venerdì 19 ottobre 2007

Desistenza terapeutica si può dire (?)

“Ogni anno aiutiamo a morire ventimila malati senza speranza”, la Repubblica, 19 ottobre 2007:

Delle trentamila persone che muoiono ogni anno nelle terapie intensive italiane quasi ventimila, il 62 per cento, lo fanno grazie all’aiuto del medico rianimatore. Si tratta di pazienti per i quali non esiste più alcuna possibilità di cura. Uomini e donne che resterebbero in vita solo grazie all’aiuto di un respiratore.
La chiamano desistenza terapeutica (a qualcuno potrebbe evocare un atteggiamento di ipocrisia – soprattutto da parte di quanti si coprono gli occhi e le orecchie dimenticando però di tapparsi la bocca). Chiamatela come vi pare, ma durante il congresso SIAARTI sono stati presentati dati che dovrebbero far riflettere.
L’indagine è stata condotta su 84 centri in Italia: oltre la metà delle morti avverrebbe per l’interruzione delle cure (i risultati finali sono stati ottenuti con le proiezioni). Nel 48 per cento dei casi le famiglie danno il loro consenso; per gli altri, se non sono presenti i parenti, è il medico a decidere.
Chissà se la tentazione di dar retta ai seducenti luoghi comuni sarà intaccata: com’è il proverbio, non c’è peggior sordo...? (Io aggiungerei non c’è peggior sordo, volontario e simulato, di chi pretende di parlare senza ascoltare).

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