giovedì 31 agosto 2006

Le parole sono importanti, diceva qualcuno…

E a proposito di parole, di difesa ad oltranza dell’embrione e di cattivi argomenti, un articolo di oggi di Lucetta Scaraffia (Embrioni orfani, che fare? I cattolici si dividono, “Il Corriere della Sera”, 31 agosto 2006, p. 39) ripropone alcune delle disattenzioni lessicali e concettuali che infestano il dibattito bioetico. Prima tra tutte la sovrapposizione tra essere umano e persona (o tra vita personale e vita umana). Termine descrittivo, il primo, che chiarisce l’appartenenza di un individuo a una determinata specie; termine morale, il secondo, che attribuisce ad un individuo alcuni diritti in base a determinate proprietà.
Scaraffia definisce come poco felice l’aggettivo residuale per denotare quegli embrioni crioconservati che tanto scandalo hanno suscitato in questi mesi. E preferisce chiamarli ‘abbandonati’ dai genitori che hanno intrapreso la fecondazione artificiale (abbandonati, si badi, così come adottabili sono termini che nel senso pieno si riferiscono alle persone. Come sostiene George Lakoff le scelte lessicali nascondono scelte concettuali precise). Riportando il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sull’adottabilità di questi embrioni, Scaraffia ne mutua le imprecisioni: l’adozione per la nascita (così il CNB) “non solo salverebbe delle vite umane, ma sottolineerebbe, dal punto di vista giuridico e simbolico, lo statuto di vita umana degli embrioni, rendendo più difficile, se non impossibile, il loro utilizzo a fini di ricerca”. E prosegue: “Come ha sottolineato D’Agostino nella presentazione del documento «il diritto alla nascita non può che prevalere su ogni considerazione etica e giuridica in senso contrario»”.
Naturalmente, Scaraffia non si prende il disturbo di giustificare simili affermazioni, dando per scontata una serie di premesse che invece dovrebbero essere discusse: l’equivalenza di essere umano e persona, appunto, l’attribuzione dei diritti fondamentali e le ragioni di tale attribuzione.
“Confermare l’identità di esseri umani” agli embrioni è superfluo: chi negherebbe loro l’appartenenza alla nostra specie? Come è possibile convincere Scaraffia e compagni che la questione centrale non è assolutamente questa? È malafede o ignoranza? Oppure distrazione?
Ah, D’Agostino, cara Scaraffia, è ex presidente del CNB, scaduto il 12 giungo scorso e non ancora rinnovato. Mi si perdoni la pedanteria, ma è importante essere precisi, soprattutto se il parere di D’Agostino è usato come una spada per tagliare i dilemmi. Non che l’argomento di autorità funzionerebbe meglio se il presidente fosse ancora in carica…
La difesa dell’essere umano, pertanto, è espressione vaga e imprecisa. Chissà che non faccia comodo non diradare l’approssimazione, perché a parlare di ‘persona’ ci si complica la vita (umana?).
Il secondo autorevole parere riportato da Scaraffia è quello di Adriano Pessina, che partendo dalla coincidenza di madre con gestante e partoriente (davvero, Pessina, la maternità si riduce ai dati biologici e materiali quali la gestazione e il parto? Bistrattato amore materno...), giunge a una conclusione molto diversa dall’adozione. Gli embrioni prima del trasferimento in utero “non si capisce di chi siano figli (verrebbe da chierere: e allora?). Egli [Pessina] va alla radice del problema, che sta nel «significato proprio, antropologico e, quindi, simbolico e non solo funzionale, della procreazione umana e dell’identità femminile» che consiste in un processo unitario: «La procreazione umana, infatti, non è soltanto l’atto sessuale, o la fecondazione, oppure la gestazione o il parto (…) la procreazione è quel processo unitario che lega in una relazione esistenziale, morale e corporea, un padre, una madre e un figlio»”.
In base a questo l’adozione degli embrioni ‘abbandonati’ sarebbe insoddisfacente, perché spezzetterebbe questo processo. Viene da domandare: che male c’è? O meglio, è necessariamente un male? Adottare quegli embrioni sarebbe una legittimazione della frantumazione del processo di maternità, secondo Pessina. Non va bene, meglio la loro morte (!!). Meglio considerare “la loro esistenza nel ghiaccio come una sorta di accanimento terapeutico, che si può interrompere staccando la spina”. Si può, o si deve? E perché si può staccare la spina agli embrioni, e non agli adulti (dobbiamo ricordare per tutti il caso di Eluana Englaro?)? Ma soprattutto, non dovevano essere salvaguardati e difesi gli embrioni-persone? La frantumazione del processo di maternità legittima un omicidio, secondo Pessina? Attenzione: se è legittimo staccare la spina per gli embrioni-persona, perché non sarebbe legittimo staccare la spina per quei figli (quelli già nati e cresciuti, per intendersi) le cui figure parentali sono frantumate? L’esistenza finisce per avere meno valore della compattezza della procreazione umana. Ben grottesco esito!

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Di George Lakoff sapete dirmi se ci sono pubblicazioni tradotte? Ho trovato solo riferimenti a volumi in inglese…
Grazie

Chiara Lalli ha detto...

George Lakoff in italiano:
http://www.internetbookshop.it/ser/serpge.asp?type=keyword&x=George+Lakoff

ciao, Chiara

Anonimo ha detto...

Eggrazie!

Manq ha detto...

Ciao a tutti.
Sono contento di aver fatto la conoscenza di questo blog, lo trovo realmente utile non solo in quanto Biotecnologo, ma anche e soprattutto per l'utilità che può avere per chi con la scienza non ha molto a che fare.
Grazie, a nome di tutti.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Grazie a te!