Benedetta Argentieri e Simona Ravizza, «Aborto, la fuga delle donne» (Corriere della Sera, 16 febbraio 2008, pp. 8-9):
«Le prenotazioni per la legge 194 sono esaurite. Riprenderanno il 19 febbraio dalle 11 alle 12». Così la segreteria telefonica dell’ospedale Macedonio Melloni, tra i più importanti di Milano. Inutile meravigliarsi. Prendere un appuntamento per interrompere la gravidanza è solo l’inizio dell’odissea che le donne devono affrontare per abortire oggi in Italia. Un percorso a ostacoli tra ambulatori aperti solo un’ora alla settimana, accettazioni a numero chiuso, colloqui, visite ginecologiche ed ecografie che costringono ad andare in ospedale anche quattro volte, liste d’attesa che superano i 15 giorni almeno in un caso su due, l’insistenza dei volontari del Movimento per la vita in corsia, umiliazioni emblematiche come il cartello con la scritta «Interruzioni di gravidanza» appeso ai lettini delle donne in procinto di abortire al Niguarda, eliminato solo dopo l’intervento dei sindacati dell’ospedale milanese. L’irruzione della polizia al Federico II di Napoli dopo un aborto terapeutico è la punta dell’iceberg di un fenomeno che spinge sempre più donne a rivolgersi a cliniche estere. In fuga dall’Italia per abortire.Così il diritto all’aborto sta morendo in Italia: non modificando la legge, ma svuotandola. Solo ora – dopo due anni di governo! – il ministro della sanità dispone che almeno un medico non obiettore sia presente in ogni distretto sanitario. Troppo poco, troppo tardi – ammesso che la misura serva, sarà una delle prime ad essere rovesciata dal prossimo governo.
«Are there a lot of italian women coming here? », «Yes. Lately even more». Alla domanda se ci sono numerose italiane che prendono un appuntamento, la centralinista della Leigham Clinic non ha dubbi: «Si. Ultimamente sempre di più». La clinica a sud di Londra è diventata uno dei punti di riferimento delle donne che con 780 sterline possono interrompere la gravidanza nel giro di una settimana. Un numero che non ha eguali in Europa. Lo dimostrano le statistiche del ministero della Salute inglese. Con l’arrivo in Gran Bretagna di una donna ogni due giorni, l’Italia è in cima alla classifica dei viaggi per abortire, seconda solo all’Irlanda (dove le Ivg sono illegali a meno che non siano in pericolo la vita e la salute della donna). […]
Tra i motivi che spingono ad andarsene, anche le difficoltà con cui spesso deve fare i conti chi si rivolge agli ospedali. Al San Paolo di Milano gli appuntamenti per le Ivg vengono presi un’ora alla settimana il venerdì, dalle 13.30 alle 14.30. Al Buzzi di via Castelvetro gli sportelli sono aperti il mercoledì e il venerdì alle 7.30, ma la segreteria telefonica avvisa già: «Vengono accettate le prime 16 donne». Altra città, nuove situazioni. Agli ospedali Riuniti di Bergamo la sede del Movimento della vita è all’interno del reparto di Ostetricia e Ginecologia guidato dal 2000 da Luigi Frigerio (vicino a Comunione e Liberazione). Al San Matteo di Pavia se n’è appena andato via anche l’ultimo non obiettore: gli aborti li fanno due giovani con borsa di studio. A Desenzano c’è un solo medico che esegue le Ivg (quando è malato o in vacanza ne deve arrivare uno da fuori). Stesse scene anche fuori dalla Lombardia. Al Ca’ Foncello di Treviso c’è un solo ginecologo su 15. E, proprio in Veneto, è atteso a settimane l’arrivo in consiglio regionale del progetto di legge di iniziativa popolare che prevede, tra l’altro, la presenza di volontari antiabortisti negli ospedali. Il consigliere di Alleanza Nazionale, Raffaele Zanon, ha chiesto di mettere in discussione la proposta subito dopo l’approvazione del Bilancio 2008. Ancora. «In Basilicata la percentuale di camici bianchi che non praticano aborti è vicina al 93%, anche se i dati del ministero della Salute, fermi al 2005, li danno al 42% – denuncia il radicale Valerio Federico. All’ospedale San Carlo di Potenza raggiungono la quota del 95%». […]
Cosa ha impedito che questo o provvedimenti più efficaci venissero adottati prima, quando si poteva sperare che avessero il tempo di attecchire? Non so se possano esserci state difficoltà di qualche genere; l’unica che mi viene in mente è che si siano voluti evitare guai al governo, ostaggio della quinta colonna teodem.
Aggiornamento: sempre sul Corriere di ieri, altri due articoli sulla negazione di fatto del diritto all’aborto: Benedetta Argentieri, «“Solo rinvii e dolore. Mi hanno costretta a partire per Londra”», p. 8; Alessandra Arachi, «Tutte in fila in ospedale. Ma non c’è posto», p. 9.
2 commenti:
E' come l'astensione sulla legge 40, con quella hanno fatto naufragare il referendum. Con la legge sull'obiezione contano sull'ambizione di carriera dei medici. Un modo vigliacco di fare politica ma molto efficace. E l'opposizione della Turco che stabilisce un medico non obiettore in ogni distretto ovvero un disgraziato che deve eseguire IVG per dieci ore al giorno è davvero commuovente.
Avevo letto un paio di anni fa, almeno, un articolo del venerdì che affrontava questo problema dal punto di vista dei ginecologi (credo solo nel Lazio). Fare aborti è poco remunerativo e difficile psicologicamente per una varietà di motivi. Credo che sia plausibile la tesi che era presentata dall'autore di quell'articolo (che ho l'imnpressione fosse un'autrice, ma non sono sicura, molti dei dottori intervistati erano donne) che la maggioranza degli obiettori di coscienza non è particolarmente contro l'aborto, ma sfrutta l'opzione offertale per non occuparsi di un tipo di operazione che non dà nessuna gratificazione professionale o di ricerca o economica e che al contrario implica così tante difficoltà spirituali, psicologiche e sociali. I pochi coraggiosi ginecologi e ginecologhe che continuano a farlo, magari senza neanche essere personalmente a favore, ma credenti nel diritto di scelta, sono oberati di lavoro, stigmatizzati da fasce della società e non ricevono alcun supporto o incentivo materiale o morale, almeno che io sappia.
Cruciale sarebbe non solo garantire che ci sia un non-obiettore per distretto, ma che sia incentivata la non-obiezione. Chiaramente, non nutro alcuna speranza in merito. Così come non nutro alcuna speranza che si attui un processo di formazione e sostegno psicologico per tutto il personale coinvolto negli aborti.
Il risultato è che ci saranno sempre meno persone disposte a fare questo lavoro e lo faranno con sempre maggiore freddezza, distacco e cinismo, comprensibile modo per difendersi dal fardello piscologico e sociale che devono portare.
A coloro che per spirito civico e convinzioni morali e politiche continuano ad attuare aborti va tutta la mia gratidudine e il mio rispetto di donna e di cittadina.
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