Sul Corriere della Sera di oggi («I valori mutati della sinistra», 26 giugno 2006), Ernesto Galli della Loggia rileva quella che ritiene essere una contraddizione della sinistra italiana di oggi: da un lato essa sarebbe oggettivamente diventata «per molta parte lo schieramento dei ceti medi dai valori individualistico-libertari», ceti medi che rappresentano ormai la maggioranza del paese; dall’altro, ciò minerebbe l’immagine che la sinistra si fa della propria identità, «che è obbligatoriamente sentita come quella di un’eterna minoranza sempre in lotta contro forze soverchianti, contro nemici agguerriti e potenti» e che comporterebbe il bisogno «di sentirsi sempre e comunque “contro”, in minoranza, controcorrente nel mare della storia: paradossalmente anche quando, invece, essa vi naviga con il favore dei venti».
L’analisi, pur nella sua stringatezza, è fin qui in buona parte condivisibile; ma nel finale – che è poi la parte che interessa maggiormente i lettori di Bioetica – Galli della Loggia perde improvvisamente e completamente la lucidità:
Da qui, allo stesso modo – dal bisogno di considerarsi essa sola destinata a recitare il ruolo di minoranza – da qui anche, infine, il suo non riuscire a intendere affatto le obiezioni della Chiesa alla ormai proclamata e ultramaggioritaria libertà moderna in tema di ingegneria genetica, di orientamenti sessuali e di cose analoghe: il suo travisare tali obiezioni facendole passare come espressione di un dogmatismo chiuso e nella sua arroganza potentissimo, mentre si tratta solo del disperato tentativo, mi pare, di limitare il dilagare distruttivo dei tempi.Ora, dovrebbe essere evidente che la spiegazione più semplice della (supposta) incapacità di «intendere le obiezioni della Chiesa» in tema di «orientamenti sessuali e di cose analoghe» non sta affatto nella fregola minoritaria della sinistra, ma proprio nei «valori individualistico-libertari» di quella classe media che lo stesso Galli della Loggia ci ha appena detto costituirne la nuova base sociale; valori che emergono nel dibattito pubblico, nonostante che la sinistra li rappresenti solo imperfettamente. Se infatti per «sinistra» si intende (come mi pare faccia il nostro autore) un ceto politico e intellettuale, non è poi così scontato attribuirle tutte queste simpatie per l’«ingegneria genetica», gli orientamenti sessuali e i valori libertari in genere. Nell’articolo si fa un nome per rappresentare quel ceto e le sue pulsioni: quello di Dario Fo. Ebbene, molti ricorderanno come qualche anno fa proprio il premio Nobel si fosse imbarcato in una polemica – abbastanza sciocca e disinformata – contro gli xenotrapianti, cioè i trapianti di organi da animali geneticamente modificati all’uomo. Nella sinistra più ‘classica’ c’è poi spazio per la ferocia reazionaria in materia di bioetica di Giovanni Berlinguer, o per l’untuoso culto dell’embrione di Giuliano Amato; nella sinistra radicale troviamo l’opposizione dei Verdi agli Ogm, o il rozzo pamphlet delle Madri Selvagge, Tavella e Di Pietro (per le quali l’appartenenza politico-culturale, benché ancora rivendicata, appare tuttavia ormai molto labile). Galli della Loggia non vede tutto ciò: gli fa velo, probabilmente, l’antipatia per la sinistra, e il desiderio più o meno inconscio di non accostarla a chi è in missione per conto di Dio nel «disperato tentativo … di limitare il dilagare distruttivo dei tempi».
Naturalmente la sinistra è anche più o meno compatta a favore di temi come l’aborto o i Pacs per gli omosessuali; ma sono convinto che questo impegno ricada propriamente in quella amministrazione del disagio sociale in cui l’élite progressista ha da sempre visto la propria missione (e la propria fonte di reddito e status). Così, l’aborto sarà interpretato non come una libertà positiva delle donne, ma come una tragedia inferiore solo all’aborto clandestino; e ai gay sarà concessa la pensione di reversibilità, ma non l’adozione (perché, come sosteneva qualche anno fa una pur benemerita intellettuale di sinistra, i bambini potrebbero a loro volta diventare omosessuali...). Se c’è ancora una speranza per gli autentici valori di libertà, essa risiede nel disprezzato, «desiderante» e individualistico ceto medio, e in chi avrà il coraggio di farsene fedele interprete.
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