Nell’ordinanza su Mario Riccio il Gip Renato Laviola ricorda che il diritto all’autodeterminazione di ogni cittadino è garantito dalla Costituzione italiana, affermato in convenzioni internazionali e sancito dal Codice di Deontologia Medica. Il paziente può rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, il medico non può legarlo al letto e somministrarglielo per “il suo bene”. Il paziente ha dunque la piena libertà di decidere riguardo alla propria salute, anche qualora le decisioni prese implichino la sua morte. Fin qui nulla di sorprendente: è il cuore concettuale del consenso informato che ha sostituito il paternalismo medico.
A sorprendere invece è il richiamo di Laviola al diritto alla vita, sacra e indisponibile, come limite al diritto di autodeterminazione attuato tramite una omissione (distacco del respiratore o interruzione di una terapia avviata) e non una omissione (rifiuto di una terapia o di un macchinario). In altre parole: esisterebbe il diritto di rifiutare una cura sì, ma di interromperla no! Se il diritto alla vita è inviolabile, non dovrebbe avere questo andamento oscillatorio. Se la vita è sacra e indisponibile, come sostiene Laviola, sarebbe necessario ricorrere a qualsiasi mezzo per proteggerla: anche al costo di violare la volontà delle persone. Costringere Piergiorgio Welby a vivere, così si sarebbe rispettato quel diritto alla vita che somiglia pericolosamente a un dovere alla vita.
Mario Riccio, a differenza di molti, ha rispettato il volere di Welby e non si è nascosto dietro all’ipocrita e fallace differenza tra azione ed omissione. Questo è il suo reato.
(Su E Polis, La sentenza è «condannati» a sopravvivere)
giovedì 14 giugno 2007
Il reato di Mario Riccio
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