Gustavo Zagrebelsky, «Pericolosi Non Possumus», L’Unità, 23 marzo 2007, p. 1:
C’è stato recentemente un appello, che viene da una congregazione vaticana, che incita alla disobbedienza civile di cristiani non qualificati, uomini politici, amministratori, farmacisti (sono importanti i farmacisti perché esercitano una pubblica funzione) e perfino dei giudici. Un appello a ribellarsi alla legge che rientra nel circuito protetto dal «non possumus». Badate, si tratta di disobbedienza alla legge, non l’obiezione di coscienza che è una possibilità che in determinati casi la legge stessa riconosce come diritto, per esempio la legislazione sull’aborto o il servizio militare, per i quali, in taluni casi, per ragioni di coscienza, ci si poteva sottrarre a obblighi che valgono per tutti. In questo caso ci troviamo di fronte ad un incitamento a ribellarsi alla legge comune. Incitamento grave se è rivolto ai farmacisti, ma gravissimo se rivolto ai magistrati i quali sono lì, invece, per la loro funzione, che è quella di far applicare la legge comune.Da leggere tutto.
È un grido di sovversione, insomma. L’appello al diritto naturale in un contesto pluralistico è un grido di guerra civile. Io non so, non voglio farla troppo grossa, non credo che l’Italia si avvicini alla guerra civile, ma certo è vicina, diciamo, alla perdita del senso dell’appartenenza comune, a una storia comune, in cui ciascuno deve avere un suo spazio, far vedere e far valere le proprie ragioni per creare sempre qualcosa di meglio, di più comprensivo, ma sempre nel senso della ricerca di quel verum bonum. Quando però si arriva ad incitare ad assumersi le proprie responsabilità nel non applicare la legge quando la si ritiene contraria ai dettami della natura – e lo dico da costituzionalista, ma prima ancora da cittadino, con moltissima preoccupazione – bisogna constatare che non c’è più il dialogo necessario alla convivenza costruttiva.
Per questo, io direi che dovremmo tutti quanti fare uno sforzo per dire non «non possumus» ma per dire «possumus», considerando che questa parola, «possumus», la diciamo in democrazia. Cioè, in quel regime, in quell’unico regime, che dà spazio e riconosce a tutti la possibilità di potere. Quello che a me preoccupa notevolmente nelle cose che stanno succedendo in questi tempi è che la Chiesa (purtroppo si parla della Chiesa con una semplificazione perché, la chiesa, come sappiamo, per fortuna è fatta di tante cose), le posizioni più radicali della Chiesa mettono in discussione proprio alcuni punti fondamentali della democrazia, che non chiede a nessuno di rinunciare alle proprie convinzioni. Ma partendo da queste, richiede che nel dibattito pubblico i dogmi non vengano fatti valere come tali perché altrimenti le regole della democrazia si inceppano.
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