mercoledì 9 agosto 2006

Diagnosi genetica di preimpianto agli antipodi dell’Italia

Un corposo rapporto pubblicato dal neozelandese Human Genome Research Project è da pochi giorni disponibile in rete (Choosing genes for future children: regulating preimplantation genetic diagnosis, Dunedin 2006). Si tratta di un’analisi critica delle linee guida che regolano localmente la diagnosi genetica di preimpianto. Numerosi i punti di interesse, come questo (a p. 239):

it is possible that a couple may go through PGD [Preimplantation Genetic Diagnosis] only to find that all of the embryos are affected with the disorder being screened for. Their choices in this situation are to go through IVF again, or go through IVF again using donor gametes, to give up, or to conceive a pregnancy naturally taking the risk that a resulting child may be affected. If the couple decide that they do not wish to go through IVF again, and they do not want to use donor gametes, they may wish to implant the embryos, in the hope that the expressivity of the disorder in the resulting child will only be mild. However, this appears to be precluded under the Guidelines, which may in fact limit some reproductive choices.
L’esempio mostra insomma come la proibizione di impiantare embrioni geneticamente difettosi non sia sempre ragionevole. A questo proposito bisogna registrare una curiosa dichiarazione del direttore del progetto, Mark Henaghan (contenuta in un comunicato stampa del 1 agosto scorso), che lamenta un’incongruenza tra questo divieto e la possibilità, concessa ai genitori, di proseguire una gravidanza anche dopo che un test prenatale abbia rivelato un difetto genetico nel feto («These examples are inconsistent with prenatal testing where parents can choose to continue with a pregnancy even though they have been made aware of a genetic impairment in a foetus»).
Ma l’incongruenza, mi pare, non esiste affatto: non sarebbe comunque possibile forzare una donna ad abortire senza con questo conculcare il suo diritto fondamentale all’inviolabilità corporea. Impedire invece l’impianto di un embrione portatore di una malattia genetica non viola questo diritto, finché l’embrione rimane in una provetta. Prevale allora il diritto del figlio a nascere sano (a patto che ci siano altri embrioni non malati disponibili; vedi l’esempio sopra riportato); anche se va riconosciuto che è un diritto che comporta alcuni paradossi – a mio parere comunque superabili.

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