domenica 10 giugno 2007

Perché Welby poteva chiedere legittimamente di staccare il ventilatore

Un paziente X è malato di cancro.
Gli si prospettano 2 alternative: a. cicli di chemioterapie con prospettiva di sopravvivenza e guarigione a.1; b. nessuna chemioterapia con prospettiva di sopravvivenza e guarigione b.1 (ove tanto nella prospettiva a.1 che b.1 compare la morte come possibile esito; in b.1 è verosimilmente anticipata rispetto a a.1).

Prima di proseguire: sono, a. e b., entrambe strade percorribili e legittime?

Se sì e se il paziente X scegliesse a., sarebbe poi libero di interrompere la chemioterapia (c.) qualora durante il trattamento cambiasse idea?

Difficile rispondere di no. E allora le scelte a., b. e c. dovrebbero essere tutte legittime. Soprattutto: la scelta a. è equivalente moralmente alla scelta c. (e dovrebbe esserlo anche legalmente).
Sostituiamo la chemioterapia con un ventilatore meccanico o con la nutrizione e alimentazione artificiale. Se il paziente Y (non ancora collegato ad un macchinario) rifiuta il ventilatore meccanico lo possiamo forse costringere? E se quello stesso paziente accetta di essere tenuto in vita da un macchinario e poi, dopo un certo periodo di tempo, decide che vuole essere scollegato? Che cosa c’è di diverso dal rifiuto assoluto di essere collegato? L’avere accettato lo priva forse della possibilità di cambiare idea? E di esercitare ora la sua originaria possibilità di rifiutarlo?

Che cosa ha chiesto Piergiorgio Welby? Che cosa ha fatto Mario Riccio?
(Per gli smemorati: l’autopsia ha stabilito che Welby è morto in seguito al distacco del ventilatore e non per la somministrazione di farmaci sedativi).

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Spero di non commettere una scorrettezza segnalando questo post, scritto prima della morte di Welby:
http://spirtules.blogspot.com/2006/12/eutanasia.html

Nel caso, levate pure il mio commento.

Grazie per il vostro blog: molto preciso e sensato.

Maurizio ha detto...

Se il paziente Y (non ancora collegato ad un macchinario) rifiuta il ventilatore meccanico lo possiamo forse costringere? E se quello stesso paziente accetta di essere tenuto in vita da un macchinario e poi, dopo un certo periodo di tempo, decide che vuole essere scollegato? Che cosa c’è di diverso dal rifiuto assoluto di essere collegato?

Come credo tu sappia meglio di me, una differenza c'è. Se rifiuti le cure subito, il medico, per rispettare la tua volontà, non deve fare nulla. Se invece prima accetti la terapia e poi cambi idea, il medico, per rispettare la tua volontà, può dover compiere un'azione attiva (come il distacco del respiratore) che tu non sei in grado di compiere perché non hai capacità motoria. Quest'azione attiva può essere contraria all'etica del medico. Quindi il secondo caso può dare più problemi al medico rispetto al primo caso...

Ciao

Chiara Lalli ha detto...

È una differenza logistica e non morale.
Forse è difficile da "sentire" questa equivalenza, perché il resistente senso comune dice che lasciar morire qualcuno è meno problematico che ucciderlo (parliamo sempre di una equivalenza dal punto di vista morale).
Per quanto controintuitivo possa essere, dunque, se io non ti attacco al respiratore è equivalente al distacco (la premessa necessaria è che lo chieda il paziente, ovviamente).
Potrebbe essere utile opporsi all'intuizione, invece che tendere a seguire la corrente.
Se me ne sto, braccia incrociate, a guardare qualcuno che muore e che io potrei salvare, sono forse meno condannabile che se gli metto le mani al collo fino a soffocarlo?

Paolo C ha detto...

Sei condannabile in entrambi i casi, ma in modo diverso: un conto e' uccidere, un conto omettere il soccorso. O sbaglio?
Comunque sia, sono d'accordo con il post, ma per essere d'accordo occorre uno sforzo etico, che non e' ovvio per chi e' abituare a fondare la propria etica sul principi calati dall'alto.
Io attacco un respiratore a un paziente perche' non conosco la sua volonta', oppure perche', pur conoscendo la sua volonta' di non essere attaccato, essa non e' espressa in modo sufficientemente chiaro per mettermi al riparo da conseguenza legali (possiamo voler essere tutti Riccio, ma non possiamo obbligare tutti ad esserlo).
A questo punto, e' molto facile sentirsi a posto: ho fatto il mio dovere, il problema non e' piu' mio.
Sono idee non facili da cambiare. Anche perche' e' lecito averle e tenersele.
Purtroppo non e' nemmeno facile creare uno spazio etico in cui si possano fare delle scelte. E neanche proporlo, senza sentirsi accusare di ogni nefandezza, come ben sappiamo.

Un saluto.