giovedì 26 ottobre 2006

La mia prima volta alla Corte Costituzionale e l’ultima spiaggia per la legge 40

Non sono patriottica, non lo sono mai stata. Forse perché ho sempre avuto un senso del ridicolo troppo spiccato, che mal si accorda con i pomposi rituali che vorrebbero onorare la patria.
Martedì sono andata ad una udienza pubblica.
Sono entrati i costituzionalisti, vestiti di nero, mascherati da preti. Ad aggravare il mio spaesamento il fatto che il pubblico, poco numeroso, si è levato all’entrare della Corte. Ci mancava ci dicessero di scambiarci il segno di pace.
Di nuovo seduti gli spettatori, ha avuto inizio la cerimonia. Una commemorazione di un giudice morto. Il tragico che muta in comico.
E finalmente la discussione della prima causa: articolo 13, legge 40/2004.
Il giudice che ha ricostruito i fatti non ha brillato per entusiasmo e esattezza narrativa; ha inoltre inciampato in un errore terminologico che è un sintomo invadente dell’interpretazione della legge 40 e delle questioni che si aggirano in quei paraggi. Parlando del nascituro ha detto ‘bambino’, avallando l’assurda considerazione di ogni essere umano come persona a partire dal concepimento (ovocita + spermatozoo) proprio come stabilito dall’articolo 1 della suddetta legge. Parola di Alfio Finocchiaro.
È stata poi la volta dell’avvocato di Stato, baluardo della legittimità di una legge oscena, discriminatoria e lesiva dei diritti di molte categorie di persone: malati di patologie genetiche, portatori sani, malati di patologie virali, singles... ma questo lo sappiamo già, noi.
La conferma della legittimità della legge 40 rende quasi impossibile qualsiasi modifica futura. E accoglie l’interpretazione restrittiva del suddetto articolo 13:

b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo;
che invece lasciava spazio ad una interpretazione del testo normativo in grado di consentire l’accesso alle tecniche diagnostiche prima dell’impianto nel corpo materno (considerando anche che le indagini pretnatali sono ammesse dalla legge).
Non è pertinente né moralmente significativa la differenza tra il tempo precedente l’impianto e il tempo posteriore. Nessuna valida ragione può sostenere il divieto della diagnosi genetica di preimpianto.
Nell’udienza si è criticato il presunto diritto di avere un figlio sano, con il frequente scivolone nella pantomima: il figlio bello e biondo, quello che Rutelli diceva di comprare al supermercato.
Possibile che anche in questa sala affrescata e circondata da un alone di grandezza vengano pronunciati argomenti che potremmo sentire al supermercato?
Peccato, poi, che il diritto alla salute sia un bene inviolabile dell’uomo (articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, rispettivamente tutela dei diritti inviolabili dell’uomo come singolo e principio di uguaglianza e diritto alla salute); peccato che il diritto alla salute della donna non sia stato nemmeno menzionato. E peccato che l’ignoranza crassa scientifica e filosofica, anche a un livello elementare, sia stata sfoggiata come una virtù piuttosto che suscitare imbarazzo.
È con profonda amarezza vedere come anche l’aulica Corte venga trascinata nella polvere, con argomentazioni deboli e più appropriate ad un ignorante, che è legittimato ad essere approssimativo e vago.
La diagnosi genetica di preimpianto è rischiosa, ha detto l’avvocato di Stato. Ah sì? E in quale percentuale? E le diagnosi prenatali non sono anch’esse rischiose? E con questo? E non è pericoloso prendere un’aspirina o attraversare la strada? Vogliamo proibire tutte le azioni pericolose, parole incluse?

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Per una volta, non mi sento di prendermela con la corte.
La legge non offre molte interpretazioni, fa schifo, punto.
Certo dovremo rileggerla più volte, perché c'è scritto che avere un figlio sano non è un diritto, e anche, che le condizioni psicofisiche della madre, prescindono dalla tutela dell'embrione.
Oops, bambino.
Ecco, adesso un po' di discontinuità non guasterebbe, qualche riflessione in più, qualche teo-clac in meno.

In fondo, ma proprio in fondo a questa vicenda, troviamo una famiglia (famiglia, famiglia, famiglia) che pretende un figlio assolutamente sano?
No, abbiamo dei genitori che chiedono di essere aiutati affinchè il loro bambino non erediti la loro malattia.

Anonimo ha detto...

Invece ci sentiamo eccome di prendercela con la Corte per questa sentenza inaudita e incomprensibile, che non affronta il conflitto innescato dalla 40/04 con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, così opportunamente ricordati da Chiara Lalli, oltrechè con le disposizioni della 194/78 e che blinda ulteriormente questa legge fetida nel suo cattolicissimo cinismo proibizionistico. Per adesso, non resta che attendere le motivazioni con cui i giudici cercheranno di spiegarci i perchè di una sentenza che appare assurda.
P.S.: particolarmente oltraggiosa l'affermazione del P.M. che in colpo solo ha cancellato tutto l'articolo 32 della Costituzione declamando che "non esiste il diritto ad un figlio sano" e ricalcando così la più deteriore e volgare propaganda referendaria di marca clericale; ma era una seduta della Corte Costituzionale o un comizio di Scienza e Vita?

Anonimo ha detto...

Chiaro, se partiamo dalla costituzione, che perdonami il toscanismo, in italia è come la pelle dei coglioni, allora potrei concordare con te.
Ma quando mai la corte ha basato le sue sentenze sui principi costituzionali?
Ribadisco, non è la sentenza assurda, ma la legge, che oltretutto, diranno non proibisce la diagnosi pre-impianto.
Il bambino lo possiamo sempre osservare con gli occhietti belli, no?
Troveremo sempre un togato che non vedeva l'ora di urlare più forte il suo umanesimo.
Ovvero, liberati i démoni, inutile chiudere il vaso.

Anonimo ha detto...

Nella nostra ingenuità pensavamo (e pensiamo tuttora) che, di fronte alle eccezioni di incostituzionalità di volta in volta sollevate dai tribunali, la Corte dovesse appunto esprimersi sull'aderenza delle leggi ai principi costituzionali.
Per cui attendiamo di conoscere le motivazioni con cui verranno a spiegarci perchè una legge assurda è stata difesa da una sentenza ancora più assurda.
Per il resto, siamo col culo per terra...

Anonimo ha detto...

invece io sono d'accordo.
se la legge fosse passata avrebbe aumentanto ulteriormente il già troppo ampio divario tra i diritti alla maternità (sempre garantiti sia biologicamente e da uno sterminio di leggi) e quelli della paternità, che non viene tutelata e spesso mai menzionata....

per non parlare poi del diritto di un uomo ad essere realmente padre di suo figlio, per le donne il problema non si pone il figlio è sempre loro....

per questo il fallimento del referendum è stato un bene....