Silvina Darmandrail ha 14 anni. È stata violentata dal patrigno ed è rimasta incinta. A rendere ancora più drammatica la vicenda è il fatto che la ragazzina vive in Argentina, ove l’aborto è permesso soltanto quando la salute della madre è in grave pericolo o quando il concepimento è una conseguenza di uno stupro di una disabile. Pur rientrando nella prima eccezione, gli antiabortisti si sono infuocati e lo stesso procuratore distrettuale Raúl Fernández Girello ha invocato i diritti del nascituro e si è dichiarato rappresentante del “niño por nacer”. Voltandosi dall’altra parte di fronte ai diritti di una bambina, di una persona esistente, in nome di una idea difficile da sostenere e foriera di drammatiche conseguenze: che il concepito sia una persona.
Il caso di Silvina ha riacceso una vera e propria “guerra santa nel Mar della Plata”, come qualche giorno fa ha titolato Página/12 raccontando delle intimidazioni ricevute da quanti erano dalla parte di Silvina e della sua volontà di abortire.
Una guerra miope rispetto alle morti provocate dagli aborti clandestini (la seconda causa di morte per le donne in età fertile), per la discriminazione economica (le donne che non possono abortire all’estero ma ricorrono a ferri da calza o rimedi simili), alla necessità di una informazione sessuale e contraccettiva. Miope rispetto a tutto tranne che all’attribuzione dei diritti fondamentali all’embrione e alla difesa dello statuto di persona a partire dal concepimento: uno spermatozoo più un ovocita. Intanto Silvina ha abortito spontaneamente; ma non si può certo dire che il problema sia risolto.
(Approfondimenti da Página/12:
Una ley para reglamentar los abortos no punibles, 6 marzo 2007;
“Toda mujer violada tiene derecho al aborto”, 5 marzo 2007;
“No podemos condicionarle su vida”, 27 febbraio 2007.)
giovedì 8 marzo 2007
Guerra santa nel Mar della Plata
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