venerdì 12 ottobre 2007

Il razzismo senza razza

Preziose, in tempi di feroce e strumentale rivendicazione identitaria, le parole di Marco Aime, su Liberazione di ieri, a proposito del nuovo «razzismo senza razza» («Ma quale biologia, il nuovo razzismo nasce dalla “cultura”», 11 ottobre 2007, p. 5):

La retorica politico-mediatico degli ultimi anni ha spostato l’asse della discussione sulle differenze tra i gruppi umani sul piano culturale. Squalificata l’ipotesi biologica, si pone l’accento sulla differenza culturale. Si parla di culture e di popoli attribuendo a ogni gruppo una cultura data e a ogni suo membro un’altrettanto determinata cultura per il fatto di appartenere a quel gruppo. Insomma, all’idea di “razza” si è sostituita quella di “cultura”, che viene però proposta con le stesse caratteristiche della razza e utilizzata per gli stessi fini.
Siamo al “fondamentalismo culturale”, un approccio secondo cui le culture sarebbero delle sorte di gabbie rigide, distinte e incommensurabili e i rapporti fra portatori di culture differenti sarebbero intrinsecamente conflittuali. In questo modo si nega la dinamica continua e l’incessante processo di elaborazione che coinvolge ogni individuo e ogni gruppo umano. Come sostiene il celebre antropologo Eric Wolf: «È un errore considerare lo straniero come il portatore o il protagonista di una cultura omogeneamente integrata, che egli può mantenere o rifiutare nel suo complesso. Non è più difficile per uno zulù o per un hawaiano imparare o disimparare una cultura di quanto non lo sia per un abitante della Pomerania o della Cina».
[…] L’etnocentrismo dominante, che sta alla base dei razzismi, ha oggi trovato una via diversa: quella della discriminazione culturale. Siamo in presenza di un razzismo senza razza.

3 commenti:

Antonio Candeliere ha detto...

ottima analisi

Alhazred ha detto...

Secondo me sbagliata. Liberazione al solito esagera e strumentalizza.
L'idea identitaria non è quella di un fondamentalismo culturale (solo pochi casi estremi e poco seguiti lo propongono), ma lamenta il fatto che ci sia poca considerazione per la NOSTRA cultura, e che stiamo venendo ormai non influenzati, non contagiati ma sovrascritti da altre culture che non ci appartengono.
Non si rifiuta a priori una cultura esterna, ma si rifiuta l'accantonamento della nostra.

Luca

Anonimo ha detto...

Luca, io quando sento qualcuno lamentare la "fine della sua cultura", mi chiedo sempre: ma chi gli impedisce di coltivarla? Nessuno, in Italia, ti costringe con la coercizione ad accantonare la cultura italiana. Puoi viverla e tramandarla finché vuoi, con tutti gli strumenti possibili.
Invece tutti quelli che invocano l'identitarismo vorrebbero costringere gli altri, sul territorio italiano, a seguire un'identità collettiva (tra l'altro, quasi sempre costruita a posteriori), come se fosse l'unica possibilità.

Non capisco poi il discorso delle culture che "non ci appartengono". Proviamo a togliere dal continente europeo tutti gli apporti allogeni nel corso della storia, cosa ci rimane in mano? Forse nulla, perché sin dagli indoeuropei è venuto quasi tutto "da fuori". Al massimo qualche clava legnosa e un po' di statuette della Magna Mater.