venerdì 31 marzo 2006

Inutili preghiere (di intercessione)

Mi ricordo che mia nonna diceva a proposito degli sprechi di soldi (o di quelli che percepiva come tali): ma ce l’hanno in più?
È quello che si è tentati di chiedere al dottor Herbet Benson, cardiologo e direttore del Mind/Body Medical Institute vicino a Boston, e responsabile di uno studio quantomeno singolare (Long-Awaited Medical Study Questions the Power of Prayer, New York Times, 31 marzo 2006).
Le preghiere di altri aiutano i malati di cuore? No, non è una ricerca sugli effetti dell’LSD, ma proprio sugli effetti delle orazioni sui pazienti che affrontano un intervento cardiaco.
La risposta è no. Nessun beneficio. Anzi, i pazienti che sono a conoscenza che qualcuno sta pregando per loro soffrono maggiormente di complicazioni postoperatorie rispetto a quelli cui nessuno dedica una prece, torturando un rosario tra le dita. Forse, suggeriscono i ricercatori (beh, certo, non è l’unica ipotesi esplicativa possibile), a causa delle aspettative che le preghiere alimentano, una specie di ansia da prestazione (“a kind of performance anxiety”). Un effetto placebo al contrario, più o meno.
Secondo quanto riportato dal New York Times, questo è lo studio scientificamente più rigoroso condotto finora. È iniziato oltre dieci anni fa, e ha coinvolto 1800 pazienti. E quanti soldi? Duemilioniquattrocentomila dollari, la maggior parte proveniente dalla John Templeton Foundation. (Il governo ha speso una cifra simile per la ricerca sulle preghiere dal 2000 ad oggi.) E, a proposito, ce l’aveva in più la John Templeton Foundation? E il governo?

Secondo i fautori della (sensatezza della) ricerca la preghiera è la risposta migliore alla malattia (e qui non si possono invocare i metodi automatizzati come giustificazione, purtroppo). Gli scettici la considerano uno spreco di soldi e un ammiccare a presupposti soprannaturali.
Quelli che pregano per i pazienti dal cuore debole hanno la libertà di farlo nel modo che preferiscono, con l’unica condizione di inserire la frase: “For a successful surgery with a quick, healthy recovery and no complications!!”.
Perché, in caso di omissione, non funzionerebbe la preghiera? In effetti, senza formula magica la zucca non si trasforma in lussuoso cocchio. A voi la scelta: scettici o creduloni (e magari anche beneficiari delle preghiere altrui…).

Benson ci tiene a precisare che la ricerca non può costituire l’ultima parola sugli effetti delle cosiddette preghiere di intercessione. Tuttavia ha stimolato fondamentali domande riguardo alla modalità e alla opportunità di dire ai pazienti che sono oggetto di preghiere (ma saranno davvero benevoli queste preghiere?).
Secondo gli esperti, l’ostacolo principale consiste nell’ignorare il numero di preghiere che ciascuna persona riceve, preghiere di amici, di familiari o di sconosciuti che pregano per gli ammalati e i moribondi (se non fosse lampante, un simile ragionamento ammette tra le premesse indubitabili l’efficacia delle preghiere, il cui numero, ovviamente, incide sul loro effetto: ma non era quello che si voleva ‘ricercare’?).

Bob Barth, direttore spirituale del Silent Unity, ha dichiarato: “A person of faith would say that this study is interesting, but we’ve been praying a long time and we’ve seen prayer work, we know it works, and the research on prayer and spirituality is just getting starter”.

Mr. Marek, che lavora in un centro medico simile alla Mayo Clinic a Rochester, ha confermato: “You hear tons of stories about the power of prayer, and I don’t doubt them”.
Anche Mr. Marek è cappellano? Non che serva come giustificazione di ragionamenti inconcludenti, ma psicologicamente sarebbe più comprensibile.

(Man Ray, La Priére, 1930)

Claire Breton e le due (cazzo) di madri

Claire Breton ha 27 anni, vive a Parigi e ha scritto un libro sulla sua vita con due mamme. Claire racconta la sua storia, e il suo disagio nel crescere in una famiglia ‘anomala’. Il Foglio la sbatte in prima pagina come fosse la dimostrazione che avere due mamme implica guai e disastri (Cazzo, mia madre!, Il Foglio, 28 marzo 2006). Claire ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta, quindi (secondo l’accusa) c’è qualcosa che non va nell’essere stata allevata da due mamme, anziché una con papà annesso.

A Claire sembra “una cosa pazzesca”, visto che ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta, visto che per un sacco di tempo ha temuto di diventare lesbica come le sue madri, visto che non si è mai sentita un’eroina di Almodóvar, e oggi ha scritto un libro per provare a capirci qualcosa […]
Perché non tutti stanno perfettamente in mezzo al casino, e non per tutti c’è il pranzo della domenica sul terrazzo di un film di Ozpetek, stoviglie e vite colorate.
“Sognavo di avere una vita banale, quella che hanno tutti”, e piangeva davanti alle pubblicità simil Mulino Bianco, mamma papà figli cane insieme a colazione.
Considerato il numero elevato di persone che ricorrono alla psicoterapia, dovremmo inferire che tutte le famiglie di provenienza hanno qualcosa che non va. E sono pronta a scommettere che molte sono quelle famiglie tradizionali che tanto si invocano come baluardo della tranquillità domestica (e non solo). Non è possibile stabilire un nesso causale tra il non avere una ‘vita banale’ e lo scompiglio esistenziale.
Il racconto di Claire potrebbe ‘funzionare’ anche se apportassimo dei cambiamenti. Proviamo.
Marie Reinon ha 29 anni, vive a Marsiglia e ha scritto un libro sulla sua vita in una famiglia borghese (è abbastanza normale una famiglia borghese?). Marie racconta la sua storia, e il suo disagio nel crescere in una famiglia ‘normale’. Anche Marie ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta.
A Marie sembra “una cosa pazzesca”, visto che ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta, visto che per un sacco di tempo ha temuto di diventare borghese come i suoi genitori, visto che non si è mai sentita un’eroina di Buñuel, e oggi ha scritto un libro per provare a capirci qualcosa […]
Perché non tutti stanno perfettamente in mezzo alla banalità, e non per tutti c’è il pranzo della domenica sul terrazzo di un film di Muccino, stoviglie e vite convenzionali.
“Sognavo di avere una vita straordinaria, quella che non hanno tutti”, e piangeva davanti alle pubblicità simil Vigorsol, effetti inconsueti di una gomma da masticare.
(Felice Casorati, Ritratto di Famiglia)

giovedì 30 marzo 2006

Bolliti ve li mangerete voi!

Accumuliamo figuracce come fossero medagliette sulla divisa di un militare orgoglioso. Ma questa volta Silvio Berlusconi ha sbagliato per insufficienza di prove, come coscienziosamente sottolinea il nostro Calderoli (si può conferire il premio Calderoli a Calderoli? Come un assegno a me medesima, più o meno):

Se Berlusconi ha sbagliato lo ha fatto per difetto, perché purtroppo in passato in regimi comunisti e in particolare quello cinese in periodi di carestia i bambini sono stati addirittura mangiati.
(«Bambini bolliti», la Cina contro Berlusconi, La Stampa, 29 marzo 2006).

E non ci si capacita, non si capisce proprio la ragione per la quale la Cina abbia protestato e continui a protestare anche oggi («Bambini bolliti», la Cina protesta ancora, Il Corriere della Sera, 30 marzo 2006) e addirittura lo faccia in maniera pubblica.
Si legge infatti in un lancio della Xinhua, l’agenzia cinese ufficiale, che «in un briefing per la stampa» a Pechino, «il portavoce del ministero degli Esteri Qin Gang ha espresso il disappunto della Cina, affermando che comportamenti e commenti dei leader italiani dovrebbero essere diretti alla promozione di rapporti buoni e stabili fra Cina e Italia». «Non siamo soddisfatti di queste frasi infondate» ha detto Qin rispondendo a una domanda.
Anche perché, diciamo la verità, durante la carestia del 1958-59 i cinesi ne hanno fatte di peggiori. Non entriamo nel merito, ma ci sentiamo almeno in dovere di rettificare: i bambini bolliti venivano usati come fertilizzante, mentre quelli destinati ai pasti erano cucinati al forno con le patate. I cinesi, si sa, sono buongustai!

Oltre la terapia: ENHANCE

La Commissione Europea sta finanziando ENHANCE, un progetto biennale (avviato nell’ottobre 2005) sulle conseguenze etiche di quelle tecnologie mediche che consentono non solo di ristabilire uno stato di salute, ma anche il miglioramento delle capacità cognitive, dell’umore e delle performance sportive, nonché l’allungamento della vita.
Tra le istituzioni partecipanti il Center for Practical Ethics della Oxford University, che schiera Nick Bostrom (uno dei fondatori della World Transhumanist Association), e – un po’ a sorpresa – l’Università Vita-Salute San Raffaele, della cui squadra fa parte Angelo Vescovi (che aveva sostenuto l’astensione ai referendum sulla legge 40/2004). Uno sforzo ecumenico, insomma.

Il Foglio e il Führer

Il Foglio insiste anche oggi nella sua crociata un po’ sgangherata contro l’eutanasia. Quasi tutta la seconda pagina dell’inserto viene dedicata al tema, con l’intervento di una pediatra che parla di un caso felicemente risolto di spina bifida (sulla premessa implicita – e menzognera – che in Olanda i bambini in queste condizioni vengano tutti sistematicamente ammazzati). Un altro articolo ci informa compunto che «il terzo gradino che si è salito è quello eugenico. La vita che merita di essere salvata e preservata è quella di chi sta bene, o quasi, non quella piena di dolore e sofferenza» (l’autore ha evidentemente poca dimestichezza col vocabolario, visto che ignora cosa significhi davvero «eugenico»); e infine un terzo articolo – quello su cui ci soffermeremo brevemente – elenca nove motivi per dire no all’eutanasia (Mario Palmaro, «Non tocca allo stato stabilire che una vita non è degna di essere vissuta»).
Non esaminerò tutte e nove le ragioni: si va del resto dalla petizione di principio («quello alla vita è un diritto indisponibile, anzi il più importante fra tutti i diritti indisponibili»), al surrealismo («la decisione del paziente è assolutamente inattendibile. Se è formulata prima della malattia, rimane il dubbio che essa sia ancora valida quando il soggetto ha perso conoscenza»), al non sequitur («in un ordinamento in cui fosse accolto il principio che uccidere un innocente è lecito se per motivi pietosi, sarebbe perfettamente coerente attendersi che si ponga fine alle vite ritenute insignificanti ma costose per la società»). Mi concentrerò invece sull’ultima giustificazione:

Nono e ultimo argomento: il precedente nazista. Hitler è stato il primo e il più convinto sostenitore dell’eutanasia per motivi pietosi. Le camere a gas naziste sono state inaugurate da tedeschi di pura razza ariana, nient’affatto ostili al regime, ma considerati portatori di “vite senza valore”. Ci sono lettere riservate del Führer al suo medico personale, in cui Hitler spiega le ragioni filantropiche per cui è meglio eliminare handicappati, scemi, storpi, reduci della Prima guerra mondiale. Non ne parla con odio o disprezzo, ma con sincera pietà. Proprio come accade oggi ai fautori dell’eutanasia liberale e democratica. Per rivivere certi orrori non è affatto necessario far rivivere le camicie brune e le svastiche. Basta lasciare spazio alla cultura che fu alla base di quell’orrore.
In effetti, si sostiene spesso che la concezione contemporanea dell’eutanasia è profondamente diversa da quella della Germania nazista: la prima si fonda sul rispetto della volontà individuale e/o sulla pietà per sofferenze intollerabili; la seconda sul concetto di una razza pura da mantenere incontaminata e sull’interesse supremo della macchina statale. Ora invece Mario Palmaro (ma in realtà non è il primo) ci viene a dire che in fondo anche Hitler propugnava l’eutanasia per motivi filantropici.
Uno avrebbe la tentazione di rispondere che in realtà tutta questa pietà disinteressata altro non era che ipocrisia, per mascherare le motivazioni vere del programma di eutanasia tedesco; del resto, i frutti di tale programma furono tali da sbugiardare ogni scusa umanitaria, con i bambini disabili sottratti con pretesti alle famiglie e uccisi di nascosto. Eppure questa risposta, benché probabilmente corretta, costituirebbe in realtà una concessione eccessiva a un argomento radicalmente sbagliato, e ripeterebbe quella che propongo di chiamare «la fallacia di Berry».
Chi è Berry? Rynn Berry è un vegetariano, che nel 2004 ha scritto un libro intitolato Hitler: Neither Vegetarian Nor Animal Lover (Pythagorean Books), in cui si sforza di dimostrare che, contro l’opinione comune degli storici, Adolf Hitler non sarebbe stato veramente un vegetariano, visto che ogni tanto si concedeva una fetta di prosciutto; in ogni caso non lo sarebbe stato su basi morali, e pertanto i vegetariani possono continuare senza problemi nella loro dieta, senza l’assillo di stare seguendo le orme di un tiranno genocida. Ma è stato obiettato a Berry che anche molti vegetariani convinti indulgono talvolta a qualche piccola incoerenza alimentare; e che possediamo testimonianze attendibili di un Hitler che a tavola angustiava i propri ospiti carnivori con lunghe tirate sugli orrori dei mattatoi. È dunque necessario che i vegetariani abbandonino mestamente la lattuga per tornare alle cotolette?
Ovviamente no. Sostenerlo significherebbe ricorrere a quella che Leo Strauss (già, proprio lui) ha chiamato la Reductio ad Hitlerum (o Argumentum ad Hitlerum, o The Hitler Card), e che si articola così:
Adolf Hitler sosteneva X; quindi, X è male.
L’assurdità del ragionamento si dimostra facilmente, se si sostituisce a X qualcosa come «l’utilità delle autostrade», «le virtù della pittura ad acquerello», o finanche «che due più due fa quattro» – tutte cose che sappiamo per certo essere state sostenute con convinzione da Hitler. A maggior ragione, se Hitler (contro ogni verosimiglianza storica) avrà provato qualche volta pietà per le sofferenze di un bambino, questo non ci obbliga ad ignorarle e a non fare nulla per porre loro fine.

mercoledì 29 marzo 2006

Recensione di Madri Selvagge (di Alessandra Di Pietro e Paola Tavella)

La riflessione di Alessandra Di Pietro e Paola Tavella sulle biotecnologie nasce, secondo il racconto delle due autrici, in cucina facendo yoga kundalini (per chi non dovesse sapere cosa sia, c’è una immagine a p. 169): “sedute a terra con le gambe incrociate, per ventuno minuti guardavamo un’arancia tenuta fra le mani a coppa e ascoltavamo un mantra che si chiama Adi Shakti, lode e evocazione dell’energia creativa femminile” (p. 4). Il referendum sulla legge 40 è imminente. Il concetto più rilevante e più significativo è costituito dall’equiparazione tra l’embrione (chiamato concepito) e tutte le altre persone coinvolte. Accettare questa identificazione implica molte conseguenze filosofiche e giuridiche. Secondo Di Pietro e Tavella definire l’embrione come un soggetto giuridico non mette in discussione né in pericolo la legge 194, ovvero la possibilità di ricorrere legalmente all’interruzione volontaria di gravidanza. A conferma della loro idea, ci rassicurano che in caso contrario scenderebbero in piazza insieme a milioni di donne; è senza dubbio apprezzabile il proposito, ma non è assolutamente sufficiente a garantire la protezione della 194. L’unica protezione della possibilità di abortire, affermando la personalità dell’embrione, è offerta dal celebre argomento di Judith Jarvis Thomson, che Di Pietro e Tavella trascurano. È un argomento concessivo, che propone diverse analogie per negare che l’implicazione dell’attribuzione di diritti all’embrione sia la distruzione della possibilità di scelta da parte della donna. Per affermare la coesistenza del conferimento di diritti all’embrione e della possibilità di interrompere il suo sviluppo (abortendo), dunque, non basta ‘scendere in piazza’. Ma c’è di più: se la maggior parte dei divieti espressi dalla legge 40 deriva da tale attribuzione (primo tra tutti, il divieto di crioconservare gli embrioni, e poi il divieto di sperimentazione embrionale e di eseguire la diagnosi genetica di preimpianto, divieto motivato dall’intento ‘eugenetico’ della diagnosi genetica di preimpianto), allora bisognerebbe impedire tout court il ricorso alle tecniche di procreazione assistita, perché molti di quei tre embrioni che la legge 40 permette di produrre vanno incontro a morte sicura. Per mancato impianto o per aborto spontaneo. Se la personalità dell’embrione fosse presa sul serio, si dovrebbe cercare di impedire in ogni modo la sua morte (come si fa con le persone): cercare rimedio agli aborti spontanei, anche naturali, ma soprattutto non produrre in laboratorio quei tre embrioni (che sono persone) il cui destino è con elevata probabilità la distruzione.
Tornando alla legge 40, Di Pietro e Tavella descrivono le tecniche di riproduzione assistita come “una galleria di orrori, […] storie di donne che subiscono ogni sorta di tortura pur di avere figli” (pp. 6-7). Avvertono il pericolo di non riconoscere il nemico patriarcale insito nella separazione tra riproduzione e corpo femminile (p. 7), ricordano la definizione delle biotecnologie come olocausto per le donne (p. 8), denunciano la congiura maschile volta a prendere il controllo della riproduzione riducendo il corpo femminile a ‘carne da riproduzione’ (p. 8). Esprimono il proprio sospetto verso la legge 40 in nome dell’inimicizia per le leggi sul corpo delle donne: ma viene da domandare a Di Pietro e Tavella, esiste forse una legge che invade tanto il corpo delle donne quanto la legge sulla procreazione medicalmente assistita?

Per leggere la recensione completa: Bollettino Telematico di Filosofia Politica.

(Giovanni Segantini, Le cattive madri, 1894 Vienna Kunsthistorisches Museum)

Domande e risposte sull’influenza aviaria

Sul New York Times di lunedì 27 marzo c’è un interessante articolo sui rischi dell’influenza aviaria: How Serious Is the Risk of Avian Flue? di Denise Grady e Gina Kolata.
Molte domande e risposte sul virus H5N1.

Cristo e il consenso informato

Forse ci sono dei giorni in cui le notizie difettano, e ci si attacca davvero a tutto pur di non patire l’horror vacui.
Forse oggi era proprio uno di quei giorni se nella sezione Salute di Google News Italia si leggeva: Cristo è il vero medico dell’umanità.

Cristo è il vero ‘medico’ dell’umanità, che il Padre celeste ha mandato nel mondo per guarire l’uomo, segnato nel corpo e nello spirito dal peccato e dalla sue conseguenze.
Chissà se anche lui è esposto al pericolo di malpractice o alle insidie del consenso informato.

lunedì 27 marzo 2006

Il Protocollo di Groningen e la bêtise

Dopo la performance ad Otto e Mezzo del 22 marzo, i giornalisti e i collaboratori del Foglio sono tornati l’altro ieri a parlare del Protocollo di Groningen e dell’eutanasia pediatrica in Olanda dalle colonne della casa madre.
Cominciamo da un editoriale non firmato a p. 3, «Non è eutanasia, è eutanazia», che attribuirei a Giulio Meotti: i lettori lo ricorderanno con la sua faccia da pretino superbo mentre snocciolava cifre a Otto e Mezzo, sotto lo sguardo paternamente orgoglioso del suo direttore. Ritorna qui la cifra di 600 bambini la cui morte nel primo anno di vita «è preceduta da decisioni dei medici sull’interruzione della vita»: così a sentire l’articolista confesserebbe l’articolo di Eduard Verhagen e Pieter J.J. Sauer sul New England Journal of MedicineThe Groningen Protocol — Euthanasia in Severely Ill Newborns», NEJM 352, 2005, pp. 959-62). La cifra è girata ossessivamente anche in Tv, sbattuta in faccia ad europarlamentari olandesi e a segretari di partito italiani come dato oggettivo e testimonianza irrefutabile dell’olocausto infantile in corso nei Paesi Bassi: 600 bambini sono molti, e questo vorrebbe dire che l’eutanasia olandese non si applica solo ai casi più disperati. Già nel Foglio del 9 marzo, in un articolo sempre non firmato (ma attribuito durante la trasmissione al Pretino Superbo), si proclamava («L’Olanda ora vuole anche il primato dell’eutanasia infantile», p. 3):

Nell’articolo Verhagen spiega che «dei 200 mila bambini nati ogni anno in Olanda, circa mille muoiono nel primo anno di vita. Per 600 di loro, la morte è preceduta da una decisione medica sulla fine della vita». Tradotto: il 60 per cento della mortalità infantile in Olanda ha un’origine intenzionale. Ritradotto: è in corso un olocausto medico sul quale l’Unione europea fa finta di niente.
A proposito di traduzioni, cominciamo col notare che in questo primo articolo si usava un più neutro «fine della vita», mentre ieri si era già passati a parlare di «interruzione della vita». Noi di Bioetica siamo andati a leggerci l’articolo dei due medici olandesi (ringrazio Fabrizio F. per la collaborazione): ci sono questi 600 bambini eutanasizzati all’anno? Ovviamente, no. Ecco cosa dice l’originale inglese:
Of the 200,000 children born in the Netherlands every year, about 1000 die during the first year of life. For approximately 600 of these infants, death is preceded by a medical decision regarding the end of life. Discussions about the initiation and continuation of treatment in newborns with serious medical conditions are one of the most difficult aspects of pediatric practice. Although technological developments have provided tools for dealing with many consequences of congenital anomalies and premature birth, decisions regarding when to start and when to withhold treatment in individual cases remain very difficult to make. Even more difficult are the decisions regarding newborns who have serious disorders or deformities associated with suffering that cannot be alleviated and for whom there is no hope of improvement.
La parola chiave qui è «preceded»: la morte di questi 600 è preceduta, non (necessariamente) causata da una decisione medica sulla fine (eh sì, è «fine», non «interruzione») della vita. Tradotto: nella cifra di 600 sono compresi anche i casi in cui si decide di sospendere o non intraprendere un trattamento medico ritenuto ormai inutile, in vista della fine imminente. Ritradotto: sono compresi cioè anche i casi in cui si decide di non praticare l’accanimento terapeutico, secondo quelli che sono i dettami anche della Chiesa (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2278); è quello che si fa correntemente anche in Italia, per esempio con i prematuri minori di 21 settimane. La frase di Verhagen e Sauer è ambigua? Lo possiamo concedere; ma quel che segue lo è molto di meno: «Discussions about the initiation and continuation of treatment», «decisions regarding when to start and when to withhold treatment». Ancora non soddisfatti? Andiamo un po’ più avanti:
Infants and newborns for whom such end-of-life decisions might be made can be divided into three categories. First, there are infants with no chance of survival. This group consists of infants who will die soon after birth, despite optimal care with the most current methods available locally. These infants have severe underlying disease, such as lung and kidney hypoplasia. … Deciding not to initiate or to withdraw life-prolonging treatment in newborns with no chance of survival is considered good practice for physicians in Europe and is acceptable for physicians in the United States. Most such infants die immediately after treatment has been discontinued.
Chiaro, no? Ma allora che cosa hanno letto il Pretino Superbo e gli altri della sua parrocchia?
Quanti sono, dunque, su quei 600 i casi di vera e propria eutanasia, cioè di attiva terminazione della vita di un infante? Diamo di nuovo la parola ai due dottori olandesi:
there are infants with a hopeless prognosis who experience what parents and medical experts deem to be unbearable suffering. Although it is difficult to define in the abstract, this group includes patients who are not dependent on intensive medical treatment but for whom a very poor quality of life, associated with sustained suffering, is predicted. … A national survey of neonatologists in the Netherlands has shown that each year there are 15 to 20 cases of euthanasia in newborn infants who would be categorized in the third group.
Tra i 15 e i 20 casi, dunque. Non 600. Esiste però una categoria intermedia, che rimane non quantificata:
Infants in the second group have a very poor prognosis and are dependent on intensive care. These patients may survive after a period of intensive treatment, but expectations regarding their future condition are very grim. They are infants with severe brain abnormalities or extensive organ damage caused by extreme hypoxemia. When these infants can survive beyond the period of intensive care, they have an extremely poor prognosis and a poor quality of life. … Neonatologists in the Netherlands and the majority of neonatologists in Europe are convinced that intensive care treatment is not a goal in itself. Its aim is not only survival of the infant, but also an acceptable quality of life. Forgoing or not initiating life-sustaining treatment in children in the second group is acceptable to these neonatologists if both the medical team and the parents are convinced that treatment is not in the best interest of the child because the outlook is extremely poor.
Si tratta in altre parole di bambini con una prospettiva di sofferenza non mitigabile, alla cui esistenza non viene posta fine in maniera attiva, ma piuttosto sospendendo o non iniziando cure intensive, e lasciando fare alla natura il suo corso; anche se – a differenza del primo gruppo – la morte non sarebbe una prospettiva ineludibile. Il nome di questa pratica varia, a riprova del suo carattere di caso di confine: rifiuto dell’accanimento terapeutico, eutanasia passiva, etc. Non si tratta affatto di un’esclusiva olandese, come dimostrano le parole dell’articolo (cfr. anche Marina Cuttini et al., «The European Union Collaborative Project on Ethical Decision Making in Neonatal Intensive Care (EURONIC): findings from 11 countries», Journal of Clinical Ethics 12, 2001, 290-96).
Tanto per far capire fino in fondo lo scrupolo documentario dell’autore dell’editoriale, esaminiamo quest’altra sua affermazione:
Se passasse il Protocollo, citando Verhagen, la medicina non dovrebbe più solo tenere in vita il bambino, «ma anche assicurare una qualità di vita accettabile». Per 22 nuovi nati con spina bifida questa frase ogni anno si traduce in morfina inoculata nelle vene.
A parte la citazione vagamente tendenziosa (già sentita a Otto e Mezzo dalla bocca del Pretino Superbo; nell’originale sono le cure intensive, non la medicina, a dover assicurare una qualità della vita accettabile), la cifra di 22 nuovi nati all’anno con spina bifida eutanasizzati contraddirebbe quella fornita nello stesso articolo di 15-20 casi totali di eutanasia infantile. E infatti:
Twenty-two cases of euthanasia in newborns have been reported to district attorneys’ offices in the Netherlands during the past seven years. … They all involved infants with very severe forms of spina bifida [corsivo mio].
Eppure l’inglese non è una lingua così difficile...

Nello stesso numero del Foglio, a p. 4, troviamo una lettera di Loris Brunetta, segretario dell’Associazione Ligure Thalassemici, che comincia così:
Solidarietà a Carlo Giovanardi per quanto ha avuto coraggio di affermare riguardo alla crudezza e brutalità della legge olandese sull’eutanasia. Spesso nelle valutazioni che si fanno riguardo a questo delicatissimo argomento si tiene poco conto delle sensibilità che vanno a toccare, soprattutto quella delle persone malate, che rientrerebbero in molti di quei parametri che sono indicativi per il giudizio di «essere non meritevole di continuare a vivere». Certe cose fanno veramente rabbrividire.
«Essere non meritevole di continuare a vivere» è virgolettato, ma ovviamente non c’è traccia di questa espressione nell’articolo di Verhagen e Sauer né in qualsiasi altro documento legato alla questione; essa appartiene – sia detto con tutto il rispetto – ai fantasmi personali di Brunetta. Ma com’è possibile un simile travisamento della realtà?
Il fatto è che i sostenitori dell’eutanasia infantile usano talvolta parlare di «vita non degna di essere vissuta»; e questa espressione viene spesso tradotta – soprattutto dal pubblico prevenuto – in un’altra simile, ma niente affatto equivalente: «persona non degna di vivere». Una persona non degna di vivere è qualcuno non conforme a un canone morale e/o estetico, presunto oggettivo: una persona che con la sua stessa esistenza macchierebbe un’astratta ‘perfezione’. Una vita non degna di essere vissuta, al contrario, è una vita soggettivamente intollerabile, in cui la quantità di sofferenza di chi la vive soverchia e anzi rende impossibile ogni residua esperienza positiva, tanto da far ritenere preferibile la non esistenza all’esistenza.

Ritroviamo un equivoco molto simile sotto la lettera di Brunetta, in un articolo scritto da Christian Rocca, un blogger che collabora col Foglio («Da radicale dico: la linea radicale sull’eutanasia olandese è cialtrona»). Dopo un’interminabile introduzione, in cui Rocca enumera le proprie credenziali di progressista, liberale, radicale e laico (che curiosamente non gli impediscono di manifestare una certa propensione a votare Forza Italia alle prossime elezioni), e nella quale si trova comunque una battuta degna di essere riportata («Considero Antonio Socci il più brillante intellettuale italiano del XIII secolo»), eccoci finalmente al punto:
La questione, al di là di come la si pensi sull’eutanasia e al netto delle stupidaggini di Giovanardi, è questa: è vero, come dicono i radicali, che in Olanda sperimentano e discutono una legge sull’eutanasia come forma compassionevole per non far soffrire i neonati sofferenti destinati comunque a morire? … Ma, al contrario, se fosse vero ciò che dicono Meotti, Giovanardi e Ferrara, la questione sarebbe ben diversa e negarlo un trucchetto da treccartari. Cosa dicono Meotti, Giovanardi e Ferrara? Dicono che il caso olandese non riguarda soltanto i neonati sofferenti destinati a morte certa, ma anche handicappati gravi. Fosse vero ciò che dicono si tratterebbe di legalizzazione di pratiche di soppressione della razza impura. I radicali negano. Allora sono andato a leggere il protocollo di Groningen, sulla base del quale in Olanda si sperimenta l’eutanasia nei confronti dei neonati. Bene. Parla di bimbi che non hanno chance di sopravvivenza, come dicono i radicali, ma anche di neonati con gravi lesioni cerebrali o danni agli organi vitali che però «possono sopravvivere», malgrado le «aspettative circa le condizioni future» non siano invitanti. C’è anche un terzo caso, «più astratto» e «più difficile da definire», di neonati incurabili la cui esistenza non dipenderà da trattamenti intensivi, ma che a giudizio di genitori e medici avranno «una pessima qualità della vita». Mi dispiace, ma questa volta i propagandisti sono i miei amici radicali.
La lettura compiuta da Rocca è stata, evidentemente, molto selettiva: come abbiamo già visto l’articolo originale aggiunge una specificazione importante: «this group includes patients who are not dependent on intensive medical treatment but for whom a very poor quality of life, associated with sustained suffering, is predicted». E ancora, a p. 959: «must infants with disorders associated with severe and sustained suffering be kept alive when their suffering cannot be adequately reduced?». E ancora, nella tabella n. 2: «Requirements that must be fulfilled: Hopeless and unbearable suffering must be present» (i corsivi sono tutti miei). La parola «suffering» ricorre 20 volte nel testo; e anche là dove si parla solo di «pessima qualità della vita», il riferimento è sempre palesemente alla presenza di sofferenze insopportabili, come è reso esplicito dalla tabella n. 1, in cui compare la dicitura «Extremely poor quality of life (suffering)». Cosa abbia a che fare questa considerazione pietosa per le sofferenze intollerabili di pochi bambini (tra i quali non si trovano né down, né sordomuti, né ciechi, checché ne farnetichi Giovanardi) con le «pratiche di soppressione della razza impura», è un mistero che neppure lo stesso Christian Rocca saprebbe risolvere.
Fortunatamente, a risollevare l’onore della blogosfera ci pensa Federico Punzi, che in un post ben meditato («Risveglio dagli incubi su Groningen. Gli olandesi non sono nazisti», stamattina su JimMomo) fa un po’ di necessaria chiarezza sulla questione.

Rimane infine un quesito a cui rispondere: ci fanno, o ci sono? Abbiamo di fronte una banda di treccartari – il Pretino Superbo, il blogger ‘liberale’, il loro oh-così-intelligente direttore – che sta mentendo spudoratamente per ragioni di cinica propaganda elettorale, contando sul fatto che l’articolo originale è difficilmente reperibile? Oppure si tratta solo di poveracci, letteralmente incapaci di leggere due parole di fila, che riescono a trovare in un testo solo quello che si aspettano già di trovarci? La verità, forse, sta nel classico mezzo: questa è gente che – paradossalmente – si serve della propria incapacità, del proprio gusto per l’approssimazione come arma; è gente che sa bene che a una lettura appena meno affrettata le cose apparirebbero differentemente, ma che decide consapevolmente di non farla, di accontentarsi della prima, superficialissima impressione, quella che conferma i loro pregiudizi. E tanto peggio per chi tenta di trovare soluzioni il più possibile umane a problemi tragici: è un criminale, a cui non si deve neppure il favore elementare di leggerlo con un po’ di attenzione.

Censura per il catzillo de Il Mucchio Selvaggio

Comunicato Stampa del Comitato di redazione de Il Mucchio Selvaggio:

La copertina del Mucchio Selvaggio di aprile “avrebbe” dovuto riportare un disegno di uno storico personaggio del fumetto italiano. Il “catzillo” è un fumetto underground, molto famoso negli anni Ottanta, che l’autore Gianfranco Grieco ha modificato per noi facendolo assomigliare a Berlusconi, ovviamente legato a un lungo articolo che mette in guardia sul votare “Forza Italia” alle prossime elezioni politiche.
Abbiamo usato il verbo “avrebbe” perché il distributore nazionale (Parrini) si è rifiutato di fare uscire il giornale in edicola. Non vuole correre il rischio di denuncie penali. Il giornale verrebbe comunque boicottato da molti distributori locali non di sinistra, il tipografo nicchia, la par conditio, rapporti con il potere etc etc. Insomma paura. Paura di ritorsioni legali, economiche e magari anche fisiche da parte del soggetto raffigurato nel disegno.

La redazione trova ciò un atto di censura inqualificabile. La satira è un diritto affermato dalla nostra Costituzione (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” – Art. 21). Se si va con la memoria indietro nel tempo a copertine, molto più feroci e provocanti, di giornali come il “Male”, “Frigidaire” o “Cuore” ci si rende conto di come è peggiorato il rapporto tra la stampa e il potere e di quanto la libertà di espressione sia sempre meno garantita.
La censura è sempre stata usata come strumento di repressione e negazione di valori e tematiche “scomode”.

La rassegna stampa di Carlo Giovanardi

Sullo sfondo celestino del sito dell’onorevole Carlo Giovanardi è un pugno nell’occhio l’icona rotante rossa NEW (starebbe per NEWS?). Ma lasciamo da parte le considerazioni estetiche e cromatiche e valutiamo i contenuti. Entriamo: si tratta di una specie di rassegna sulle dichiarazioni del ministro a proposito di eutanasia. Una rassegna breve e decisamente di parte. Ci sono riportati soltanto i pareri favorevoli a Giovanardi e al suo ostinato paragone eutanasia/eugenetica e alla condanna assoluta dell’eutanasia.
Desidero segnalare l’incipit di Renato Farina (Se quelli non sono nazi, poco ci manca, Libero, 19 marzo 2006):

Si dice sempre: «La civilissima Olanda». Civile un par di balle. È la civiltà degli orchi ipocriti. Se ci fossero dei cavalieri senza macchia e senza paura, qualcosa di simile a Lancillotto e Ivanhoe, dovrebbero partire per i Paesi Bassi e ripristinare il buon diritto dei bambini a non essere uccisi da gentili signori con il camice bianco che non sopportano le loro sofferenze, e perciò li eliminano, gettandoli nel nulla.

Marcello Pera e la sua (caricatura di) Europa

Non poteva mancare l’appoggio del nostro presidente del Senato Marcello Pera alle posizioni di Carlo Giovanardi. Durante una manifestazione elettorale a Lucca dichiara:

Un’Europa che ammette l’eutanasia, che dice questo vecchio mi pesa sui costi del bilancio e della famiglia, non lo sopporto più e lo sopprimo, quell’Europa in crisi, quell’Europa non si riconosce più.
[appare scandalizzato dal comportamento dell’Olanda] che richiama l’ambasciatore italiano perché un ministro del governo italiano, il ministro Giovanardi, aveva detto che quella legge sull’eutanasia era una legge che gli ricordava gli esperimenti nazisti.
Ha sostenuto inoltre che il divieto dell’eutanasia dovrebbe essere scritto nella Costituzione europea. Pera ha criticato anche la legge sull’eugenetica, altro sintomo della crisi del Vecchio Continente, perché è un’Europa che dice “questo figlio, che ho voluto e che è stato colpito da una malattia grave, voglio avere il diritto di sopprimerlo quando è già nato, quando è malato”. Secondo Marcello Pera questo bambino “forse non potrà essere curato ma sarà sempre un essere umano, una persona”.

Descrivere l’eutanasia come la soppressione del vecchio parente molesto e incontinente, che rovina la vita alle giovani generazioni e impedisce loro di andare al Bingo o a passeggio la domenica pomeriggio, è davvero una caricatura della possibilità di scegliere della propria vita. Possibilità che deve comprendere anche la scelta di come e quando morire. Ma il dibattito sull’eutanasia, e sulle biotecnologie in generale, è spesso caratterizzato da insensatezza e pessimo gusto. Ai quali Pera non si sottrae.
Una domanda al nostro presidente filosofo: cosa sarebbe la legge sull’eugenetica? Immagino si riferisca all’eutanasia pediatrica, che ormai coincide (erroneamente e grossolanamente) con l’eugenetica e che aprirebbe la strada, secondo i vari Giovanardi, al genocidio infantile.
Pera dichiara di non volere un’Europa che ammette l’eutanasia. Ma è bene ricordare che tipo di Europa desidera, quell’Europa che emerge dal Manifesto dell’Occidente.

Signor presidente, noi non vogliamo quell’Europa che lei desidera!

sabato 25 marzo 2006

Una fonte insospettata di staminali

Ricercatori tedeschi hanno individuato nei testicoli dei topi alcuni spermatogoni (i precursori degli spermatozoi) dalle proprietà molto simili a quelle delle cellule staminali embrionali: poste in coltura, le cellule hanno dato origine a una grande varietà di tessuti, dimostrando di essere pluripotenti («Stem cells found in adult mouse testes», news@nature.com, 24 marzo). In questo modo si supererebbero i cosiddetti ‘problemi etici’ posti dalla clonazione terapeutica – o, più seriamente, i problemi tecnici che questa comporta.
Rimane da chiarire se sarà possibile ripetere l’esperienza sugli esseri umani; se esistono cellule analoghe nelle ovaie; e, soprattutto, che nome dare a questo tipo di cellule: «cellule staminali...». Suggerirei, prudentemente, «gonadiche».

Aggiornamento: la Human Fertilisation and Embryology Authority britannica ha concesso a un team dello Hammersmith Hospital di Londra il permesso di studiare questo tipo di cellule (Jess Buxton, «Testicle stem cell hope», BioNews, 9 giugno 2006).

giovedì 23 marzo 2006

Ancora eutanasia: 82 eurodeputati chiedono le dimissioni di Carlo Giovanardi

In 36 ore hanno aderito ad una dichiarazione congiunta che chiede le dimissioni del ministro Carlo Giovanardi a seguito delle sue gravi dichiarazioni sull’eutanasia in Olanda (RAI24news, 23 marzo 2006).

Nel frattempo Silvio Berlusconi dichiara: “Ho parlato con Balkenende... tutto bene. La situazione è molto chiara” (Berlusconi: «Tutto chiarito con l’Olanda», Il Corriere della Sera, 23 marzo 2006).

Se lo dice il nostro presidente del Consiglio possiamo dormire sonni tranquilli. In che modo, per mera curiosità, la situazione si sarebbe chiarita?

Paola Binetti: la spina (della margherita) nel fianco

Intervista di Francesca Angeli (Il Giornale, Sull’Eutanasia ha ragione Giovanardi, 21 marzo 2006)

D.: Dunque lei è contraria alla dolce morte, anche per le situazioni disperate?
R.: La mia posizione rispetto all’eutanasia è chiara e limpida ed è sempre stata la stessa. Sono contraria a qualsiasi forma di eutanasia. Tanto più se si chiama in gioco l’eutanasia pediatrica. Parlo di problemi che conosco da vicino, sono neuropsichiatria infantile e dunque ho un’esperienza diretta di situazioni drammatiche che vedono protagonisti bambini disagiati. Quello dell’oncologia peridatrica è un mondo che conosco molto bene e giudico improbabile l’idea di un bambino che chiede l’eutanasia.

D.: Non resta che lasciarli soffrire?
R.: Assolutamente no. Dico sì a tutte le forme di supporto: le cure palliative, le terapie anti-dolore. Si tratta di un percorso difficile nel quale le famiglie non vanno mai lasciate sole ma sostenute sempre.

D.: Scusi, ma lei come si trova nella coalizione di centro-sinistra?
R.: Nella Margherita benissimo, mi sento a casa mia.

D.: Ma è la stessa casa della Rosa nel Pugno che su questi temi ha posizioni radicalmente diverse dalle sue.
R.: Sì la Rosa nel Pugno è esplicitamente orientata nella difesa del diritto individuale, dimenticando il diritto dell’altro.

D.: E come pensa di trovarsi con radicali e socialisti?
R.: Guardi non sono io che mi devo preoccupare della Rosa nel Pugno ma loro che devono preoccuparsi di fare i conti con me. Io come ho sempre fatto, difenderò il diritto alla vita e la famiglia. Sto bene nel centro-sinistra e continuerò a difendere quei valori come sempre. Sarò io la spina nel fianco dei radicali.

D.: Pensa di battersi contro l’aborto?
R.: No, i tempi non sono maturi. Penso di battermi contro l’eutanasia e per ottenere invece cure a domicilio e assistenza per le famiglia.

mercoledì 22 marzo 2006

Denti del giudizio, fedi nuziali e discussioni etiche

La notizia è sull’Espresso online: cinque coppie britanniche si scambieranno delle fedi nuziali costruite a partire dalle cellule del dente del giudizio del partner, in un esperimento a metà strada tra biotecnologia e gioielleria (Daniela de Rosa, «Dai denti del partner nascono i bio-gioielli»). La storia è bizzarra (e anche leggermente disgustosa – o, a seconda dei gusti, incredibilmente romantica); ma ancora più bizzarro è il commento finale dell’autrice del pezzo: «L’anello è destinato a durare, non tanto al dito dei volontari coinvolti, ma nelle discussioni etiche che sorgeranno se la cosa avrà un suo pur ristretto seguito». Debbo confessare che, per quanto mi sia sforzato, sono stato del tutto incapace di capire quale dilemma etico sarebbe mai sollevato da questa pratica; e sospetto che la stessa Daniela de Rosa, se interrogata in proposito, non saprebbe che risposta dare. Ma siamo giunti al punto che ormai basta che una sia pur modesta novità tecnologica riguardi un qualsiasi aspetto della biologia umana, per suscitare come risposta pavloviana la reazione «Oh-ma-c’è-un-problema-etico!». Persino in un periodico ‘progressista’.

Altre due morti per la pillola abortiva?

La notizia è apparsa il 17 marzo sul sito della FDA, l’ente americano che regola i farmaci (e ci è stata prontamente comunicata dalla più faconda dei nostri commentatori): altre due donne sarebbero morte negli Stati Uniti dopo un aborto eseguito somministrando la Ru486 («FDA Public Health Advisory: Sepsis and Medical Abortion Update»). Se confermata, la notizia porterebbe a sette la conta delle morti negli USA collegate in qualche modo alla Ru486 (tredici in totale in occidente, a quanto pare).
Nonostante l’incertezza che circonda ancora queste ultime morti (e gran parte di quelle precedenti, per le quali il legame causale con l’aborto farmacologico rimane da dimostrare), la FDA ricorda a tutti i medici che l’unica procedura approvata per l’aborto farmacologico prevede la somministrazione di 600 mg di Mifeprex (il nome commerciale della Ru486 negli USA), seguiti dopo 48 ore da 400 µg per via orale di misoprostol, una prostaglandina che serve ad agevolare l’espulsione del prodotto del concepimento dall’utero. In almeno quattro dei cinque casi finora noti negli USA, invece, erano stati somministrati 200 mg di Mifeprex, e 800 µg per via vaginale di misoprostol (nel quinto caso, verificatosi nel Tennessee, la morte era stata causata da una gravidanza extrauterina non diagnosticata; una conduzione professionale dell’intervento dovrebbe evitare esiti come questo). Questa deviazione dalla procedura consigliata è ammessa negli USA, e si basa su studi scientifici che avrebbero dimostrato la parità di efficacia della dose più bassa di Mifeprex, e la maggiore tollerabilità del misoprostol somministrato per via vaginale; ma rimane il fatto che si tratta di una procedura non convalidata. Sembra in effetti che anche nelle due morti appena scoperte la procedura medica prevedesse la somministrazione vaginale: il New York Times (Gardiner Harris, «After 2 More Deaths, Planned Parenthood Alters Method for Abortion Pill», 18 marzo; l’articolo contiene qualche inesattezza, anche se non molto importante) rivela che i due aborti sarebbero stati eseguiti in cliniche di Planned Parenthood, la più grande organizzazione americana specializzata in contraccezione e aborto; i responsabili hanno già dichiarato l’immediato abbandono della procedura non approvata.
È interessante notare come anche alcuni dei casi mortali registrati al di fuori degli USA potrebbero essersi verificati in corrispondenza della somministrazione per via vaginale del misoprostol. Così è stato sicuramente nel caso della donna morta in Canada nel 2001 (200 mg di Mifeprex più 800 µg per via vaginale di misoprostol, cfr. E. Wiebe et al., «A fatal case of Clostridium sordellii septic shock syndrome associated with medical abortion», Obstetrics and Gynecology 104, 2004, 1142-44); così è stato probabilmente nel caso della giovane morta in Svezia nel 2003: stando ad alcune fonti che affermano di riprendere il rapporto governativo sul caso, sarebbe stato impiegato misoprostol, e all’inizio degli anni duemila la prassi svedese prevedeva appunto la somministrazione di questo farmaco (o del gemeprost, un farmaco dagli effetti analoghi) per via vaginale (Ing-Marie Jonsson, Catharina Zätterström e Kajsa Sundström, «Midwives’ role in management of medical abortion: Swedish Country Report», paper for the conference «Expanding Access; Advancing the Roles of Midlevel Providers in Menstrual Regulation and Elective Abortion Care», South Africa 2-6 December 2001, p. 11). Purtroppo non si sa quasi nulla delle tre morti avvenute nel Regno Unito dopo l’introduzione della Ru486 nel 1991, neppure quando si siano verificate; per quel che vale, comunque, nel 2002 anche in Gran Bretagna la prassi diffusa prevedeva la somministrazione di misoprostol (o di gemeprost) per via vaginale (cfr. Rachel K. Jones e Stanley K. Henshaw, «Mifepristone for Early Medical Abortion: Experiences in France, Great Britain and Sweden», Perspectives on Sexual and Reproductive Health 34, 2002, 154-61, a p. 155). La controprova sembrerebbe offerta dalla Francia, dove a partire dal 1992, dopo che il decesso di una donna l’anno prima aveva portato all’abbandono della prostaglandina allora usata (il sulprostone, nome commerciale Nalador), il metodo raccomandato e – a quanto pare – quasi universalmente seguito, prevede la somministrazione di 400 µg per via orale di misoprostol (o, anche qui, di gemeprost per via vaginale); da allora non si sono più registrati decessi, su un totale di interventi che è sicuramente cospicuo (cfr. l’articolo appena citato, e E. Aubeny, «Methods of Abortion in Europe During the First Trimester of Pregnancy», in Contraception Today: The Proceedings of the 4th Congress of the European Society of Contraception, a cura di C. Coll Capdevila, L. Inglesias Cortit e G. Creatsas, New York - London, 1998, pp. 173-82, a p. 178).
Stabilire un eventuale legame di causa ed effetto tra la modalità di somministrazione e i decessi fin qui verificatisi non sarà impresa da poco. Ma è comunque fonte di sollievo il fatto che nell’esperienza da poco in corso in Italia la somministrazione del misoprostol avvenga per via orale, come in Francia, e l’intera procedura sia quindi da considerarsi estremamente sicura. Bisognerà tenerne conto, di fronte alle grida che prevedibilmente si leveranno di nuovo in questi giorni contro l’aborto farmacologico.

Aggiornamento: il 10 aprile la FDA ha reso noto che uno dei due decessi segnalati a marzo non aveva nulla a che fare con l’aborto farmacologico. Il secondo caso rimane sotto esame.

martedì 21 marzo 2006

Google fa bene alla salute

In base a voci e a vari indizi, pare che Google stia lavorando a un nuovo servizio chiamato «Google Health» (Garett Rogers, «Google Health, what is it?», Googling Google, 19 marzo). Al momento i dettagli sono completamente sconosciuti; immagino che si possa trattare di una versione specializzata di Google Scholar, ma forse è lecito attendersi qualcosa di più ambizioso: la possibilità di ottenere diagnosi personalizzate, per esempio? L’unica cosa sicura è che ne risentiremo parlare.

La saga continua

Riportiamo fedelmente alcune domande comparse oggi su Il Foglio, Il tulipano nazi, sulla questione olandese:

Un nuovo nato sordomuto o cieco, lo uccidiamo subito?
Chi deciderà del diritto di vivere?
Non stiamo parlando della fase terminale della vita di una persona, anch’io sono contrario all’accanimento terapeutico. Qui si tratta della volontà di eliminare le imperfezioni.
I laici, come Umberto Veronesi, dicano se sono d’accordo che per eliminare le difficoltà dei focomelici o dei ritardati possiamo sopprimerli. Vogliono questo in Italia? E a chi rivendica il monopolio del dolore chiedo: i genitori dei bambini del Filo D’Oro non conoscono il dolore? E le signore focomeliche che sono venute a testimoniarci la loro gioia di vivere?
Per chi non avesse riconosciuto lo stile, il postulante è Carlo Giovanardi.

Il Dodo è in buona compagnia

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite 844 specie di animali e piante si sono estinte negli ultimi cinquecento anni.
Tanti sarebbero i cari estinti. Di molti non abbiamo nemmeno il nostalgico ricordo per il pennuto abitante di Mauritius estinto nel 1681, indimenticabile per merito di Lewis Carroll.

Vita e morte del Dodo si trovano in Tragedy of Dodo.

lunedì 20 marzo 2006

Luca Volontè e l’Olandistan

Dalla stessa fonte citata nel post precedente, apprendiamo che l’On. capogruppo non ha resistito alla tentazione di dire la sua:

A rincarare la dose sul tema interviene anche il capogruppo dell’Udc Luca Volontè: «L’intolleranza olandese è figlia dello stesso totalitarismo islamico verso le caricature».
«Figlia»? In che senso «figlia»? Forse gli olandesi si sono ingelositi del successo mediatico degli islamici e hanno deciso di fare anche loro gli intolleranti, attaccando il povero Giovanardi? Non so, non mi convince... Ah ecco, ci sono: mentre eravamo distratti i fondamentalisti devono aver preso il potere in Olanda e, subito dopo aver imposto l’eutanasia per i bambini e la sharia per tutti gli altri (rigorosamente in quest’ordine), hanno esercitato l’usuale allergia alle caricature prendendosela col valoroso ministro italiano. Menomale che Volontè vigilava!

La Difesa di Giovanardi: eutanasia (non volontaria) della razionalità

Non ha dubbi neppure Francesco Cossiga nel solidarizzare con Giovanardi e nel difendere con tanto di spiegazione storica le sue parole, l’aggettivo nazista compreso: «Se Stati e Chiese — argomenta l’ex presidente della Repubblica — avessero espresso critiche e condanne sulle leggi del Terzo Reich sull’eutanasia, trasformata poi rapidamente in eutanasia di disabili ed ebrei sulla base di ricerche scientifiche, non vi sarebbe potuto essere il male assoluto del nazismo». Ugualmente netto nel difendere la definizione giovanardiana è il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, An: «È fuorviante discettare sull’aggettivo, nazista o non nazista, a proposito delle leggi olandesi sull’eutanasia, e non sul carattere totalitario di esse: che è incontestabile. Il totalitarismo non coincide necessariamente con l’assenza del voto: Hitler è diventato Cancelliere col consenso della maggioranza dei tedeschi».
(Lite con l’Olanda: Giovanardi rilancia, Fini frena, Il Corriere della Sera, 20 marzo 2006)

La legge olandese che permette di ricorrere all’eutanasia non impone niente a nessuno; richiede soltanto un po’ di razionalità e di onestà. Non si è mai parlato di eliminare disabili, appartenenti ad altre razze, insufficienti mentali. Mai. Soltanto di consentire, a chi lo sceglie, di morire. Per quanto riguarda l’eutanasia pediatrica (ovvero del caso in cui il diretto interessato non può esprimere una preferenza) la faccenda si complica, pur rimanendo intelligibile.
Nel caso di bambini che hanno come unico futuro possibile quello di una agonia senza rimedio, che spesso non hanno percezione della propria esistenza se non in termini di dolore, è moralmente ammissibile (a certe condizioni e con certe regole che l’Olanda abbraccia) che esista la possibilità di non prolungare questa condizione. Quanti concordano con la sospensione dei trattamenti medici in casi del genere, dovrebbero coerentemente accettare anche la possibilità di una eutanasia cosiddetta attiva (ovvero al provocare direttamente la morte). Gli altri dovrebbero avere il coraggio di sostenere l’accanimento terapeutico, oltre alla condanna dell’eutanasia.

domenica 19 marzo 2006

Finalmente la verità sugli effetti nocivi della RU486

Gli effetti nocivi della pillola RU486 sono finalmente sotto gli occhi di tutti.
Il 18 marzo scorso, in Belgio, è nato un agnello a sei zampe.
Abbiamo intervistato Maurice Peeters, proprietario e allevatore di mamma pecora e figlio. Ci ha rilasciato dichiarazioni sconvolgenti, in esclusiva per questo blog.

D.: può dirci che cosa è accaduto il 18 marzo?
R.: una delle pecore gravide ha cominciato a dare segni di un parto imminente; dopo un intero giorno di doglie ha partorito questo unico agnellino a sei zampe.
D.: aveva qualcosa di strano questa pecora?
R.: a dire la verità nel corso dell’autunno le avevamo somministrato una pillola abortiva.
D.: una pillola abortiva? alla pecora?
R.: si era accoppiata con un montone del nostro vicino, che ci aveva intimato di porre rimedio a questo increscioso incidente perché non desiderava discendenza; quando ci siamo accorti dello stato interessante della pecora le abbiamo somministrato la RU486, la cui sperimentazione era appena cominciata in Italia ma qui in Belgio è la prassi.
D.: e poi?
R.: qualcosa deve essere andato storto, avremmo fatto meglio ad eseguire una interruzione di gravidanza regolare, con tanto di raschiamento etc.
D.: ma non vi siete accorti che la gravidanza non si era interrotta?
R.: era ormai troppo tardi, sa con tutto il bestiame cui devo star dietro...
D.: pensa che l’anomalia del piccolo agnello sia una conseguenza della somministrazione della RU486?
R.: non sono un medico, solo un semplice allevatore, ma ritengo proprio di sì. Faccio questo mestiere da 40 anni e non mi è mai successo di vedere un agnello con sei zampe, nemmeno cinque ad essere sinceri.
D.: dunque lei sconsiglia di ricorrere alla RU486 in quanto pericolosa per la salute della madre e del nascituro?
R.: assolutamente sì; e mi pento anche di avere sottoposto Emma (la pecora) a questo strazio.
D.: che ne sarà dell’agnello a sei zampe?
R.: sarà il monito contro la tracotanza dell’uomo e della scienza. Speriamo che sopravviva, questa prima settimana sarà un periodo critico.

Carlo Giovanardi chiede di cosa dovrebbe scusarsi

Vediamo: si accettano proposte.
In primo luogo direi per il cattivo gusto. Poi per la sua ignoranza della profonda differenza tra le leggi naziste e la legislazione olandese. Per averci (noi nati italiani che non la pensano come Giovanardi e combriccola) fatto vergognare.
Infine, ma non si chiude di certo qui l’elenco, per la geniale dichiarazione (Eutanasia la replica di Giovanardi: Ma di cosa dobbiamo scusarci?, la Repubblica.it, 19 marzo 2006):

Il vero problema è capire se in nome dell’Europa si debbano accettare senza diritto di critica soluzioni che colpiscono al cuore la difesa di ogni essere umano, sano o malato, ricco o povero, uomo o donna, intelligente o ritardato mentale, così come duemila anni di cristianesimo hanno radicato nella coscienza popolare.
Il diritto di critica nessuno glielo vuole togliere per carità. Ma un conto è esprimere un disaccordo, un altro è accusare un paese di essere filohitleriano. La possibilità di ricorrere all’eutanasia, d’altra parte, non intacca in alcun modo la difesa di ogni persona (sana o malata, etc.), ma costituisce soltanto una possibilità, una scelta di libertà che evidentemente Giovanardi considera paragonabile alla politica razziale nazista. Che faceva il ministro durante le lezioni di storia contemporanea? PS
La difesa delle persone è un tema che è caro non soltanto alla tradizione del cristianesimo. E lasciare alle persone la libertà di scegliere della propria esistenza è la più preziosa difesa nei loro confronti.

PPS
Hanno difeso Carlo Giovanardi e la sua assurda dichiarazione: gli esponenti del suo partito tra cui il ministro della Cultura (storia esclusa...) Rocco Buttiglione e il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini.

Nanotecnologie e criceti

Dalle news di darwin:

Arriva dal Massachussets Institute of Technology (MIT) la notizia del successo di un’equipe di ricercatori, guidati da Rutledge Ellis-Behnke, che sono riusciti a rigenerare il nervo ottico di un gruppo di criceti ridonando loro la vista. L’esperimento, effettuato dagli scienziati americani su un gruppo di ventisei criceti (dieci giovani e sedici adulti), consiste nell’asportare un tratto di nervo ottico pari a 2 mm e in seguito iniettare, in prossimità della fibra danneggiata, una soluzione contenente una miscela di nanoparticelle, peptidi sintetici la cui lunghezza non supera i 5 nm.
[…]
Dopo sei settimane la maggior parte dei criceti mostra ben il 75% di recupero della vista
[…]
Il risultato potrebbe aprire la strada all’utilizzo delle nanotecnologie nella cura di molte malattie umane anche se saranno necessari ulteriori test su animali per verificarne l’efficacia e la sicurezza prima di arrivare alla sperimentazione sull’uomo.

sabato 18 marzo 2006

Quello che fa l’Olanda ha cercato di farlo Hitler negli anni trenta

Il tempo intercorso tra l’apprendere le dichiarazioni di Carlo Giovanardi sulla legislazione olandese e la segnalazione (dell’acume) delle stesse è dovuto allo sbigottimento.
Eh sì, a volte ancora ci scandalizziamo.

Leggiamo da Vivere e Morire di ieri:

Firenze 16 marzo 2006. Stamani nella trasmissione radiofonica “Radio anch’io” il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi ha sostenuto che “la legislazione nazista e le idee di Hitler in Europa stanno riemergendo come ad esempio in Olanda attraverso l’eutanasia e il dibattito su come si possono uccidere i bambini affetti da patologie”. Giovanardi ha definito quella olandese sull’eutanasia una legge di “selezione eugenetica” che sopprime “le persone come bere un bicchier d’acqua”.
Desidero esprimere tutta la mia solidarietà alle autorità olandesi che hanno manifestato indignazione per l’infelice (per usare un eufemismo) dichiarazione di Giovanardi.
Ma Giovanardi esclude di arretrare e tantomeno di scusarsi. E dichiara:
Ho il diritto di dire alto e forte che non sono assolutamente d’accordo.
[A proposito di eventuali scuse che] sono gli olandesi che dovranno spiegare questa pratica di soppressione.
Tutti gridano all’omicidio quando si parla della Germania, a mio avviso in Olanda è peggio. Hitler lo faceva in segreto. Noi invece lo vogliamo fare alla luce del sole. I nazisti sterminarono decine di migliaia di handicappati fisici e mentali in base alla loro politica di purificazione razziale. Noi lo faremo con la benedizione delle leggi dello Stato. E poi c’è la dichiarazione di ‘Cry for life’ in cui si ricorda che “l’Olocausto non è iniziato con l’uccisione degli ebrei, ma degli handicappati e dei malati di mente”.
Impossibile non unirci con tutto il cuore alla consegna del Prestigioso Premio Calderoli a Carlo Giovanardi. Complimenti vivissimi!

venerdì 17 marzo 2006

Il premio Pinocchio a Roberto Calderoli

Il pretesto è il confronto televisivo tra Berlusconi e Prodi. Poi, come un fiume in piena, Roberto Calderoli non ci risparmia riflessioni personali su altri argomenti.

Altro che chiarezza quella di ieri sembrava la finale del premio Pinocchio. Mi hanno fatto un po’ ridere e un po’ pena, l’avevo detto che era un trappolone. Silvio Berlusconi lasci perdere questo tipo di confronti e vada per le strade e per le piazze a parlare direttamente con la gente. Sarà sufficiente una stretta per far sentire al cittadino che la sua mano è onesta ma decisa, di chi ha i numeri per governare il Paese.
Una sfida all’americana? Semmai americani a Roma, come il Nando Moriconi di Sordi. Tutti abbiamo visto almeno una volta i confronti in Usa e mai si è avuta l’impressione che i candidati si muovessero in una specie di acquario come è accaduto da noi. La politica è fatta di cuore, anima, gesti, perfino smorfie e sudore, sennò siamo di fronte alla plastica.
Dicono che così si evitano le bugie? Le bugie si smascherano in un confronto aperto. Pensano questi signori che il popolo sia così scemo da farsi infinocchiare così?
Ho detto “Mamma mia”. Se fossi stato un telespettatore davanti alla televisione che non sapeva come votare, non avrei scelto nessuno dei due. Vedere persone che hanno qualità e che conosco da tanto tempo incastrate in una trasmissione del genere. Meglio un litigio come può avvenire qui a Matrix, in cui la gente vede chi ha gli attributi per governare un Paese. Ogni volta che vedo trasmissioni di quel tipo, mi sembra il Premio Pinocchio perché raccontano di quelle balle incredibili, anche riferendo dati che numericamente non stanno né in cielo né in terra.

[Gli immigrati in fila sono] irregolari che vanno espulsi; è disturbante che a presentare le domande non ci fossero solo i datori di lavoro come prevede la legge, ma irregolari che quindi vanno espulsi.
[La nuova legge elettorale che lui stesso ha scritto è] una porcata fatta volutamente per mettere in difficoltà una destra e una sinistra che devono fare i conti con un popolo che vota. Sono poco orgoglioso di quella legge. L’ho scritta io ma è una porcata.

Forse dico una bestialità e parlo a titolo personale ma sia Saddam che Milosevic erano gli unici che potevano tenere a bada situazioni che altrimenti sarebbero uscite fuori controllo.
Avrebbero potuto tenere a freno anche la sua lingua? (da La legge elettorale è una porcata anche se l’ho fatta io, il Giornale.it, 16 marzo 2006)

giovedì 16 marzo 2006

Uno di cinque

Secondo uno studio belga, pubblicato sul New England Journal of Medicine (Evangelos G. Papanikolaou et al., «In Vitro Fertilization with Single Blastocyst-Stage versus Single Cleavage-Stage Embryos», con un commento di Laura A. Schieve, «The Promise of Single-Embryo Transfer», 354, 2006, rispettivamente alle pp. 1139-46 e 1190-93), trasferire un singolo embrione allo stadio di blastocisti – cioè al quinto giorno dalla fecondazione – ha determinato una maggiore percentuale di successi (33% contro 23%) rispetto al trasferimento di un singolo embrione di soli tre giorni, in un gruppo di donne di età inferiore a 36 anni. Questa innovazione potrebbe contribuire a risolvere il problema delle gravidanze multiple, anche se appare al momento problematica la sua applicazione a donne di età maggiore rispetto a quelle dello studio; rimangono inoltre ancora da verificare eventuali effetti sull’embrione (fonte: BioNews).
Inutile aggiungere che la procedura implica quasi obbligatoriamente la possibilità di congelare gli embrioni, cioè l’esistenza di una legge sulla PMA ragionevole...

La fuga dei sorci

Stanno abbandonando la nave ma affogheranno anche loro, da repubblica.it lo sfogo di Silvio Berlusconi:

Pensano di abbandonare la nave come i sorci, pensano che stiamo affondando. Ma non hanno capito che se affondo io, affondano anche loro. Dovrò fargli capire che io, anche se perdo le elezioni, non me ne vado.
[…]
Sono stati in silenzio fino ad ora e parlano adesso. Bella figura. Mi ero liberato di Follini e adesso me ne ritrovo due [Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini].
[…]
Vogliono farmi le scarpe dopo il 10 aprile, ci fosse Umberto ad aiutarmi.
(Mouse picture by Janne Pyykkö, Adventures of the mouse, with the permission of the author. Thank you Janne)

Ma che Avvenire abbiamo?

Su Avvenire di oggi troviamo la cronaca della prima giornata del convegno «Il diritto alla vita nel magistero di papa Wojtyla», promosso dal Comitato provinciale Scienza & vita di Frosinone, che si tiene da ieri nell’Abbazia di Montecassino (Augusto Cinelli, «Il diritto alla vita è alle radici dell’Europa»).
Tra le varie relazioni citerò quella di Benedetto Del Vecchio, docente di diritto all’università di Cassino, che sostiene: «Se il concepito fosse una cosa e dunque non uno di noi, lo stesso Codice civile italiano sarebbe contraddizione a se stesso». Sarebbe interessante leggere per intero l’argomentazione del relatore, visto che il Codice Civile si apre proprio con una dichiarazione che sembra inequivoca: «La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita». Per adesso mi accontenterò di notare che fra essere «una cosa» ed essere «uno di noi», tertium datur: un essere vivente non è mai una cosa (cioè, almeno nel linguaggio corrente, un oggetto inanimato), ma non è necessariamente una persona, cioè «uno di noi».
Non possiamo infine non notare un incidente decisamente increscioso. Quasi alla fine dell’articolo leggiamo:

Giuseppe Noia, dal canto suo, ha raccontato l’esperienza di un medico-ginecologo che si pone al servizio della vita, denunciando il limite di una cultura medica che si nutre di «accidia intellettuale», specie sulla vita pre-natale. Il docente della Cattolica di Roma ha evidenziato come una pressione culturale scettica sulla vita porti a veri e propri «aborti di ignoranza». Quanti sanno – si è chiesto – che … passati i 16 anni, non ci sono pericoli dalla rosolia su una donna in gravidanza?
Il limite di 16 anni è, come il lettore avvertito avrà già capito da solo, sconosciuto alla scienza; è verosimile che il relatore intendesse dire «16 settimane» (di gravidanza): in effetti nell’abstract di un articolo sull’argomento si può leggere, sia pure con una sfumatura di prudenza in più: «Deafness, cardiovascular and neurological damage, and retinopathy all occur when infection takes place in the first 16 weeks of gestation and are rare after this time» (W. S. Webster, «Teratogen update: congenital rubella», Teratology 58, 1998, 13-23). Non accuserò certo l’illustre docente della Cattolica di aver commesso un «aborto di ignoranza»: si è trattato di un lapsus o, più probabilmente, di un errore del cronista. Cose che capitano, purtroppo. È sperabile comunque che, vista la delicatezza della materia, venga pubblicata al più presto una rettifica.

Il lustro dorato del governo Berlusconi

Molto interessante il documento intitolato I FRUTTI E L’ALBERO. CINQUE ANNI DI GOVERNO BERLUSCONI LETTI ALLA LUCE DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, a cura degli onorevoli Fabio Garagnani e Antonio Palmieri e pubblicato con il contributo del gruppo parlamentare di Forza Italia alla Camera dei Deputati.

Le aree tematiche sono sei:
1. Riconoscimento del ruolo della Chiesa
2. Più forza e più libertà per la famiglia
3. Dalla parte dei più deboli
4. Sussidiarietà in azione
5. Difendere e rispettare la vita
6. Tutti siamo responsabili di tutti

La mia approssimazione nel riassumere il documento sarebbe inevitabilmente ingenerosa; pertanto credo che il migliore suggerimento che posso dare è quello di leggersi per intero l’apologia di Silvio Berlusconi (I frutti e l’albero). Tuttavia non posso fare a meno di riportare quanto si dichiara nella sezione 6:

Legge sulla fecondazione assistita (2002-2004)
La legge approvata dal Parlamento con il voto della quasi totalità dei parlamentari di Forza Italia e con il parere favorevole del governo è il miglior punto di accordo possibile tra tutela della vita umana fin dal suo inizio, desiderio di diventare genitori e rispetto per la scienza.
Referendum sulla legge per la fecondazione assistita (2005)
Durante la campagna referendaria la quasi totalità degli esponenti nazionali di Forza Italia (Bondi, Pera, Tremonti, Pisanu, Adornato, La Loggia, solo per citarne alcuni) e dei parlamentari azzurri ha preso posizione a favore del mantenimento della legge attraverso la scelta del non voto. Anche il presidente Berlusconi non è andato a votare.
Indagine conoscitiva sulla applicazione della legge 194 (2005-2006)
Forza Italia ha appoggiato l’indagine conoscitiva sulla applicazione della legge sull’aborto. L’indagine ha ribadito la necessità della reale applicazione di quella parte della legge dedicata alla rimozione delle cause che portano all’aborto, potenziando i consultori, coinvolgendo i medici di base e valorizzando il ruolo del volontariato.
Nuova legge contro la droga (2006)
Aumento delle pene per gli spacciatori, nessuna distinzione tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”, equiparazione tra strutture statali e strutture del privato-sociale per il recupero, sanzioni amministrative per chi si droga, nuove azioni per la prevenzione: non esiste il “diritto a drogarsi”.

mercoledì 15 marzo 2006

John Harris e la longevità

Una corrispondenza dell’agenzia Reuters riporta la notizia di un convegno sull’allungamento radicale della vita che si è tenuto all’Università di Oxford, e termina in questo modo:

Ethically, the extension of life is controversial, with some philosophers arguing it goes against fundamental human nature.
But John Harris, Professor of Bioethics at the University of Manchester, said any society that applauded the saving of life had a duty to embrace regenerative medicine.
“Life saving is just death postponing with a positive spin,” he said. “If it is right and good to postpone death for a short time, it is hard to see how it would be less right and less good to postpone it for a long while.”
Traduco le parole di Harris: «Salvare la vita alla gente è lo stesso – ma in positivo – che rimandarne la morte. Ma se è giusto e buono rimandare la morte per un po’ di tempo, è difficile capire perché sarebbe meno giusto e meno buono rimandarla per molto tempo».

Assuntina Morresi commenta ancora

Dopo un precedente scambio di battute, Assuntina Morresi (che scrive su Avvenire e sul Foglio), torna a commentare un mio post sulla Ru486 (o mifepristone). Nonostante il tono anche stavolta un po’ sopra le righe, penso sia utile tentare di rispondere. Riporto qui sotto il suo commento, seguito dalla mia replica.

Il succo della questione è che in tutto il mondo (basta documentarsi un po’) il mifepristone viene introdotto solamente se richiesto dai governi. Se l’opinione pubblica è informata, invece, non viene distribuito neanche se lo chiede il parlamento.
La cosa dovrebbe far sospettare chiunque non sia in malafede, ma capisco che è chiedere troppo a chi parla di gravidanza coercitiva, termine abbastanza esilarante.
Sappi, comunque, che il brevetto della Ru è scaduto da un pezzo in tutto il mondo, ma nessuno si è fatto avanti per produrre la famosa pillola. Eppure ci sono nazioni dove l’aborto chimico c’è da un pezzo (Francia, GB e Svezia), e quindi che lo produca la compagnia X o la Y non dovrebbe importare granché a nessuno, almeno in quei paesi, dove un boicottaggio non partirebbe neppure. Eppure, questa miracolosa pillola non la vuole produrre nessun altro, oltre alla vecchia casa francese e ad una compagnia cinese.
Chissà perché?
Chissà perché in Cina l’hanno ritirata misteriosamente dalle farmacie e si può abortire con la pillola solo in cliniche specializzate, con degenza fino alla fase espulsiva, il tutto per “salvaguardare la salute delle donne”?
In Cina, noto paradiso dei diritti della donna...
E comunque, ritornando all’Australia, se quel sondaggio che tu ti ostini a dire falso lo è veramente, allora vuol dire che la maggior parte delle donne vuole la pillola abortiva. E allora perché le compagnie farmaceutiche non vogliono registrare il mifepristone? Se è vero che la maggioranza delle donne lo vuole, lo userà SENZA PROBLEMI, non credi?
Visto il genere di informazioni che vengono fornite da certi giornali dovremmo, temo, tradurre il «se l’opinione pubblica è informata» di Assuntina Morresi in «se l’opinione pubblica è disinformata», e per il resto potremmo anche concordare sulla conclusione...

Il termine sarà anche esilarante, ma sulla pratica della gravidanza coercitiva non ci sarebbe proprio nulla da ridere; e a questa, per forza di cose, conduce l’opposizione all’interruzione volontaria di gravidanza – a meno di riuscire a dissuadere dall’aborto (per usare il termine – esilarante anche questo? – usato da Carlo Casini) tutte le donne che vogliono abortire: un risultato praticamente impossibile da raggiungere.

Pensare, come fa Morresi, che il boicottaggio di un’industria possa partire solo in un paese in cui la Ru486 non c’è ancora significa sottovalutare grandemente le riserve di odio degli anti-abortisti più fanatici, soprattutto (ma non solo) in America. Per la maggior parte delle industrie farmaceutiche gli Stati Uniti costituiscono un mercato importantissimo, che ritrovarsi bollati come fabbricanti di morte metterebbe a repentaglio – assieme probabilmente alle vite dei loro rappresentanti locali. Non è certo un caso se chi ha il monopolio della produzione della Ru486 in Europa, la Exelgyn, produce soltanto quel farmaco (e non è esposta quindi a boicottaggi) e ha ceduto ad altri i diritti per gli USA.

Ci sono anche altre ragioni perché la Ru486 non rappresenta un prodotto appetibile: la principale sono gli scarsi profitti che consente. Secondo il Toronto Daily Star («Pros and cons of abortion pill», 19 luglio 1999), negli Stati Uniti il giro di affari annuo previsto sarebbe stato di 100 milioni di dollari o anche meno (e stiamo parlando di profitti in una situazione di monopolio), paragonato agli 11 miliardi dei farmaci che regolano la pressione del sangue, o agli 1,4 miliardi degli antistaminici. Inoltre, nel clima attuale la notizia di una morte anche solo ipoteticamente riconducibile alla Ru486 scatena reazioni fuori misura e interpretazioni tendenziose; e siccome un incidente, per quanto raro, è sempre possibile (come con quasi ogni altro farmaco), le industrie del settore si tengono comprensibilmente alla larga dai guai.

Riguardo alla Cina, la domanda giusta non è perché il farmaco è stato ritirato dalle farmacie, ma perché – se è vero quello che dicono le agenzie di stampa – si era consentito che queste lo distribuissero liberamente, oltretutto in un paese la cui popolazione non è pienamente alfabetizzata, come ammettono persino le statistiche ufficiali, e in cui mercato nero e praticoni abbondano. La Ru486 può avere pesanti effetti collaterali (di nuovo: come molti altri farmaci), e usarla al di fuori delle indicazioni e di uno stretto controllo medico significa mettere a repentaglio la propria salute. Anche l’obbligo di rimanere in ospedale fino alla fine della procedura (notizia per la quale non trovo al momento riscontri, ma che prendo comunque per buona), va messo senz’altro in relazione con un contesto sanitario e culturale molto diverso da quello dei paesi occidentali, nei quali le pazienti hanno a disposizione durante il procedimento servizi professionali di emergenza anche a domicilio.

Ma perché Assuntina Morresi insiste tanto sulla Cina? Perché non parlare invece di un paese più simile al nostro, come la Francia, in cui la Ru486 è usata dal 1988, e in cui c’è stato da allora un solo decesso? (Nel 1991, e imputabile a un altro farmaco, una prostaglandina che viene usata pochi giorni dopo la Ru486 per facilitare l’espulsione del prodotto del concepimento, e che da allora è stata sostituita con un altro prodotto.) Il motivo è, penso, abbastanza trasparente: perché in questo modo è possibile far balenare il fantasma di una strage di donne, senza tema di smentite: di quelle morti non si sa nulla? Beh, ma è ovvio: perché il regime cinese non lascia filtrare la notizia! L’assenza di prove si trasforma magicamente in prova: con lo stesso sistema si può dimostrare che alieni invisibili governano segretamente la terra – se non ne sappiamo nulla è proprio perché sono invisibili!

Come si spiega che in Occidente invece questa strage non sia avvenuta? Per Morresi le morti sarebbero in realtà molte di più di quelle conosciute: nella discussione precedente sosteneva infatti che «soprattutto è documentato il fatto che, solo dopo pressioni dei familiari e interpellanze parlamentari i governi le hanno dichiarate. Il che fa legittimamente pensare che le morti siano state effettivamente molte di più». Ma qui non importa che i governi ammettano alcunché: dove sono le denuncie di fidanzati, mariti, genitori di donne morte nel fiore degli anni subito dopo un aborto? Fossero pure rimaste inascoltate dai governi, avrebbero comunque trovato fin troppi orecchi impazienti di sentirle... Tanto è vero che, con l’eccezione (in effetti assai poco commendevole) del governo britannico, che ha ammesso due morti verificatesi dopo il 1991 solo nel gennaio 2004 nel corso di un’interpellanza parlamentare (e senza fornire particolari di sorta), in tutti gli altri casi le notizie dei decessi sono state date al massimo entro pochi mesi dalla stampa, dalle autorità regolatrici o dalle aziende produttrici.

Sono sicuro peraltro che Assuntina Morresi non vorrà seguire fino in fondo la strada della spiegazione complottistica, che porta a esiti come questo:
En France depuis 1991, date de la mort de Nadine, aucune nouvelle des victimes françaises suivantes n’a pu filtrer dans la presse. L’omerta est quasi totale mais on peut raisonnablement affirmer estimer que des dizaines de femmes ont succombé au RU 486, comme en Grande-Bretagne. Il est en effet assez facile de ne déclarer que la cause apparente de la mort (infection, problème cardiaque, etc.), surtout si les intérêts du Syndicat des avorteurs et du Planning, et partant, de l’État qui les soutient, sont en jeu (Thierry Lefèvre, «Le RU486 tue toujours», Droit à la Vie, 2004).
Una classica manifestazione di psicosi paranoide (o un’imitazione assai fedele), che lascia sgomenti e senza parole.

Il sondaggio australiano, infine, che dimostrava che il 66% delle donne di quel paese era contrario alla pillola abortiva: non ho mai detto che fosse falso il risultato; il problema era che le domande poste sono rimaste segrete – spero che Morresi non pensi che questo sia normale per un sondaggio scientifico! È ovvio che sottoposte preventivamente a una dose di propaganda tendenziosa (e forse anche mendace; ma questo non lo sapremo mai) le intervistate abbiano manifestato contrarietà all’introduzione della pillola abortiva. E questo – assieme a quello che spiegavo nel testo del post e a quello che ho scritto qui sopra – dovrebbe rispondere, credo, anche alla domanda finale della mia interlocutrice: perché in Australia le compagnie farmaceutiche non vogliono registrare il mifepristone, cioè la Ru486?

martedì 14 marzo 2006

Ulivo o croce?

Niente rametti di ulivo la prossima domenica delle palme. Al posto dell’arbusto Don Paolo Perla consegnerà piccole croci, queste sì benedette...
Il parroco della chiesa di Ss. Maria Assunta a Castelnuovo Di Porto in una lettera ai parrocchiani distribuita ieri dopo la messa delle 11:30 ha spiegato che si rifiuterà di benedire i rametti di ulivo “in nome della par condicio”, così come i rami di palme “per non dare l’idea che ci stiamo convertendo agli arabi” e che farà deviare la tradizionale processione per le vie del paese “per non farla passare di fronte ai seggi elettorali”.
Una lettera che, nelle intenzioni del parroco romano, “vuole essere una denuncia e una provocazione per gli uomini politici italiani di oggi che senza colpo ferire ci hanno dissacrato la Settimana Santa e anche per tutti noi cristiani, vescovi compresi, che sonnolenti non ci accorgiamo più di niente. I musulmani per un fatto del genere avrebbero incendiato il Quirinale”.

(Piccole croci per la par condicio, la Repubblica, 13 marzo 2006)