontà è necessario che questo trattamento ricada in uno dei casi esplicitamente contemplati dalla legge (non basta dunque il riferimento vago e rituale al suicidio assistito). Per quanto riguarda in particolare l’alimentazione forzata, l’unica legge a cui si può ricorrere è la stessa 833/1978, agli articoli che seguono immediatamente quello che abbiamo appena visto, e cioè gli artt. 34 e 35. Ma questi articoli si occupano di un solo caso specifico: le malattie mentali. Quindi se oggi in Italia volete nutrire a forza una persona, questa deve essere affetta da una malattia mentale, quale può essere considerata per esempio l’anoressia. Altrimenti il TSO in questione è inapplicabile, nonostante le «spinte» dei magistrati e le opinioni dei politici poco informati. Si può discutere sulla misura in cui una persona affetta da malattia mentale – e più specificamente da anoressia – sia da considerarsi «in grado di intendere e di volere» nel senso voluto da Calabrò; ma certo l’affermazione così generale del senatore va fortemente ristretta (a meno di dar credito a qualche Comma 22 ad hoc, del tipo «chiunque sia sano di mente può rifiutare l’alimentazione forzata; ma chi rifiuta l’alimentazione forzata non è sano di mente»). E non dimentichiamo mai che il medico che procede ad alimentare una persona consapevole contro la sua volontà viola il proprio Codice di deontologia, che all’art. 53 recita:
Quando una persona rifiuta volontariamente di nutrirsi, il medico ha il dovere di informarla sulle gravi conseguenze che un digiuno protratto può comportare sulle sue condizioni di salute. Se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale nei confronti della medesima, pur continuando ad assisterla.
Quel medico si esporrebbe perciò alle sanzioni del proprio Ordine professionale.

Il senatore Raffaele Calabrò ha dunque idee abbastanza confuse: oggi in Italia non è possibile costringere una persona capace di intendere e di volere a nutrirsi. Ma in fondo è solo questione di tempo: quando il disegno di legge che porta il suo nome sarà approvato, questa forma di tortura sarà – fino all’inevitabile giudizio di incostituzionalità della Consulta – imposta da una legge dello Stato.

12 commenti:

Chiara Lalli ha detto...

Le opzioni rimaste sono:

1) si crepa sul colpo.

2) anello al cianuro.

Chiara Lalli ha detto...

Ovviamente non si può scegliere di crepare sul colpo, ahimè.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Il cianuro in effetti sta per diventare un must in ogni armadietto dei medicinali domestico...

pietro ha detto...

Richiedere, o far richiedere da un proprio famigliare il trasferimento in una clinica privata svizzera di propria fiducia è possibile?

Giuseppe Regalzi ha detto...

Facendo di nascosto, sì. Ma il malato dev'essere trasportabile (e lo devono anche lasciare uscire dall'ospedale: forse esagero, ma a questo punto non darei più niente per scontato).

Chiara Lalli ha detto...

Ancora, che io sappia, non lo hanno inserito tra i divieti del ddl...
Ma è una operazione spesso impensabile nei fatti - o talmente difficile e dolorosa da essere impraticabile.
Sia con il familiare cosciente che incosciente.
Poi ci sarebbe molto da dire sulla necessità (imposta dai difensori della "VITA") di andare altrove per morire in pace. Ma qui taccio perché è meglio.

pietro ha detto...

Quindi da quel che capisco, dato che i casi come EE di persone in stato di incoscenza prolungato, assolutamente non trasportabili sono in effetti una esigua minoranza diventa tutta solo una questione di disponibilità economiche e di volontà.....
Basta decidersi in tempo e scappare al momento giusto da questa orda di taliban.

Chiara Lalli ha detto...

Pietro, più o meno sì.
Ma permettimi di specificare un aspetto ignobile: Eluana Englaro, con tutta verosimiglianza, non era in grado di capire cosa le stava accadendo - di esserne cosciente.
Ci sono persone che invece se ne accorgono - malati oncologici, solo per fare un esempio.
Tu riesci ad immaginare l'orrore "evitabile" aggiuntivo?
Io sì, purtroppo, fin troppo bene e provo schifo (non ho altre parole) per Calabrò, Roccella, e i tanti sgherri che conosciamo bene.
Trasportare qualcuno in condizioni simili è davvero complicato.
Scappare in tempo sembra essere l'unica soluzione. Ma chi sarà tanto fortunato da capire o da anticipare?

Luca Massaro ha detto...

@ Giuseppe.

Siamo sicuri de «l'inevitabile giudizio di incostituzionalità della Consulta»? E se sì, quanto tempo passerà di norma tra la probabile approvazione della legge e l'auspicato fermo della Consulta?

Chiara Lalli ha detto...

Sempre troppo tempo...(anche nella visione più rosea).

Giuseppe Regalzi ha detto...

Luca: sicuri sempre relativamente (dipende anche dalla composizione della corte all'epoca); comunque la legge va contro il 3, 13 e 32. Il ricorso deve essere presentato da un giudice, quindi la cosa può accadere solo nel corso di un giudizio. I tempi sono molto lunghi.

Anonimo ha detto...

Proposta per morire in fretta anche se idratati e nutriti: mettere nel Test.biol. che non si vuole essere aspirati: in questo modo le secrezioni bronchiali soffocano il degente privo di coscienza in molto meno tempo che a farlo morire di sete. Anzi non capisco perchè a Eluana non abbiano fatto questo "protocollo" anzichè togliere il sondino. E' più veloce e sicuramente è un "trattamento" che può essere rifiutato: si muore soffocati dal catarro in molto poco tempo.