giovedì 30 novembre 2006

Le mani sulla culla

La presentazione dei dati degli esuli della procreazione assistita, forniti dall’Osservatorio per il Turismo Procreativo oggi in una conferenza stampa, è stata una ennesima occasione per una analisi del colpevole nella sua ultima apparizione pubblica: Corte Costituzionale vs articolo 13 della legge 40 e analisi delle motivazioni.

Qualche precedente (è bene non dimenticare)

• Durante la discussione parlamentare (2004) non sono stati nemmeno considerati 300 emendamenti.
• Era stato annunciato (estate 2006) un tavolo di lavoro sulle Linee Guida: silenzio.
• Interrogazione parlamentare (12 settembre 2006, su istanza dei pazienti e per iniziativa di Katia Zanotti): Dove sono finiti i soldi della legge 40/04 per l’informazione corretta?

Interrogazione a risposta scritta di Katia Zanotti al Ministro della Salute. Premesso che:
· la legge n. 40/2004 all’art. 2, comma 1, prevede la promozione di campagne di informazione e prevenzione dei fenomeni della sterilità e della infertilità, le cui spese annualmente sono pari a 1.000.000 di euro;
· con D.M. 1 dicembre 2004, è stato approvato il programma per la realizzazione, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Medicina Sociale (IIMS), di una campagna di comunicazione e prevenzione dei fenomeni della sterilità e dell’infertilità, e in data 20/06/2005 è stato stipulato l’accordo di collaborazione tra il Ministero della Salute e l’Istituto Italiano di Medicina Sociale per la realizzazione e la gestione della citata campagna, così descritta nei fini:
“Il progetto approvato ha lo scopo di intervenire sul fenomeno della sterilità e infertilità che in Italia colpisce tra il 15% e il 20% delle coppie in età fertile, allo scopo di diffondere conoscenze su comportamenti e stili di vita da adottare per la prevenzione, nonché sulle prestazioni e servizi disponibili sul territorio nazionale per facilitare l’accesso alle strutture diagnostiche e terapeutiche, con particolare riguardo a quelle che praticano la fecondazione assistita”;

dalla relazione sulla Legge 40/04, presentata al Parlamento dall’Onorevole Ministro destinatario della presente, si apprende che:
· Attualmente, dopo 2 anni, l’Istituto Italiano di Medicina Sociale ha posto in essere solo attività organizzative propedeutiche alla realizzazione del suddetto progetto sulla comunicazione e prevenzione;
· con D.M. 21 dicembre 2005 è stato approvato il programma relativo all’anno finanziario 2005;
· con D.D. 27 dicembre 2005 è stata impegnata la prevista somma;
· è in fase di predisposizione la nuova convenzione da stipulare con l’Istituto Italiano di Medicina Sociale;
· nessuna campagna di informazione è stata attuata concretamente.
La Corte Costituzionale sull’articolo 13 della legge 40 (ordinanza 369, novembre 2006)

Il procedimento civile è stato promosso nel luglio 2005 da una coppia di Cagliari che ha chiesto di poter effettuare la diagnosi genetica di preimpianto sugli embrioni prima dell’impianto (ordinanza del 16 luglio 2005 dal Tribunale di Cagliari).
La coppia aveva in passato fatto ricorso alla PMA: la donna era rimasta incinta, ma la villocentesi praticata all’undicesima settimana aveva rilevato che il feto era affetto da beta-talassemia. La donna aveva abortito, e questa esperienza le aveva provocato una sindrome ansioso-depressiva. In occasione del secondo ciclo di PMA e dopo che gli embrioni erano già formati, la donna ha chiesto che fossero sottoposti a diagnosi genetica prima dell’impianto, rifiutando di procedere all’impianto in caso di rifiuto per non rischiare nuovamente di abortire in seguito a diagnosi prenatali.
Il primario dell’Ospedale microcitemico si era rifiutato di procedere in base all’ormai tristemente famoso articolo 13:
b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo.
I coniugi,
ritenendo tale lettura [l’interpretazione restrittiva del suddetto articolo] inaccettabile alla luce dell’art. 32 Cost., hanno chiesto la declaratoria in via cautelare – considerato che gli embrioni erano provvisoriamente crioconservati e che il tempo necessario per la convocazione della controparte poteva pregiudicare l’attuazione del provvedimento urgente – del proprio diritto ad ottenere la predetta diagnosi, e sollecitato l’emanazione di un decreto, ex art. 669-sexies, secondo comma, cod. proc. civ., che ordinasse al predetto sanitario di procedere alla diagnosi, deducendo, in subordine, la illegittimità costituzionale del citato art. 13 per contrasto con gli artt. 2 e 32, primo comma, Cost., nella parte in cui non prevede la diagnosi preimpianto ove la stessa sia giustificata dalla necessità di tutelare il diritto della donna alla propria salute.
Il fatto che il Tribunale avesse sottolineato che «il conflitto coinvolgente, da un lato, la tutela della salute della ricorrente e, dall’altro, la tutela dell’embrione» impone di considerare che «l’embrione si trova, allo stato, sottoposto a crioconservazione, in conseguenza del rifiuto della ricorrente di procedere all’impianto senza previa diagnosi», che «anche la salute della donna è, nel caso di specie, seriamente minacciata dalla impossibilità di conoscere lo stato di salute dell’embrione prima di procedere all’impianto» e che in tale situazione, «non solo appare inadeguata la tutela della salute della donna […] ma non risulta neppure maggiormente garantita la salute dell’embrione, probabilmente condannato a subire, nel tempo, danni biologici […] (laddove) il rischio di inutilizzabilità a causa della diagnosi preimpianto si aggirerebbe statisticamente intorno all’uno per cento, percentuale inferiore, quindi, a quella del rischio di aborto nelle diagnosi prenatali (v. sul punto le dichiarazioni della dott. C.)», non ha contribuito in alcun modo a spostare la decisione della Corte verso il buon senso.
Così come a nulla è servita la constatazione (sostenuta dal rimettente) del conflitto con l’articolo 3 della Costituzione, essendo consentita
la diagnosi prenatale, e pertanto sussistente in capo ai genitori un diritto alla informazione sulla salute del feto nel corso della gravidanza, laddove analogo diritto sarebbe negato nella fase della procreazione assistita che precede l’impianto; ciò che determinerebbe un ingiustificato diverso trattamento di posizioni soggettive sostanzialmente assimilabili, con conseguente contrasto della norma che vieta la diagnosi preimpianto con l’art. 3 della Costituzione.
Non è pertinente né moralmente significativa la differenza tra il tempo precedente l’impianto e il tempo posteriore. Nessuna valida ragione può sostenere il divieto della diagnosi genetica di preimpianto essendo legalmente possibile effettuare diagnosi prenatali.
L’infondatezza della questione di legittimità costituzionale è stata sostenuta dall’argomentazione che
il suo accoglimento comporterebbe una forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni, a fronte di un ipotetico rischio di compromissione dello stato psico-fisico della donna.
Ed ecco il passaggio in cui emerge lo spirito della legge 40 (articolo 1):
ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, la soluzione normativa censurata, oltre ad essere ragionevole e coerente con il principio generale, desumibile non solo dalla legge n. 40 del 2004, ma anche da altre disposizioni normative che configurano il concepito come soggetto giuridico, è la più idonea a bilanciare interessi contrapposti, tenuto conto che non esiste, e non ha giuridico fondamento, la pretesa ad avere «un figlio sano», e che, pertanto, non può assumere alcuna rilevanza l’elemento attinente all’equilibrio psico-fisico della donna [i corsivi sono miei].
Non è del tutto chiaro quali siano le «altre disposizioni normative» che configurano lo status morale e giuridico dell’embrione. E la negazione della «pretesa» ad avere un figlio sano lascia emergere contraddizioni e luoghi comuni.
Innanzi tutto, il luogo comune che la richiesta di avere un figlio sano sarebbe un capriccio inammissibile e liquidato con paragoni inappropriati, come quello di pretendere un figlio bello e biondo, quello che Rutelli diceva di comprare al supermercato, oppure Turco di ordinare al Postalmarket...
Peccato, poi, che il diritto alla salute sia un bene inviolabile dell’uomo (articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, rispettivamente tutela dei diritti inviolabili dell’uomo come singolo e principio di uguaglianza e diritto alla salute); peccato che il diritto alla salute della donna non sia stato nemmeno menzionato.
Il divieto della diagnosi preimpianto discende non soltanto dalla norma censurata (art. 13) come «comunemente interpretata» (sia per «il suo contenuto» che «per la sua formulazione letterale»), ma è «comunemente desunto anche dalla interpretazione della legge alla luce dei suoi criteri ispiratori» e «dalla disciplina complessiva della procedura di procreazione medicalmente assistita disegnata dalla legge» (in particolare, dalla disciplina della «revocabilità del consenso solo fino alla fecondazione dell’ovulo», dal «divieto di creazione di embrioni in numero superiore a quello necessario per un unico impianto, obbligatorio quindi per tutti gli embrioni», dal «divieto di crioconservazione e di soppressione di embrioni»).
Molto significativo del ‘clima’ è il fatto che Alfio Finocchiaro nella ricostruzione della vicenda e parlando del nascituro, lo ha chiamato ‘bambino’, avallando l’assurda considerazione di ogni essere umano come persona a partire dal concepimento (ovocita + spermatozoo) proprio come stabilito dall’articolo 1 della legge 40. Ma senza nemmeno soffermarsi ad indagarne le conseguenze e senza offrire nessun argomento a sostegno.
L’unico dato positivo è stato il rifiuto di considerare gli atti di intervento del Comitato per la tutela della salute della donna, del Forum delle Associazioni Familiari e del Movimento per la Vita Italiano in quanto non rappresentativi di un interesse qualificato.
Tuttavia i citati articoli 2, 3 e 32 della Costituzione sembrano essere stati ignorati, soprattutto:
Articolo 2:
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Articolo 32:
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
E così, la lista di quanti sono esclusi dalle tecniche di procreazione assistita rimane intatta. E la violazione della libertà individuale e della libertà procreativa è riaffermata.
Quella libertà procreativa assoluta quando è naturale, diventa una strada percorribile per pochi quando è necessario ricorrere alle tecniche artificiali.
I non ammessi, che desiderano avere un figlio, si trovano a dover rinunciare oppure a intraprendere viaggi all’estero.
Se è permesso a tutti avere un figlio senza l’intervento di una tecnica (di per sé moralmente neutrale, come un paio di occhiali o un apparecchio acustico) perché è necessario sottoporsi a una specie di test del «buon genitore»? Saremmo disposti giudicare legittimo fornire un elenco di libri leggibili o di musica ascoltabile a quanti hanno bisogno di tecniche visive e uditive che soppiantino la libertà (di leggere e di ascoltare)?

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