sabato 5 gennaio 2008

Lettera agli Ordini degli Psicologi sulla terapia riparativa

Nel riportare la seguente lettera desidero ringraziare Carlotta Longhi, Presidente dell’Associazione AltraPsicologia, per averla scritta.
La lettera è consultabile qui.

Lettera agli Ordini degli Psicologi a proposito della terapia riparativa per l’omosessualità
(2 gennaio 2008)

Ai consiglieri del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi
Ai consiglieri degli Ordini Regionali degli Psicologi

Gentili colleghi,

vi scriviamo in merito al tema delle terapie riparative per l’omosessualità, posto recentemente all’attenzione dei media dalla pubblicazione, il 23 Dicembre 2007, dell’articolo del giornalista di Liberazione Davide Varì, dal titolo: “Gli ho detto: sono gay. Mi hanno risposto: la sua è una malattia leggera, possiamo curarla”.

La pratica della terapia riparativa viola palesemente il codice deontologico degli psicologi italiani.

La terapia riparativa si basa su presupposti non scientifici e strumenti non conformi alla pratica professionale psicologica. Oggi, e da più di trent’anni, l’intera comunità scientifica internazionale considera l’omosessualità una variabile “normale” dell’orientamento sessuale e non una patologia. Inoltre, dal punto di vista della pratica clinica ci si trova di fronte ad uno dei più dolorosi tra i paradossi. Una persona in condizione di fragilità trova qualcuno che antepone, o impone grazie al ruolo di psicoterapeuta, le proprie convinzioni (religiose, politiche, ideologiche) alla centralità della persona stessa. Il gruppo del dott. Cantelmi, cui l’articolo di Varì si riferisce, usa, senza soluzione di continuità, il Rorschach e il rosario, il colloquio clinico e la “penitenza” tipica delle pratiche di espiazione religiosa. Il professionista dell’aiuto qui non usa infatti qui i saperi e le tecniche per la risoluzione dei problemi psicologici: è infatti aprioristica la convinzione che l’omosessualità sia peccato e patologia e che come tale vada “espiata” oltre che “curata”.

Diversi gli articoli che appaiono implicati: innanzitutto l’articolo 4, che recita: “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all'autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnìa, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.”.

Gli aspetti evidenziati contrastano anche con l’articolo 5, che afferma: “Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate”.

L’utilizzo del proprio ruolo ai fini di convincimento e pressione sulla persona, specie ricordando che spesso le terapie riparative si rivolgono a minori, rappresenta un altro elemento di palese contrasto con una pratica professionale eticamente corretta. L’uso del potere della posizione di professionista unitamente all’ideologia religiosa, mette di fatto lo psicologo che eserciti terapie riparative in contrasto con l’articolo 3: “Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale.”

Oltre alle considerazioni di ordine strettamente professionale e deontologico, riteniamo che in senso più ampio le terapie riparative costituiscano una grave violazione dei diritti, e per questo reputiamo di grande importanza che l’ordine nazionale e gli ordini regionali degli psicologi prendano chiara e netta posizione in merito.

Come Associazione AltraPsicologia chiediamo pertanto al CNOP e agli ordini regionali di dare comunicazione ai propri iscritti ed alla società in merito alla condanna delle terapie riparative dell’omosessualità come forme di intervento gravemente lesive nei confronti delle persone che si rivolgono ad uno psicologo e come interventi inaccettabili dal punto di vista della pratica professionale. Chiediamo inoltre che segnalazioni di casi relativi alla pratica di terapie riparative siano approfonditi dalle commissioni deontologiche degli ordini regionali.

Distinti saluti,

Carlotta Longhi
Presidente Associazione AltraPsicologia

2 commenti:

Anna ha detto...

Parole sante! Proprio in questo merito volevo chiederti, che ne pensi della NARTH? Di Joseph Nicolosi che ha scritto tutti quei libri sulle terapie riparative e guide per i genitori per venire i "disturbi" omosessuali dei propri figli?

Come si fà a pubblicare libri (spazzatura) del genere?

...

Chiara Lalli ha detto...

Penso che sia un mediocre e pericoloso ciarlatano. Lui e quelli come lui.