sabato 20 ottobre 2007

W i ricercatori italiani

Leggo e volentieri rimando ad una lettera firmata da Gianfranco Bertone, Giacomo Cacciapaglia, Marco Cirelli, Pier-Stefano Corasaniti, Lara Faoro, Alessio Figalli, Marcella Grasso, Riccardo Spezia, Simone Speziale, Dario Vincenzi, Francesco Zamponi e inviata a Fabio Mussi e a Luciano Modica (Alcune considerazioni sul sistema di reclutamento dei ricercatori italiani, la versione completa della lettera è qui).

La lettera comincia così:

Nel giugno scorso si sono svolti, come ogni anno, i concorsi del CNR francese (CNRS) per l’accesso a posti da ricercatore a tempo indeterminato. Noi firmatari di questo documento siamo risultati vincitori di buona parte di questi posti nelle sezioni di matematica, fisica e astronomia; tutti i risultati in dettaglio sono consultabili sul sito del CNRS. Nelle classi che ci riguardano e nel solo concorso 2007, gli italiani hanno ottenuto il 35% dei posti banditi (il 71% restringendosi a fisica teorica) e, se il CNRS assegnasse medaglie, cinque ori e tre argenti in sette competizioni. Più in generale, se si guarda alla lista degli iscritti al concorso, il numero di italiani è impressionante: ormai tutti in Francia parlano di “invasione italiana’’.

La tendenza attuale dei ricercatori italiani a cercare posti all’estero è stata sottolineata più volte negli ultimi anni. Per comprenderne le ragioni, sono sufficienti alcune semplici considerazioni sul sistema di reclutamento italiano, evidenti a chiunque sia stato anche per un breve periodo a fare ricerca all’estero. Le nostre esperienze sono in particolare relative all’ambito accademico di matematica, fisica e astronomia, ma sono facilmente estrapolabili ad altri domini della ricerca scientifica e umanistica, che anzi spesso versano in condizioni ancor più preoccupanti. Sono necessarie intanto alcune premesse:
(A) Di per sé, il fatto che i ricercatori italiani desiderino andare all’estero e vincano concorsi in tutti i paesi più avanzati è un dato molto incoraggiante. Vuol dire che la formazione che si impartisce in Italia è ottima, e che i giovani ricercatori italiani sono motivati, dinamici e talmente appassionati al proprio lavoro da essere pronti a emigrare per fare ricerca nelle migliori condizioni. (B) Il problema dunque non è la “fuga dei cervelli’’, ma piuttosto l’assenza totale di un flusso inverso, ovvero l’impossibilità per gli italiani di rientrare dopo un periodo trascorso all’estero; e inoltre (C) la quasi totale assenza di ricercatori stranieri. Quest’ultimo fatto è veramente preoccupante: tutti i paesi avanzati reclutano ricercatori dall’estero, ad esempio dai paesi asiatici o sudamericani. Gli Stati Uniti e la Francia hanno approfittato del crollo dell’URSS per reclutare i migliori ricercatori ex-sovietici. In Italia, niente di tutto ciò. (D) L’assenza di rientri e reclutamenti dall’estero rende il sistema insostenibile. Il progressivo pensionamento degli attuali docenti potrebbe causare un abbassamento generalizzato del livello della ricerca e dell’insegnamento; a quel punto non vinceremo più neanche i concorsi all’estero.
Da mal di stomaco. E da leggere tutta. E da rispedire migliaia di volte ai destinatari.

Aggiornamento: Giulio ci segnala questo post: Fuga dei cervelli (che linkiamo volentieri).

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Evviva!!!! Posso permettermi di linkare questo articolo che avevamo scritto sul nostro blog tempo fa? E'che finalmente mi accorgo che qualcuno comincia veramente a centrare il punto del problema. Se vi desse fastidio il link, non fa niente. Grazie, mitici!
Giulio, lagiardiaintroversa

http://abeonaforum.wordpress.com/2006/11/17/fuga-dai-cervelli/

Chiara Lalli ha detto...

Giulio, grazie per il link, lo aggiungo nel post. Sperare che qualcosa cambi è forse da sciocchi, ma continuiamo a nutrire qualche speranza e comunque continuiamo a protestare!

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con gli amici Simone, Francesco e gli altri autori della bella lettera. Prima amara considerazione: la stabilizzazione (senza concorso) di personale di ricerca CNR, sull'ordine delle migliaia di unità, è stata già avviata. Seconda amara considerazione: il ministro ha firmato pochi giorni fa il decreto per il primo bando del piano triennale di assunzione straordinaria di ricercatori. Questa pratica rischia di essere una tragedia per chi comincia un dottorato oggi. L'impressione è che non si riesca ad uscire dalla logica "adesso che c'è un governo amico tutti dentro, prima che sia troppo tardi!".
Infine un'ultima considerazione. A mio parere il grimaldello per l'eliminazione delle "code" di giovani ricercatori in attesa dell'assunzione è l'abolizione del concorso pubblico per tutti i contratti postlaurea (dottorato e postdottorato). Infatti il concorso pubblico permette di poter liberare i gruppi di ricerca da ogni responsabilità sulla qualità degli assunti (questo vale ancor di più per i dottorandi, considerati manovalanza gratuita). Se i fondi per le assunzioni a tempo determinato fossero assegnati e gestiti direttamente dai gruppi di ricerca, in quantità proporzionale alla qualità della ricerca svolta dal gruppo, si avrebbero due effetti. In primis si alimenterebbe la mobilità dei giovani, giustamente auspicata nella lettera. In secondo luogo si inzierebbe a scalfire una delle cause a mio parere strutturali dell'esistenza del baronato: il principio per cui il potere politico del barone nelle università non è legato alle sue capacità come ricercatore, ma innanzitutto alla sua capacità di muoversi in modo scaltro tra i piccoli intrighi interni ai dipartimenti.