venerdì 30 giugno 2006

Il cardinale imbarazzante

Sul Foglio di oggi troviamo per una volta un articolo informativo, a proposito di che valore dare alle scomuniche minacciate dal cardinal Trujillo nella famigerata intervista a Famiglia cristiana («La chiesa (per ora) lo difende anche senza scomuniche», 30 giugno 2006, p. III, dove «lo» si riferisce all’embrione, non al cardinale):

Per quanto riguarda il merito della questione nei palazzi vaticani si fa notare che López Trujillo non è un canonista, un esperto del diritto interno della chiesa, con l’aggiunta: “E si vede”. Nel Codice di diritto canonico in vigore, infatti, la scomunica latae sententiae per l’aborto procurato è espressamente prevista mentre non lo è per l’omicidio, ove si eccettui l’assassinio del Papa. Quindi sembra arbitrario estendere per analogia questa pena gravissima anche ad altre fattispecie di reato, come l’eliminazione dell’embrione, che non sono previste.
Ci spiega un canonista della Curia romana che le leggi penali della chiesa, proprio perché qualificate come “odiose”, non conoscono l’estensione per analogia e debbono essere invece sempre applicate in senso restrittivo. Quindi eventualmente ci potrà essere scomunica per chi distrugge l’embrione solo quando questo verrà espressamente previsto dal Codice di diritto canonico, il che presumibilmente potrà avvenire solo quando la chiesa avrà solennemente e chiaramente definito l’embrione come persona umana.
Ed è questo il punto. Finora questo pronunciamento definitivo non sembra esserci, ma l’argomento è in discussione in modo riservato sia nel pontificio consiglio per la Famiglia sia, soprattutto, nella congregazione della Dottrina della fede, e le posizioni non sono unanimi. Quella di López Trujillo, che pure è il membro in servizio più anziano dell’ex Sant’Uffizio, è chiara. Ma non trova molti seguaci. …
Comunque, su questi argomenti nella chiesa cattolica non si legifera a colpi di maggioranza, e alla fine è il Papa che decide (o decide di non decidere). Fino a quel momento le dichiarazioni del cardinale López Trujillo, fa notare il nostro interlocutore, hanno l’autorevolezza di un “ministro” di un dicastero di seconda fascia della Curia romana. “Non proprio lo stesso valore che potrebbero avere le dichiarazioni di un ministro senza portafoglio del governo Prodi come Rosy Bindi, ma il paragone rende l’idea”.
D’accordo; ma allora non sarebbe il caso di mettere a capo del prestigioso Pontificio Consiglio per la Famiglia qualcuno che le spari un po’ meno grosse? López Trujillo lo vedrei meglio, che so, a presiedere l’Ufficio Filatelico e Numismatico della Città del Vaticano. A meno che Sua Eminenza non serva proprio a questo: a fare la faccia feroce...

Aggiornamento: Malvino, nel primo post del 2 luglio, sostiene che López Trujillo ha ragione, e Il Foglio torto: «aborto» significa «uccidere prima della nascita», quindi ogni pratica che produca la morte di un embrione è, alla lettera, aborto, e come tale cade sotto la mannaia del Codice di Diritto Canonico, che la colpisce di scomunica.
Il ragionamento castaldiano è, more solito, assai raffinato; ma ho la sensazione che incorra nella fallacia etimologica. Nel linguaggio corrente – che, devo pensare, è in questo caso anche quello del Codice – «aborto» significa solamente «interruzione della gestazione»; tant’è vero che del tecnico di laboratorio che scarta l’embrione difettoso o scongela e getta quello non più impiantabile, non diremmo mai che «ha eseguito un aborto».

Aggiornamento 2: la stessa Istruzione Donum vitae della Congregazione per la dottrina della fede afferma (I,5):
Nella pratica abituale della fecondazione in vitro non tutti gli embrioni vengono trasferiti nel corpo della donna; alcuni vengono distrutti. Così come condanna l’aborto procurato, la Chiesa proibisce anche di attentare alla vita di questi esseri umani.
lasciando intendere che le due pratiche sono distinte (anche se ovviamente molto simili fra loro).

Aggiornamento 3: l’Aggiornamento 3 era troppo lungo, e quindi occupa un post a parte.

giovedì 29 giugno 2006

Bolaffi, Habermas e l’etica senza limiti

Sul Riformista è apparso qualche giorno fa un editoriale di Angelo Bolaffi («Amato, Habermas e l’etica del limite», 24 giugno 2006), in cui l’autore si chiede, ispirandosi fra l’altro al pensiero di Jürgen Habermas in materia di bioetica, se tutto ciò che è tecnicamente possibile sia anche moralmente lecito, ovvero se non sia necessario costruire un’«etica del limite», fondata sul «principio di precauzione».
A Bolaffi hanno risposto prima Anna Meldolesi («Il riformismo precauzionale è un ossimoro», 28 giugno), e oggi, in una lettera al quotidiano, Federico Punzi («I due fondamentalismi», 29 giugno). Scrive la Meldolesi:

Habermas non appare certo una soluzione ai nostri problemi bioetici, anzi assomiglia più a un sintomo. Il fatto che un intellettuale di questo calibro possa compiere un’incursione tanto spericolata nel mondo della bioetica, senza curarsi di costruire il suo ragionamento filosofico su alcuna conoscenza scientifica di base e dichiarando espressamente di affidarsi a «intuizioni confuse», è il segnale evidente di quanto lavoro c’è ancora da fare al di fuori del mondo anglosassone perché la cultura scientifica trovi il rispetto che merita.
E Punzi:
Rigetto … l’«etica del limite». Di fronte a ogni progresso, scientifico o sociale, qualcuno è sempre prodigo di moniti a «non lasciare la strada vecchia per la nuova». C’è sempre un ordine millenario e «naturale» minacciato dal caos. … L’uomo non è parte della natura? Non è «naturale» ciò che egli fa? Come può dirsi «contro natura» l’omosessualità? Quando usiamo dire che qualcosa non è «naturale», volendo così bandirla, intendiamo in realtà che non è «giusta», applichiamo una categoria del naturale che risponde alla cultura di un’epoca e di un ambiente sociale ben definiti. … La ricerca di una cura può fermarsi di fronte a ciò che Habermas trova «osceno»? Senso del pudore, disagio intellettuale, paura dell’ignoto sono i limiti che la scienza non può varcare? Quale limite portarci dietro, allora? Non sia etico, ma quello liberale del rispetto della libertà dei cittadini.
Non c’è dubbio, in effetti, che il limite alla scienza e alla tecnica non possa essere imposto in nome delle idiosincrasie molto personali di qualche filosofo (su Habermas e le sue ubbie si veda questa recensione della nostra Chiara Lalli), né in base a un principio di precauzione che, se interpretato con coerenza, comporterebbe la stasi definitiva dell’azione umana. Il limite principale dev’essere costituito dall’esigenza liberale di rispettare la libertà altrui, ovvero di non arrecare danno; ma non è, credo, l’unico. Se alcune tecnologie dovessero rivelarsi alla portata solo di una élite ristretta di privilegiati in grado di permettersele, si correrebbe il rischio di creare una situazione di ineguaglianza mai vista nella storia: per esempio, l’ingegneria genetica migliorativa potrebbe condurre alla creazione di quella che qualcuno ha chiamato la «genobiltà» – un termine il cui significato è trasparente. In questa situazione la stessa democrazia difficilmente sopravviverebbe (e non si pensi che questa sia una prospettiva remota, da fantascienza: oramai dovremmo essere tutti coscienti dell’accelerazione in corso). Penso dunque che una regolamentazione che contragga l’intervallo temporale tra early adopters e diffusione di massa potrebbe rendersi necessaria; poi resterà soltanto da garantire le opportune salvaguardie per chi non vorrà seguire in questa audace avventura il resto del genere umano.

Proposta di estensione di scomunica

Sembra uno scooter come tanti altri, e invece no. La tracotanza umana non ha davvero limiti.
Per quanto poco spaventati, forse, dalla prospettiva, direi di proporre la scomunica per tutti i giapponesi perché in qualche modo complici della casa produttrice...
Honda (cliccate e capirete).

La Neuroethics Society

Nel campo in rapida espansione della neuroetica c’è adesso un nuovo punto di riferimento: è stata fondata la Neuroethics Society. Il presidente è Steven Hyman, della Harvard University, mentre il consiglio direttivo annovera nomi di spicco, come quelli di Patricia Churchland e Michael Gazzaniga. Ecco il Mission Statement della associazione:

We are an interdisciplinary group of scholars, scientists and clinicians who share an interest in the social, legal, ethical and policy implications of advances in neuroscience. The late 20th century saw unprecedented progress in the basic sciences of mind and brain and in the treatment of psychiatric and neurologic disorders. Now, in the early 21st century, neuroscience plays an expanding role in human life beyond the research lab and clinic. In classrooms, courtrooms, offices and homes around the world, neuroscience is giving us powerful new tools for achieving our goals and prompting a new understanding of ourselves as social, moral and spiritual beings. The mission of the Neuroethics Society is to promote the development and responsible application of neuroscience through better understanding of its capabilities and its consequences.

mercoledì 28 giugno 2006

Alfonso Lopez Trujillo 2

Vale davvero la pena di fare riferimento all’intera intervista al cardinale pubblicata su Famiglia Cristiana (Sono delitti non diritti).

(Domanda) Nel vostro recente documento avete scritto che mai come in questo tempo la famiglia è sottoposta ad attacchi violenti. Perché?

(Risposta) «Le legislazioni e un’ampia parte della cultura laica stanno smontando pezzo per pezzo la famiglia. Sta sparendo l’idea del matrimonio come bene universale, che fonda una società. Fino a non molti anni fa, la legge partiva dal principio che la famiglia fosse il pilastro naturale di una società. Oggi si tende a dire che la famiglia comprime gli spazi di libertà dei singoli. La cultura non aiuta certo il matrimonio, anzi, in buona parte, gli è ostile».

(Domanda) Faccia un esempio...

(Risposta) «Alle unioni di fatto vengono riconosciuti gli stessi diritti del matrimonio. Fino a dieci anni fa era una follia giuridica. Il matrimonio non è più un bene pubblico, la legge tende a privatizzarlo e prevede tanti tipi di unione. Significa aver sbaragliato tutta la giurisprudenza naturale su questo tema».
Chiedo scusa in anticipo per la mia ingenuità: ma il matrimonio non è una questione privata? In che senso sarebbe un bene pubblico?
(Domanda) La Chiesa è accusata di fare una battaglia di retroguardia e di perdere fedeli, perché anche molti cattolici sono d’accordo. Lei che cosa risponde a queste critiche che vi vengono rivolte?

(Risposta) «La Chiesa vuole dialogare e persuadere con argomentazioni razionali, valide per tutti. Le coppie di fatto sono una finzione giuridica: due persone che non si promettono niente, né promettono qualcosa ai figli e nemmeno allo Stato, ma vogliono gli stessi diritti del matrimonio. Per le coppie omosessuali la cosa è ancora più grave. La coppia c’è tra uomo e donna, perché esiste complementarità. Il resto è il vuoto assoluto. Ci accusano di usare un linguaggio severo e drammatico. Non è vero. Noi commentiamo la realtà che abbiamo davanti. Non facciamo proposte nuove, ma spieghiamo cosa dicono la Parola di Dio e il magistero della Chiesa. A volte gli stessi cattolici fanno difficoltà a capire che questa è antropologia biblica».
Argomentazioni razionali?? Argomentazioni? Razionali? Lo possiede un dizionario della lingua italiana il cardinale?
Due persone non si prometterebbero niente perché non si piegano ad un ordinamento prestabilito? Le promesse sono fatte di una pasta che nessuna legge può far lievitare, e nessuna legge può garantire. Una promessa intima non deve essere necessariamente esposta ai meccanismi delle pubblicazioni, la prenotazione della sala per la festa di nozze, la squallida lista dei regali per lo sposo e la sposa (che promessa sarebbe la lista di nozze?), e così via. In uno Stato non teocratico ognuno deve avere la possibilità di scegliere come vivere (e pure come morire, ma non andiamo troppo fuori tema). E poi non parliamo delle coppie omosessuali: la cosa, infatti, è ancora più grave. Cosa pretendono? Di essere trattati come persone? Vuoto assoluto. L’ha detto anche dio. E non possiamo mettere in dubbio la sua parola (ma l’udito del magistero della chiesa sì, forse).
(Domanda) Si dice, tuttavia, che bisogna lasciare la libertà ai non cattolici di comportarsi come vogliono…

(Risposta) «Conosco l’argomentazione: io non lo farò mai, ma gli altri… Pensare così significa non accettare il disegno di Dio. Eppure, mi sembra che spesso le ragioni siano anche altre e indotte dalla polemica politica ed elettorale. Io dico che non si può cambiare Governi e mutare anche le visioni etiche, che danneggiano la società».
E, ovviamente, non accettare il disegno di dio è quanto di più irrazionale si possa immaginare, secondo il cardinale (o non sarebbe piuttosto il contrario?). E meno male che avevamo cominciato con l’invocare le argomentazioni razionali. Le visioni etiche sono una questione privata, alla pari delle credenze religiose o della scelta della squadra del cuore o della maglietta da indossare. Il Governo non c’entra nulla. E nemmeno il magistero.

Scomunica per chi abortisce, o è complice, e per tutti coloro che sono implicati nella ricerca sulle cellule staminali embrionali

STAMINALI: CARDINALE TRUJILLO, SCOMUNICA PER RICERCA SU EMBRIONALI (ANSA) – CITTÀ DEL VATICANO, 28 giugno 2006.
Il cardinale Trujillo, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, viene intervistato da Famiglia cristiana in vista dell’incontro mondiale delle famiglie, che comincerà a Valencia il primo luglio e al quale l’8 e il 9 parteciperà anche il Papa. Trujillo parte dall’argomentazione che oggi alcuni “delitti” stanno “diventando diritti” e che ciò “sta accadendo con l’aborto”. Alla domanda se ci sia ancora la scomunica per l’aborto il porporato conferma di “sì, colpisce – ricorda – la madre, il medico, gli infermieri, il padre se è d’accordo”. “La stessa cosa vale”, dice in un passaggio successivo, per la ricerca sulle cellule staminali embrionali. “È la stessa cosa. Distruggere l’embrione – rileva – equivale all’aborto. E la scomunica vale per la donna, i medici, i ricercatori che eliminano l’embrione”.
Nell’intervista il porporato afferma anche che sarebbe “lieto” di incontrare il ministro italiano della Famiglia, Rosy Bindi. Tra i “timori” del Vaticano, Trujillo indica quello che “parlare in difesa della vita e dei diritti della famiglia stia diventando in alcune società una sorta di delitto contro lo Stato, una forma di disobbedienza al governo, una discriminazione contro le donne. La Chiesa – afferma allarmato – rischia di essere portata davanti a qualche Corte internazionale, se il dibattito si facesse più teso, se si ascoltassero le istanze più radicali”.
Mi piacerebbe ricevere la scomunica, farei carte false! Ci si può autodenunciare a Trujillo, o bisogna aspettare di essere colti sul fatto?

ps
In effetti non sono gli unici a sostenere simili incontestabili verità. Chi può aver dimenticato
Every sperm is sacred,
Every sperm is great,
If a sperm is wasted,
God gets quite irate...
(Every sperm is sacred, The Meaning of Life, Monthy Python).
Figuriamoci che succede se ad essere sprecati sono gli embrioni...

L’ho fatto per il suo bene!

Treviso, via dal battesimo del figlio perché la gonna è troppo corta, la Repubblica, 27 giugno 2006:

La gonna è troppo corta per il battesimo e il parroco costringe una giovane mamma a cambiarsi d’abito. È accaduto domenica scorsa a Cavriè di San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso, come riferiscono oggi alcuni giornali veneti. La donna ha lasciato in lacrime la chiesa per rientrare, con un abito più morigerato, solo a celebrazione iniziata.
Protagonisti dell’episodio, don Loris Fregona, 42 anni, parroco di e la signora Chiara Marangon. “La mia intenzione principale era quella di proteggere la madre dai giudizi della comunità – spiega il sacerdote –, dato che, nel battesimo, i genitori sono invitati a salire sul presbiterio e si espongono a 300 persone”.
“L’abito di Chiara era assolutamente normale, di Sangallo nero con fiocchetti – racconta Elga Lopresti, una delle amiche della donna presenti alla liturgia – con una gonna quattro dita sopra il ginocchio e con spalle coperte”.
Il parroco racconta che, prima dell’inizio della cerimonia, domenica scorsa, la signora è stata pubblicamente invitata a cambiarsi d’abito perché non consono al decoro richiesto dall’ambiente. “Ho fatto presente il problema una prima volta in forma privata – ha detto il sacerdote – ma invano. Le ho chiesto poi se abitasse lontano dalla chiesa e, appreso che la casa al contrario era a poche decine di metri, l’ho nuovamente sollecitata in modo più perentorio a cambiarsi d’abbigliamento”.
Al momento del secondo richiamo, ha anche spiegato don Fregona, la donna era con il compagno, un’altra coppia di genitori e tre chierichetti all’interno della sacrestia, quindi non davanti alla chiesa piena come è stato scritto da alcuni organi di stampa. “Se qualcosa mi ha infastidito – ha proseguito il parroco – è stata l’indifferenza al primo invito e poi il fatto di non comprendere che la particolare esposizione prevista dal tipo di celebrazione avrebbe potuto comportare il rischio di critiche da parte della comunità”.
La lunghezza della gonna della giovane mamma, infatti, secondo i parametri del parroco, non era sufficiente da consentirle la permanenza in chiesa e per questo Chiara Marangon è stata costretta ad assentarsi dalla cerimonia di battesimo del figlio per rientrare, con un abito più morigerato, solo a celebrazione iniziata. La famiglia ha annunciato l’intenzione di rivolgersi ad uno studio legale.
Secondo l’amica della giovane mamma “il sacerdote le ha rivolto una prima osservazione a celebrazione non ancora cominciata ma poi, di fronte ad altre persone compresa la famiglia di un altro battezzando, le ha intimato di indossare un altro vestito pena la sospensione del rito”.
A quel punto, racconta ancora la testimone, la madre se ne sarebbe uscita in lacrime per ritornare, alcuni minuti dopo, indossando un altro abito, quando il sacerdote aveva dato inizio alla celebrazione. “Quello che ci sconcerta – aggiunge il padre del piccolo Leonardo, Randolfo Limido – non è tanto il rilievo fatto dal sacerdote, il quale all’interno della chiesa ha il diritto di tutelare i requisiti di decoro che l’ambiente richiede, ma il modo pubblico e ricattatorio con il quale si è espresso”.
Sull’eventualità di un incontro chiarificatore con i genitori del piccolo, don Loris ha detto che, da parte sua, non avrebbe nulla per cui giustificarsi: “Sono loro, i genitori, che sono venuti da me per chiedermi cosa sia e come si debba svolgere il battesimo – ha sottolineato – ed io gliel’ho spiegato. Ognuno per il suo mestiere”.
Potrebbe venire voglia di sbattezzarsi...

L’Europa finanzia la creazione della vita dal nulla!

Un bel titolo sensazionalistico, vero? Solo che non è per niente esagerato: nell’ambito del progetto «Programmable Artificial Cell Evolution», la Commissione Europea ha assegnato mezzo milione di Euro a un’impresa, ProtoLife, fondata dagli americani Mark Bedau e Norman Packard, il cui scopo è precisamente quello di creare nuove forme di vita in laboratorio, a partire dalla materia inorganica (Joe Rojas-Burke, «Life in Venice», Reed Magazine, primavera 2006). Gli impieghi possibili non mancherebbero:

powerful new technologies will create programmable living microscopic entities that can perform any number of tasks: clearing artery-clogging plaque in patients prone to heart attack, digesting toxic pollutants that are lethal to natural forms of life, or splitting water molecules to make hydrogen fuel.
Naturalmente, non mancherebbero neanche gli interrogativi etici: la rivista che ospita il servizio sulla ProtoLife ha chiesto un parere in proposito ad Art Caplan, un noto bioeticista americano («Should We or Shouldn’t We?»):
Might artificial life forms have rights, for instance, not to be used to remediate human-caused environmental problems, or not to be harmed or killed?
No single-cell entities can have rights. Rights require self-awareness and the possibility of some form of mental life. Creating life forms to help solve human problems is absolutely ethical and commendable, but safety, risk, and cost need to be taken very, very seriously in deciding who makes what, and when, and where it is used.
Chissà cosa ne penserebbero quelli dell’intergruppo parlamentare cattolico «Persona e bene comune»; soprattutto se sapessero che la ProtoLife ha il suo quartier generale alla periferia di Venezia...

martedì 27 giugno 2006

Al Foglio il diavolo fa i coperchi, ma non le pentole

Sul Foglio di oggi troviamo un’intervista a Geneviève Delaisi de Parseval, psicanalista francese e commentatrice di questioni di bioetica (Marina Valensise, «“Dottoressa, che ne sarà di quei diciannove piccoli né morti né vivi?”», 27 giugno 2006, p. 2). Dando un’occhiata di sfuggita al sottotitolo, «La provetta abbandona in frigorifero vite umane, che non possono essere considerate effetti collaterali», uno immagina che l’articolo seguirà gli schemi di cento altri articoli del Foglio: le parole d’ordine ci sono tutte. «Vite umane», «abbandonare»: sarà probabilmente un peana all’adozione degli embrioni sovrannumerari, in puro stile Dallapiccola, conclude il lettore distratto; e sta già per passare al più gustoso Giulio Meotti, sulla stessa pagina («il quaranta per cento dei musulmani della città [di Londra] si dice favorevole all’introduzione della sharia»: sarà ancora troppo presto per mettere da parte i quattrini della gizya?), quando con la coda dell’occhio nota qualcosa che non si aspettava, all’inizio dell’intervista: «Geneviève Delaisi de Parseval si batte da anni contro il dono degli embrioni, che la legge francese autorizza». Comincia a leggere, allora, e poco dopo trova questo:

L’idea di donare gli embrioni sovrannumerari nasce in ambienti cattolici. “C’è tutta una lobby favorevole al dono per evitare la distruzione della vita umana. A cominciare da Jean-François Mattei, genetista, deputato, ex ministro della Sanità e fautore nel 1994 della prima legge sulla bioetica”. Ma l’idea trova resistenze anche nei genitori. “Le coppie che devono scegliere cosa fare dei loro embrioni sono molto turbate. Alcune hanno paura di darli alla scienza. Altre pensano che farne dono ad altre coppie sarebbe un gesto generoso, ma poi esitano”. Capiscono che quell’embrione è un gemello potenziale di loro figlio, e che tra venti o trent’anni potrebbe incontrarlo sui banchi dell’università, innamorarsi di lui, e addirittura avere accesso alle origini, presentandosi dai donatori e accampando diritti.
La legge francese inoltre ha molte falle, secondo Geneviève Delaisi. “Nel caso di un’adozione, si ha una filiazione ben più solida di quella naturale. Nel caso di un dono di embrioni, invece, non c’è una sentenza di tribunale, ma un semplice consenso dato in ospedale, consenso al dono da parte dei donatori e all’accoglienza da parte di chi riceve. Immaginiamo che da quell’embrione nasca un handicappato. Nessuna legge potrà obbligare i genitori a tenerselo. Di un bambino adottivo non puoi disfartene, di un nato da un dono di embrione sì”.
Sono queste dunque le ragioni per le quali Geneviève Delaisi è contraria al dono di embrioni, e si batte invece per il doppio dono di gameti, che la legge vieta mentre autorizza solo il dono di sperma in caso di sterilità del padre, e di ovociti in caso di sterlità della madre. “Perché ricorrere al doppio dono quando esistono già embrioni belli e fatti? Io ho molti pazienti che vanno in Spagna o in Inghilterra dove il doppio dono di gameti è autorizzato. E si capisce perché. Non hai il figlio di qualcun altro. Non rischi che tuo figlio tra vent’anni s’innamori di sua sorella. La storia genetica delle persone è un dato innegabile, il tabù dell’incesto fa parte della nostra cultura. Il che pone problemi filosofici ed esistenziali mostruosamente complicati. Non che sia una fanatica, ma se la clinica medica consente il doppio dono, perché non autorizzarlo?”.
Sì, d’accordo, direte voi, siamo lontani da Dallapiccola; ma cosa pensa la dottoressa sullo statuto dell’embrione? Per saperlo bisogna cercare lontano dal Foglio, in un articolo che la Delaisi de Parseval ha scritto qualche anno fa con Pauline Tiberghien («Le don d’embryon, une bombe à retardement», Libération, 18 settembre 2004):
Ce qui est jugé bon pour une partie conservatrice de l’opinion (la sacralisation de quelques cellules) devrait-il faire loi? Nous ne le pensons pas.
Per le due autrici, inoltre, è bene che gli embrioni rimangano in frigorifero, a disposizione dei genitori, che non devono essere obbligati a scegliere il loro destino.
Come mai, allora, il sottotitolo fuorviante? Sbaglierò, ma credo che qualcuno al Foglio si aspettasse un esito un po’ diverso dall’intervista; poi, visto che gli pareva brutto buttarla via, ha deciso di coprirla con un coperchio per nasconderla un po’...

74,4 - 46,4

Un post di Malvino («M.P. ded.», 27 giugno 2006) ci fa capire perché i risultati del referendum costituzionale di ieri sono importanti per interpretare correttamente (e onestamente) quelli dei referendum di un anno fa sulla legge 40/2004.

Fecondazione in vitro: qualche numero

Al convegno della European Society of Human Reproduction and Embryology, a Praga, sono state presentate alcune statistiche sulla fecondazione in vitro nel mondo, fornite dallo International Committee for Monitoring Assisted Reproductive Technologies (ICMART). Dal 1978 sono nati con le varie tecniche di procreazione assistita più di tre milioni di bambini. Ogni anno si stima che ne nascano 200.000, su un milione circa di cicli di fecondazione assistita. La Danimarca è il paese al mondo in cui è più alta la percentuale di nascite da fecondazione in vitro (3,9%) sul totale di tutte le nascite. Si nota una tendenza crescente ad impiantare in utero un solo embrione alla volta, con il conseguente declino delle gravidanze gemellari e plurigemellari (Kirsty Horsey, «Three million IVF babies born worldwide», BioNews, 27 giugno 2006).

lunedì 26 giugno 2006

Galli della Loggia, la sinistra e la Chiesa

Sul Corriere della Sera di oggi («I valori mutati della sinistra», 26 giugno 2006), Ernesto Galli della Loggia rileva quella che ritiene essere una contraddizione della sinistra italiana di oggi: da un lato essa sarebbe oggettivamente diventata «per molta parte lo schieramento dei ceti medi dai valori individualistico-libertari», ceti medi che rappresentano ormai la maggioranza del paese; dall’altro, ciò minerebbe l’immagine che la sinistra si fa della propria identità, «che è obbligatoriamente sentita come quella di un’eterna minoranza sempre in lotta contro forze soverchianti, contro nemici agguerriti e potenti» e che comporterebbe il bisogno «di sentirsi sempre e comunque “contro”, in minoranza, controcorrente nel mare della storia: paradossalmente anche quando, invece, essa vi naviga con il favore dei venti».
L’analisi, pur nella sua stringatezza, è fin qui in buona parte condivisibile; ma nel finale – che è poi la parte che interessa maggiormente i lettori di Bioetica – Galli della Loggia perde improvvisamente e completamente la lucidità:

Da qui, allo stesso modo – dal bisogno di considerarsi essa sola destinata a recitare il ruolo di minoranza – da qui anche, infine, il suo non riuscire a intendere affatto le obiezioni della Chiesa alla ormai proclamata e ultramaggioritaria libertà moderna in tema di ingegneria genetica, di orientamenti sessuali e di cose analoghe: il suo travisare tali obiezioni facendole passare come espressione di un dogmatismo chiuso e nella sua arroganza potentissimo, mentre si tratta solo del disperato tentativo, mi pare, di limitare il dilagare distruttivo dei tempi.
Ora, dovrebbe essere evidente che la spiegazione più semplice della (supposta) incapacità di «intendere le obiezioni della Chiesa» in tema di «orientamenti sessuali e di cose analoghe» non sta affatto nella fregola minoritaria della sinistra, ma proprio nei «valori individualistico-libertari» di quella classe media che lo stesso Galli della Loggia ci ha appena detto costituirne la nuova base sociale; valori che emergono nel dibattito pubblico, nonostante che la sinistra li rappresenti solo imperfettamente. Se infatti per «sinistra» si intende (come mi pare faccia il nostro autore) un ceto politico e intellettuale, non è poi così scontato attribuirle tutte queste simpatie per l’«ingegneria genetica», gli orientamenti sessuali e i valori libertari in genere. Nell’articolo si fa un nome per rappresentare quel ceto e le sue pulsioni: quello di Dario Fo. Ebbene, molti ricorderanno come qualche anno fa proprio il premio Nobel si fosse imbarcato in una polemica – abbastanza sciocca e disinformata – contro gli xenotrapianti, cioè i trapianti di organi da animali geneticamente modificati all’uomo. Nella sinistra più ‘classica’ c’è poi spazio per la ferocia reazionaria in materia di bioetica di Giovanni Berlinguer, o per l’untuoso culto dell’embrione di Giuliano Amato; nella sinistra radicale troviamo l’opposizione dei Verdi agli Ogm, o il rozzo pamphlet delle Madri Selvagge, Tavella e Di Pietro (per le quali l’appartenenza politico-culturale, benché ancora rivendicata, appare tuttavia ormai molto labile). Galli della Loggia non vede tutto ciò: gli fa velo, probabilmente, l’antipatia per la sinistra, e il desiderio più o meno inconscio di non accostarla a chi è in missione per conto di Dio nel «disperato tentativo … di limitare il dilagare distruttivo dei tempi».
Naturalmente la sinistra è anche più o meno compatta a favore di temi come l’aborto o i Pacs per gli omosessuali; ma sono convinto che questo impegno ricada propriamente in quella amministrazione del disagio sociale in cui l’élite progressista ha da sempre visto la propria missione (e la propria fonte di reddito e status). Così, l’aborto sarà interpretato non come una libertà positiva delle donne, ma come una tragedia inferiore solo all’aborto clandestino; e ai gay sarà concessa la pensione di reversibilità, ma non l’adozione (perché, come sosteneva qualche anno fa una pur benemerita intellettuale di sinistra, i bambini potrebbero a loro volta diventare omosessuali...). Se c’è ancora una speranza per gli autentici valori di libertà, essa risiede nel disprezzato, «desiderante» e individualistico ceto medio, e in chi avrà il coraggio di farsene fedele interprete.

Bruno Dallapiccola: diamo in adozione gli embrioni orfani

La proposta è del genetista Bruno Dalla Piccola che indica una terza via per i 2.527 embrioni abbandonati e congelati. Un’alternativa per salvarli sia dalla distruzione inevitabile nel caso in cui fossero destinati alla ricerca scientifica sia dalla inevitabile morte nel freddo se fossero lasciati semplicemente in questa condizione.
(L’idea di Dalla Piccola: «Diamo in adozione gli embrioni orfani», Il Giornale, 26 giugno 2006).

Non è una grande idea, e non è nemmeno una idea nuova, dal momento che il Comitato Nazionale per la Bioetica aveva avanzato la stessa proposta in un parere del 18 novembre 2005 (Adozione per la nascita degli embrioni crioconservati e residuali derivanti da procreazione medicalmente assistita (P.M.A.)).
La proposta è caratterizzata da una scelta lessicale significativa e discutibile: adottare gli embrioni (o meglio, gli embrioni in quella primissima fase di sviluppo prima dell’eventuale impianto). Si adottano le persone. Ma è proprio questa la premessa, discutibile, su cui si accendono gli animi. L’equivalenza tra embrioni e persone. Con tutte le conseguenze filosofiche e giuridiche che ormai dovrebbero essere note anche a coloro che non se ne interessano granché.
(Domanda il giornalista) Sull’adozione degli embrioni orfani le perplessità sono molte. Oltretutto la legge 40 vieta la fecondazione eterologa: non sarebbe una contraddizione?
(Risponde Dallapiccola) «È un problema ed io sono aperto al dibattito. Mi sento però di fare una proposta: diamoli in adozione. Lasciarli morire in un frigorifero mi sembra assurdo. Se ne può occupare il Comitato di Bioetica e ci dovrà sicuramente essere un confronto anche per l’eventuale destinazione alla ricerca scientifica. Comunque quella dell’adozione mi sembra una buona opzione».
Il Comitato se ne è già occupato, appunto. Certo è che la scelta da parte di una coppia di ricorrere all’impianto di un embrione già prodotto in laboratorio dovrebbe essere ragionevolmente vincolata alla possibilità di sapere lo stato di salute dell’embrione stesso. Possibilità offerta dalla diagnosi genetica di preimpianto (vietata dalla legge 40).
A questo proposito l’Associazione Amica Cicogna aveva fatto una proposta, inviata al Comitato Nazionale per la Bioetica il 27 settembre 2005, per consentire l’embrioricezione degli embrioni crioconservati (e non l’adozione): “è nostra convinzione che sarebbe auspicabile prevedere l’embrioricezione per gli embrioni che risultino maggiormente vitali e che siano crioconservati da minor tempo, nonché la destinazione alla ricerca scientifica per gli altri, fino all’esaurimento degli stessi”. E ancora: “Per gli embrioni crioconservati dai 3 ai 10 anni e per gli embrioni patologici il nostro documento prevede la possibilità di destinarli a fini di ricerca scientifica e di derivarne linee cellulari staminali embrionali, il cui utilizzo è oggi possibile in Italia su linee importate.
A nostro giudizio, utilizzare embrioni il cui futuro è già segnato favorendo la scienza per un fine nobile che potrebbe dare speranza a molti malati, è un atto di civiltà che dovrebbe essere previsto dall’ordinamento italiano”.

Quanto alla presunta contraddizione tra la possibilità di adottare un embrione e il divieto di fecondazione eterologa, accogliendo la premessa che un embrione sia una persona (dal punto di vista della legge 40 e di Dallapiccola) non esiste alcuna contraddizione. Infatti, si vieta il ricorso a un gamete estraneo alla coppia (che non se ne capisca la ragione è un altro discorso), e si permette di adottare un embrione perché già esiste in quanto persona e la soluzione migliore è di garantirgli quel diritto alla nascita che la legge 40, sebbene non esplicitamente, gli ha attribuito.

Testamento Biologico: i commenti di Adriano Pessina

Qualche giorno fa la Fondazione Veronesi ha redatto una versione di Testamento Biologico che prevede la possibilità per tutte le persone maggiorenni, in grado di intendere e di volere, di esprimere la propria volontà riguardo ai trattamenti medici per un eventuale futuro in cui non fosse loro più possibile, in seguito a una malattia invalidante e irreversibile. Offre, in altre parole, la possibilità di far “slittare” un diritto riconosciuto e attribuito a tutte le persone coscienti, quello di rifiutare le cure, ad una fase della propria esistenza in cui la possibilità di decidere è spazzata via. Direttive anticipate, appunto.
Il Consiglio nazionale del notariato ha dato via libera al Testamento Biologico, con l’unanimità dei voti. Dalla prossima settimana chiunque lo desidera può esprimere la propria volontà, con la garanzia di autenticità dell’atto fornito da un notaio.
È necessario che una legge parlamentare risolva al più presto le incertezze operative al riguardo, ma il materializzarsi di questa possibilità è fondamentale e costituisce uno strumento irrinunciabile di libertà ed autodeterminazione.
Non mancano le critiche. Secondo Adriano Pessina (Italia. Pessina: testamento biologico lesivo della dignità della persona umana malata, Vivere & Morire, 24 giugno 2006), direttore del centro di bioetica dell’Università Cattolica e rappresentante fedele della posizione cattolica, il Testamento Biologico in questione (ma non sembra una forzatura ampliare il suo giudizio a tutte le possibili proposte di direttive anticipate) sarebbe “gravemente lesivo della dignità della persona umana malata”.
Pessina sembra dimenticare che sono quelle stesse persone malate a chiedere di non ricevere, in alcune circostanze, trattamenti medici. Nessun altro (medici, Stato, familiari) potrebbe decidere al loro posto, o tantomeno potrebbe imporre loro di “non curarsi”. In che modo è possibile rispettare maggiormente la dignità di una persona se non rispettando la sua volontà?
Fa poi davvero sorridere il richiamo fiducioso e entusiasta alla tecnologia, dopo che tante condanne, da parte dei cattolici, nei confronti delle biotecnologie sono state costruite sul richiamo alla “naturalità”. Pessina auspica infatti che i pazienti e la stessa società “rifiutino questa demonizzazione della tecnologia e della medicina di supporto vitale”. Possono già farlo. Chi non intende sospendere i trattamenti può rifiutare questa demonizzazione della tecnologia, sottoponendosi alle forme più estreme di accanimento terapeutico. È civile e doveroso permettere, però, a chi la pensa diversamente di rifiutare le cure. Di scegliere della propria vita e della propria morte. Scegliere di rifiutare le cure non è una rinuncia, come Pessina sostiene, ma una scelta individuale, intima e incontestabile di libertà.

sabato 24 giugno 2006

Pro e contro le staminali embrionali

Sul blog Inyqua troviamo un’ampia sintesi in due parti di un articolo sui problemi etici sollevati dall’uso delle cellule staminali embrionali («Embrioni, bioetica e ‘stato dell’arte’ (prima parte)», 14 giugno 2006; seconda parte, 22 giugno 2006). Il lavoro originale (Kristina Hug, «Therapeutic perspectives of human embryonic stem cell research versus the moral status of a human embryo – does one have to be compromised for the other?», Medicina (Kaunas) 42, 2006, pp. 107-14) presenta una rassegna delle principali posizioni filosofiche e religiose sulla liceità della ricerca scientifica in questo campo. Si tratta di un testo privo di tecnicismi, che Inyqua rende ancora più accessibile traducendone lunghi brani in italiano. Un contributo significativo alla conoscenza della problematica, e alla sprovincializzazione di una blogosfera che spesso sembra credere che il mondo ruoti attorno a Piazza San Pietro.

Aggiornamento: è uscita anche una terza parte, dove Inyqua parla della differenza tra cellule staminali adulte ed embrionali.

Tutti dal notaio per il Testamento biologico

Il Consiglio nazionale del notariato ha dato il via libera al Testamento biologico, nella formulazione della Fondazione Veronesi. Da lunedì prossimo dovrebbe dunque essere possibile firmare il documento di fronte a un notaio (entro due settimane verrà pubblicato un elenco dei professionisti disponibili), al costo di 25 Euro circa più bollo (fonte: Corriere della Sera, 24 giugno 2006). Si attende ora dal Parlamento una legge che risolva le ultime incertezze giuridiche.

venerdì 23 giugno 2006

Prima i bambini

Sul Foglio di oggi è apparsa la traduzione di un articolo di un certo James L. Sherley («Ad Harvard il limite era la maturazione dell’embrione clonato, ora s’è deciso di oltrepassarlo», 23 giugno 2006, p. III), pubblicato in origine sul Boston GlobeCrossing line on cloning», 12 giugno 2006), che attacca la decisione di un comitato della Harvard University di dare il via libera alla ricerca sulla clonazione terapeutica:

Se le loro mani avessero sufficiente sensibilità, i membri del Review Board di Harvard potrebbero imparare a conoscere meglio che cosa sono gli embrioni umani: potrebbero sentire che anche il più piccolo di tali embrioni, esattamente come noi, è caldo al tatto, si muove e respira.
A queste affermazioni replica un lettore bene informato in una lettera al quotidiano americano («Science vs. theology in stem-cell debate», 15 giugno 2006). Poiché qualcosa mi dice che questo intervento non lo troveremo mai sul Foglio, ne traduco un brano qui di seguito:
James Sherley potrebbe meritare un 10 per il fervore della sua opposizione alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma un 4 in Biologia – cosa imperdonabile, per un biologo esperto in cellule staminali che lavora al MIT.
I tre esempi che fornisce di «semplici verità» sono delle bugie: 1) i più piccoli embrioni umani non sono caldi al tatto, ma – come un tavolo o una sedia – hanno la stessa temperatura dell’ambiente circostante; 2) non si muovono, fino a quando non raggiungono dimensioni molte migliaia di volte maggiori di quelle di questi embrioni più piccoli; 3) non «respirano proprio come noi», fino a quando non sono milioni di volte più grandi.
Nell’originale:
James Sherley may get an A for the fervor of his opposition to embryonic stem cell research, but he gets an F in biology, and given that he is a stem cell biologist at MIT, this is unjustifiable.
His three examples of “simple truth” are falsehoods: 1) The smallest human embryos are not warm to the touch, but, like a table or chair, take the temperature of their surrounding space; 2) they do not move as they grow until they are many thousand times larger than these smallest embryos, and 3) they do not “breathe just as surely as we do” until they are millions of times larger.
Verso la fine dell’articolo di Sherley, troviamo poi questa affermazione:
Un esempio ipotetico frequentemente citato dagli aspiranti clonatori di Harvard per sostenere la ricerca è questo: che cosa farebbe una persona se dovesse trovare un bambino in una clinica per la fertilizzazione in vitro? La loro posizione è che soltanto il bambino verrebbe salvato, mentre gli embrioni sarebbero lasciati perire. Tuttavia, questa posizione si fonda sui giudizi di persone male informate, come i membri del Review Board di Harvard. Persone meglio informate cercherebbero un modo per salvare sia il bambino sia gli embrioni.
Il testo è reso incomprensibile dal fatto che nella traduzione italiana è stato saltato un «burning»: la clinica dell’esempio sta bruciando. Ma non è che l’originale sia poi così limpido: nel piccolo esperimento mentale (che è ben noto anche oltre i cancelli di Harvard) si suppone che la persona sia costretta a scegliere tra un bambino e qualche centinaio o migliaio di embrioni. È un modo per far venire alla luce la fondamentale insincerità della posizione che un embrione sia in tutto e per tutto un essere umano: se qualcuno lo credesse veramente, dovrebbe scegliere senza esitazione gli embrioni, e abbandonare al suo destino il bambino. Che Sherley faccia finta di non aver capito, e scansi in modo tanto meschino la domanda, la dice lunga su ciò che pensa veramente e sulla sua onestà intellettuale.

Chi è il riduzionista?

In un articolo apparso su AvvenireLa tendenza a ridurre l’umano dell’uomo», 22 giugno 2006), Roberto Colombo lancia un allarme:

Il genoma umano sta diventando l’equivalente moderno e secolare dell’anima spirituale? Nel libro del Dna, il cui linguaggio («codice genetico») è stato decifrato ed il cui messaggio («informazione genetica») è stato letto per intero ed attende di essere compreso appieno nel suo significato biologico (genetica funzionale), è inscritta la natura dell’uomo?
A suscitare queste domande è stato un intervento di Umberto Veronesi sull’universalità del codice genetico nel mondo biologico. E tuttavia, chi più di ogni altro sta contribuendo a sostituire nella cultura contemporanea il genoma all’anima spirituale nel ruolo tradizionale di essenza dell’uomo? Ce lo ricorda Massimo Adinolfi, commentando l’articolo di Colombo («Chi la fa l’aspetti», Azioneparallela, 22 giugno 2006):
Ma in forza di cosa un embrione, un preembrione, un ootide, le tre cose insieme, quello che volete voi, sono già un uomo? In forza del DNA. Al tempo dei referendum sulla legge 40, ce l’hanno spiegato in tutte le salse: c’è il DNA, c’è l’uomo. (Mons. Sgreccia, che Dio lo perdoni, scriveva che il vero galileiano, attento alle risultanze scientifiche, era lui.)
La Chiesa ha percepito l’improponibilità nella sfera pubblica del discorso tradizionale religioso sull’anima e l’animazione, ed è stata costretta a sostituirlo con un equivalente laico, che salvasse la necessità di porre l’embrione off limits: la formazione del patrimonio genetico individuale si prestava ottimamente allo scopo. Ricordo con un certo sgomento un’apparizione televisiva dell’allora Monsignore Ersilio Tonini, che proclamava baldanzoso, tra misticismo e biologia elementare, «Ci sono due milioni di basi!». Il costo di questo estremo riduzionismo biologico dev’essere sembrato irrilevante, ma – complice l’inqualificabile pochezza intellettuale di moltissimi laici, incapaci di proporre e sostenere alternative – si sta adesso diffondendo nel pensiero condiviso dell’epoca, con esiti imprevedibili. Gli apprendisti stregoni avranno molti articoli dei loro giornali da dedicare al problema.

Inseminazione artificiale vs. fecondazione in vitro

Uno studio appena pubblicato (Nora Pashayan, Georgios Lyratzopoulos e Raj Mathur, «Cost-effectiveness of primary offer of IVF vs. primary offer of IUI followed by IVF (for IUI failures) in couples with unexplained or mild male factor subfertility», BMC Health Services Research 6, 2006) ha stabilito che offrire direttamente una procedura di fecondazione in vitro a coppie con infertilità o subfertilità idiopatica (cioè dovuta a cause sconosciute) o con moderata subfertilità maschile, ha un rapporto costi/benefici più favorevole di quello che si ottiene offrendo prima l’inseminazione artificiale, seguita in caso di fallimento dalla fecondazione in vitro.

Prescrivere il Norlevo

Se siete medici, e se pensate che le donne abbiano diritto ad ottenere il Norlevo, la pillola del giorno dopo, Malvino ha qualcosa da dirvi... («Una modesta proposta (tra Swift e Gandhi)», 23 giugno 2006).

Gli europei e le biotecnologie

Secondo il rapporto pubblicato dalla Commissione Europea qualche giorno fa gli europei sono favorevoli alle biotecnologie.
Europeans and Biotechnology in 2005: Patterns and Trends.
Eurobarometer 64.3
.
(A report to the European Commission’s Directorate-General for Research by George Gaskell, Agnes Allansdottir, Nick Allum, Cristina Corchero, Claude Fischler, Jürgen Hampel, Jonathan Jackson, Nicole Kronberger, Niels Mejlgaard, Gemma Revuelta, Camilla Schreiner, Sally Stares, Helge Torgersen and Wolfgang Wagner. May 2006)

Alberto Alvino ha detto...

... in un commento a Il sesso è neutrale.

E noi rispondiamo, perché molti degli argomenti proposti da Alberto sono piuttosto comuni. Per questa ragione la risposta è un post invece che un commento.

Sulla premessa non c’è molto da dire. La prendiamo per buona.

(Alberto) Ho paura che della scienza si possa abusare, come di fatto è stato e vien fatto troppo spesso.
(Chiara) Pressoché di qualunque cosa si può abusare: del burro, della compagnia di un amico, di un libro amato, perfino dell’ossigeno. Non dimostra alcunché il fatto che si possa abusare di qualcosa. Ti prego, non venirmi a dire che la scienza è diversa dal burro o dall’ossigeno: è una analogia, non una pretesa di dimostrare che la scienza e l’ossigeno sono uguali. Ciò che voglio dire è che la possibilità di abuso non è sufficiente per fondare una condanna. Addirittura pensi che ‘troppo spesso’ si sia abusato della scienza? Io non sono d’accordo, e potrei risponderti che troppo spesso si è abusato dell’ignoranza, o della religione. Che non sono poi così dissimili.

(Alberto) Ho paura del fatto che se ne possa fare una nuova religione.
“Che male ci sarebbe a scegliere il colore degli occhi?”
Scegliere gli occhi verdi può danneggiare il nascituro?

Lo vedo come un concetto pericoloso.
(Chiara) Non capisco se intendi dire che di una certa scienza si potrebbe farne una nuova religione. In questo caso: se e quando la scienza diventa una religione smette di essere scienza. La differenza tra scienza e religione è abissale. E incolmabile. Se ti riferisci piuttosto al fatto che scegliere il colore degli occhi possa diventare una nuova religione, direi che quanto dovrebbe essere criticato è l’involuzione religiosa e non il contenuto. Sul contenuto io credo che si debba rispondere alla domanda che fai subito dopo: può danneggiare il nascituro la scelta del colore degli occhi? Secondo te sì e per due motivi.

(Alberto) Primo. Danneggia moralmente l’idea che abbiamo di noi stessi. E quella che abbiamo della nostra società. L’uomo potente. Come Dio. L’uomo che può tutto. L’uomo viziato che non è contento se il figlio non ha gli occhi verdi. Non è alto. E non è biondo.
Avverto questo potere come “alienante”. In grado comunque di modificare il costume della società.
(Chiara) I danni morali non bastano a sostenere divieti legali. Rimarrebbe in questo caso la libertà per ciascuno di scegliere cosa fare. E mi starebbe bene. L’onnipotenza dell’uomo è necessariamente devastante? Io trovo più osceno continuare ad invocare Dio come l’inarrivabile, come l’esempio di quanto l’uomo non potrà mai raggiungere. Esistono delle possibilità che la tecnica permette di realizzare. Che prima appartenevano alla fantasia o alla fantascienza. Se non ci sono valide ragioni per condannarle, che ognuno scelga come preferisce. Non mi precipiterei a chiamare in causa la tracotanza umana – come se poi bastasse a dimostrare l’oscenità di quelle possibilità che le tecnologie rendono raggiungibili (io e te che parliamo e ci scriviamo perché c’è l’elettricità e internet e i computer e la lista sarebbe davvero lunga). Se vuoi possiamo dire che giochiamo a fare dio, ma io ti chiederei: che male c’è? (l’unico problema quasi insormontabile sta nel giocare a fare qualcuno che non esiste, ma questo è un altro discorso). Quanto alla presunta scontentezza genitoriale se il figlio non è alto e bello e intelligente, devo ripetermi: anche fosse? Che cosa dimostrerebbe? I genitori sono scontenti o contenti dei propri figli per le ragioni più eterogenee. Attribuire loro la possibilità di scegliere il colore degli occhi non mi sembra possa esasperare o stravolgere il potere che già hanno. Il carattere ‘occhi verdi’ è meno invadente e dirompente nelle esistenze filiali di molti comportamenti sui quali nessuno si permette di fare una critica (‘imporre’ la propria lingua madre; imporre una dottrina religiosa: che mi dici al riguardo? Non è più dannoso dei neutrali occhi verdi? Non è un fardello molto più pesante e difficile da smaltire?). Quanti poteri cambiano il costume della società? Innumerevoli. ‘Cambiare’ il costume della società, però, è moralmente neutrale. Devi ancora dimostrarmi che cambiarlo scegliendo il colore degli occhi del proprio figlio sarebbe un cambiamento indesiderabile; anzi, da condannare.

(Alberto) Viviamo in una società di massa, ed una tecnologia che da all’uomo tanto potere troverà anch’essa applicazione di massa. Al punto magari che il singolo individuo possa vedersi “costretto” dal costume corrente ad usarla. Come oggi ti senti dire “non vedi il grande fratello?”, oppure “non hai una BMW?”, in un’epoca quale stiamo immaginando ci sentiremo dire “tuo figlio non ha gli occhi verdi?”.
(Chiara) Io mi sento fiera e orgogliosa (quando mi sento dire “non vedi il grande fratello”), non so tu. In ogni modo ciò che dovrebbe ricevere il biasimo è l’emarginazione dalla massa o la costrizione. Ti sembra impossibile rispondere: “mio figlio non ha gli occhi verdi, e allora”?

(Alberto) E quando ci saranno solo pochi individui con i “brutti e vecchi” occhi castani, chissà, magari il costume ci porterà verso nuove emarginazioni: “guarda, quello ha gli occhi castani” come oggi diciamo “guarda, quella è una prostituta”.
Non è difficile immaginare questi scenari, perchè di simili ne abbiamo oggi a bizzeffe, nell’attuale costume della nostra società occidentale. Un diffuso, generalizzato, mal costume.
(Chiara) E allora prenditela con il malcostume, non con la prostituta o con chi guida una 600. Non dimenticare che i gusti sono diversi, anche riguardo agli occhi. Altrimenti tutti i bambini si chiamerebbero Mario o Giovanna. Non ci sarà mai uno scenario di soli occhi verdi. Almeno in uno scenario abbastanza ampio da comprendere una eterogeneità, e non fatto da un solo genitore ossessionato dagli occhi scuri…

(Alberto) Secondo. Non vorrei riferirmi alla retorica cattolica, ma questa è oggettivamente eugenetica. Che ne sarà della diversità genetica che la natura (voi lo sapete senz’altro meglio di me) si è preposta come fondamento della vita? Le specie più avanzate hanno aumentato la loro complessità, e con questa la loro differenziazione. Alla base dei sistemi biologici ci sono proprio meccanismi che creano differenze: ne sono esempio la riproduzione sessuata, il crossing-over. Sappiamo invece che l’uomo, per motivi culturali e sociali ha sempre teso a preferire alcuni fenotipi (l’ariano classico ne è un esempio). È qui utile ricordare quanto segue. Per il nostro costume la discendenza migliore è quella pura: oggi parliamo di razza italiana in pericolo perchè facciamo pochi figli, il termine “meticcio” è spesso usato in termine dispregiativo, e questi concetti li applichiamo anche agli animali (“è di razza”, “è purosangue”).
(Chiara) Eugenetica: ovvero? La diversità genetica, la natura, la vita, etc., sono già irrimediabilmente sottoposte ad un processo corrosivo: la consapevolezza umana di come funziona l’evoluzione (non universale, d’accordo…). È fatta, non si può tornare al catastrofismo, al creazionismo oppure al non porsi proprio la domanda. La preferenza di alcuni fenotipi (come dici tu) è una falsità ammantata da scienza: basta ricordare la falsità del determinismo genetico. E andarsi a leggere i deliri pseudoscientifici di quanti hanno provato a sostenere la superiorità di una razza su basi ‘scientifiche’.

(Alberto) Ho paura che questo sposti il concetto di scienza da “scoperta” a “manomissione” della natura. È questo,a mio avviso, ad essere moralmente inaccettabile. Oggi accade troppo spesso, e finora si è ritorto sempre contro di noi.
(Chiara) Non basta manomettere la natura per essere immorale. Quante volte al giorno manometti la natura? Accendi la luce, fai il bucato con la lavatrice, prendi un antinfiammatorio se hai mal di denti (continuo?). Sei sicuro che la manomissione della natura si sarebbe ritorta contro di noi? Hai i vaccini, hai le medicine, hai talmente tanti vantaggi derivanti dalla manomissione della natura che ti sarebbe impossibile vivere senza.

(Alberto) Oggi mangiamo pasta di grano OGM o con modifiche genetiche da bombardamento radioattivo, la frutta inzuppata di farmaci, siamo circondati da materiali sintetici da petrolchimica, l’aria delle nostre città è carica di PM10 e polveri di metalli pesanti delle marmitte catalitiche, i bovini sono costretti a mangiare farine di carne e iniettati di steroidi. Continuare richiederebbe pagine e pagine zeppe dello snaturamento verso cui ci portano i due mostri sacri del progresso: la tecnologia e il mercato.
In tutto questo ormai da oltre trent’anni un’epidemia di cancro affligge la nostra civiltà occidentale. Alcuni si chiedono ancora perchè, e danno fondi per la ricerca scientifica. Senza paraocchi il perchè si trova rapidamente. Chi lo conosce, non può fare a meno di convivere con tutti i rischi che il malcostume della società gli ha messo, volente o nolente, davanti.
Cercando di liberarmi da dogmi di ogni tipo, ho paura di tutti gli estremismi religiosi: del cattolicesimo (la religione di Dio), del capitalismo (la religione del mercato), dello scientismo (la religione della scienza).
Mi piacerebbe leggere controargomenti....
(Chiara) Sul mercato sono meno in grado di darti risposte, ma temo che vederlo come il nemico o il mostro sia ingenuo e non corrispondente alla realtà. Così come è fasulla l’immagine diffusa dello scienziato folle che trama nell’ombra terribili armi di distruzione di massa. La pasta OGM non fa male alla salute; per l’inquinamento ambientale chiamerei in causa la politica, piuttosto che la scienza. Il cancro non è di certo una patologia ‘tecnologica’. La ricerca scientifica non ne è responsabile.
Come ho detto all’inizio, di tutto si può abusare. Non possiamo vivere senza acqua; ma possiamo anche annegare.
Un’ultima cosa: la scienza non è scientismo.

giovedì 22 giugno 2006

Una proposta di civiltà e dignità...

... quella di proporre una petizione per attribuire diritti anche a lui, il feto in mostra, per protestare contro la barbarie di lasciarlo esposto agli agenti atmosferici e alla curiosità dei visitatori.

(The Virgin Mother by Damien Hirst, da martedì scorso fino al 4 agosto alla Royal Academy)

La California verso la legalizzazione del suicidio assistito?

State lawmakers on Tuesday grappled with the ethics of doctor-assisted suicide, debating whether helping a terminally ill patient end his or her life violates a physician’s duties and responsibilities.
The Senate Judiciary Committee hearing was a prelude to a vote next week on a measure that would legalize the practice in California modeled after such a law in Oregon the only state that allows the practice.
[…]
“As a physician it’s my duty to give patients options,” Dr. Nicholas Gideonse of the Oregon Health & Science University primary care center told the committee.
“The notion that physicians know best and that the patient cannot be trusted with the ability to make good decisions about their care, even the care at the end of their lives is an outdated ethical precept,” said Gideonse who has prescribed lethal drugs for eight patients.
[…]
“Public policy is to protect all citizens, not just the ones who want to live,” said Wesley Smith, a lawyer and author of several books on assisted suicide. “Legalizing assisted suicide would be not only bad medicine but bad public policy.”
(Ethics of assisted suicide debated in Senate committee. Oregon-type law would apply only to terminally ill, San Francisco Chronicle, 21 giungo 2006).

Inevitabile, come suggerisce lo stesso titolo, che il pensiero vada all’Oregon, unico Stato in cui il suicidio assistito è permesso. Il California bill, AB651, deve passare al vaglio del Senato, e poi dell’Assemblea. Il suo destino è piuttosto incerto.

Troppe parolacce, pappagallo condannato a morte

Condannato a morte per troppe parolacce. Questa la sentenza emessa da un consiglio rabbinico nei confronti d’un pappagallo “colpevole” di imprecare in continuazione. È successo in Israele dove il proprietario, disperato per le parolacce che l’animale diceva era pronto a dar seguito alla “sentenza” quand’è intervenuto il suo medico, Oren Zarif, che ha deciso di adottare il pappagallo, salvandolo così da morte certa. “Il mio paziente – ha spiegato il medico – ha consultato un rabbino che ha deciso che il parrocchetto doveva essere ucciso dal momento che peccava e induceva altri a peccare”. I figli del proprietario, infatti, erano influenzati dalle parolacce che il volatile diceva in continuazione. Zarif, tuttavia, si è rifiutato di farlo sopprimere, ma dopo poco ha avuto dei ripensamenti. Il pappagallo, infatti, anche nella nuova casa non si è comportato meglio e le sue imprecazioni hanno cominciato a infastidire i pazienti ortodossi che frequentavano lo studio. Disperato, il medico ha quindi consultato un altro rabbino, Meir Mazuz, che stavolta ha consigliato di tagliare la lingua al pappagallo, “con il minimo di sofferenza. Se questo non aiuta, l’animale deve essere macellato”. Di nuovo, tuttavia, Zarif s’è rifiutato, pressato anche dalla moglie che nel frattempo ha minacciato di divorziare se il medico avesse fatto eseguire la sentenza capitale. Quest’ultimo lancia dunque un appello: “Sono pronto a donare il pappagallo a un safari o a un’altra istituzione che si prende cura degli animali. Almeno, loro possono tenerlo lontano dai bambini”.

(Da Ultimissime UAAR, 21 giugno 2006)

Paola Binetti e i diritti individuali

Binetti: non voterò mai i Pacs, QN, 20 giugno 2006:

Non voterò mai una legge sui Pacs che d’altronde non sono previsti dal programma dell’Unione. Ho una personale apertura all’eventuale tutela di diritti individuali. Ma non potranno esserci riconoscimenti di diritto pubblico. La mia non è una posizione isolata: è chiaro che, in una logica di maggioranza, una legge sui Pacs non potrà mai passare: non ci sono i numeri. Dovranno andare a cercare voti nella minoranza.
Esattamente quali diritti individuali intende tutelare? Quelli rispettosi del suo senso del pudore? E della sua ipocrisia? La logica di maggioranza è disgustosa quando si esercita sulla giustizia e sulle libertà.
E prosegue Paola Binetti:
Deve essere chiaro: in Italia la legge 40 non si tocca, per il criterio che evidenziammo con il nostro doppio no al referendum dello scorso anno. La vita non può essere messa ai voti.
Era tempo che non si sentiva lo slogan assurdo della campagna contro il referendum sulla PMA e la legge 40: la vita non può essere messa ai voti. Davvero complimenti per il denso significato di queste parole.

mercoledì 21 giugno 2006

Il Testamento biologico secondo la Fondazione Veronesi

Sul sito della Fondazione Veronesi è da ieri disponibile la versione del Testamento biologico di cui si è parlato nei giorni scorsi. Si tratta di una iniziativa assolutamente lodevole; i commenti a caldo che seguono vogliono quindi essere soltanto una critica costruttiva.
Il punto centrale del documento recita:

In caso di:
  • malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante
  • malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione
chiedo di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico né a idratazione e alimentazione forzate e artificiali in caso di impossibilità ad alimentarmi autonomamente.
Diciamo subito che sarebbe stato forse preferibile non proporre un’unica condizione di partenza e un’unica conseguente richiesta, ma articolarle meglio: si può essere contrari ad essere tenuti in vita con trattamenti terapeutici e allo stesso tempo inorridire di fronte alla prospettiva di non venire più alimentati, sia pure artificialmente; si può desiderare la sospensione delle cure in caso di morte cerebrale, ma non nel caso in cui un’altra condizione patologica costringa a dipendere da un respiratore artificiale.
A proposito della «malattia che … costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione», non è ben chiaro cosa si intenda con questa definizione; manca in particolare qualsiasi accenno a una condizione di coscienza ridotta o annullata, che sola renderebbe necessaria la consultazione del Testamento biologico per ricostruire la volontà del paziente: condizione che naturalmente gli estensori del documento avranno dato per scontata, ma che per molti motivi sarebbe preferibile citare esplicitamente. Anche il riferimento alla impossibilità di «una normale vita di relazione» sembra leggermente infelice: o il paziente si trova appunto in una condizione di vigilanza alterata, e allora la specificazione è in sostanza superflua, oppure (ma si tratta di un caso assurdo) il paziente è capace di intendere e di volere, e allora l’espressione copre fatalmente casi in cui si potrebbe condurre una vita nonostante tutto accettabile. Forse sarebbe meglio parlare di una condizione in cui la dignità del paziente sia gravemente compromessa.
Va infine notato come la necessità proclamata di firmare il documento di fronte a un notaio rischi di costituire una barriera non solo o non tanto economica, ma anche psicologica, e di rendere l’espressione delle volontà di fine vita accessibile solo a una cerchia ristretta di persone.

Contro la sindrome da iperstimolazione ovarica

Una ricerca presentata da Claudio Alvarez dell’Instituto Valenciano de Infertilidad di Valencia al convegno della European Society of Human Reproduction and Embryology, a Praga, ha rivelato che una classe di farmaci già nota potrebbe aiutare a prevenire la sindrome da iperstimolazione ovarica, che colpisce, seppur raramente, le donne che si sottopongono al prelievo di ovociti nel corso di una procedura di procreazione assistita o per donarli («Dopamine agonist can prevent ovarian hyperstimulation syndrome in IVF patients», EurekAlert!, 21 giugno 2006).

Sempre EurekAlert! ci informa di una comunicazione di Heidi Mertes dell’Università di Ghent allo stesso convegno, sull’etica della donazione di ovociti («Egg donation for stem cell research – balancing the risks and benefits», 19 giugno 2006).

Cosa curano davvero le staminali adulte?

In un articolo apparso su Avvenire qualche giorno fa, si citava una lista di «65 malattie» che già si curerebbero grazie alle cellule staminali adulte. Sulla questione interviene adesso il blog Science Backstage, con uno dei migliori post apparsi finora sull’argomento («I miracoli delle staminali adulte. E della fede», 19 giugno 2006):

Anzitutto, quali sono queste fantomatiche 65 malattie? Avvenire non fornisce la lista, e non è dato di sapere se il suo editorialista l’abbia veramente letta. Lo dico perché, dopo aver fatto il mio compitino su Google, ho trovato la magica lista, che circola da un po’ su Internet e sui media d’oltreoceano, e le sorprese non mancano. Se scorriamo la lista delle malattie scopriamo che si tratta quasi esclusivamente di patologie che si curano 1) con il trapianto di cellule staminali del sangue (alias trapianto di midollo) 2) con il trapianto di cellule staminali epiteliali (alias trapianto di pelle e di tessuto corneale coltivato in vitro). In altre parole, metodologie il cui successo non è certo in discussione, ma che – almeno nei primi due casi – sono in uso da decenni, seppur con continui miglioramenti. Tra l’altro, la lista riporta abusivamente anche diverse malattie (ad esempio Osteogenesis imperfecta, Sandhoff disease, Hurler’s syndrome, Krabbe leukodystrophy, Osteopetrosis, Cerebral X-linked adrenoleukodystrophy) per le quali non esiste una cura definitiva. La fonte originale delle lista è un sito americano contrario alla ricerca sugli embrioni.
Il ragionamento viziato di Avvenire è il seguente: dato che molte persone vengono curate con il trapianto di midollo e di pelle (cioè metodi in uso da decenni), e nessuno è stato mai curato con le staminali embrionali, le prime vincono la partita ERGO: è inutile insistere con la ricerca sui poveri embrioni, dato che la superiorità delle staminali adulte è dimostrata.
Con lo stesso metodo possiamo sbizzarrirci pericolosamente. Provate così: finora la chemioterapia ha curato migliaia di pazienti, mentre le nuove terapie non hanno curato ancora nessuno ERGO: lasciamo perdere la ricerca sui nuovi farmaci. Oppure, in versione retrò, mettetevi nei panni dei vostri nonni e tornate indietro di qualche decennio: la penicillina ha salvato un sacco di persone, mentre i nuovi antibiotici (che ancora sono soltanto un cumulo di altre muffe in un frigo) non hanno curato nessuno ERGO: perché mai dobbiamo fare ricerca su nuovi antibiotici? La storia ci ha già risposto. Potete divertirvi ad applicare il ragionamento a tutto lo scibile umano e ne concluderete che la ricerca, in qualunque campo, è inutile. Non è fantastico?
Tutto da leggere anche il resto dell’articolo.

martedì 20 giugno 2006

La tirannia molecolare (ovvero della perversione di Strasburgo sugli embrioni)

LA DEMOCRAZIA DELLA RAGIONE CONTRO LA “TIRANNIA MOLECOLARE”.
La tossicità della scienza che degrada gli embrioni a potenziali cadaveri.
WILLIAM HURLBUT, BIOLOGO E CONSIGLIERE DI BUSH, SPIEGA PERCHÉ L’ITALIA NON DOVEVA RITIRARE LA FIRMA A STRASBURGO (Il Foglio, 20 giugno 2006).

Ah, finalmente. Ci sediamo comodamente e incominciamo a leggere l’articolo di Giulio Meotti.
Dopo dettagli professionali e privati di Hurlbut (sarebbe uno dei più famosi biologi americani, insegna a Stanford con la moglie Erica e un figlio disabile), entriamo nel merito di embrioni e tiranni.

Secondo Hurlbut la decisione italiana di allinearsi agli altri paesi europei è doppiamente perversa. “Ignora un risultato referendario importantissimo e unico al mondo. E poi per preservare la comunità dei vivi dobbiamo affermare il valore della vita umana nascente in ogni circostanza”.
Ecco. Svelate le ragioni della perversione della decisione comunitaria riguardo alla possibilità di finanziare ricerche su cellule derivate da embrioni. Mi rifiuto di commentare per l’ennesima volta l’assurda argomentazione del risultato referendario (quel famoso 75%...). Sulla seconda ragione ho qualche difficoltà a comprenderne il senso. Provo ad azzardare che un modo (il modo?) per preservare i vivi è di rispettare tutti i vivi, e pertanto anche lo spermatozoo che ha appena incontrato l’ovocita. La vita. Dovrebbe valere per tutti gli esseri viventi allora: piante e ratti compresi. Vita. Anche quella è vita, no? Chi oserebbe affermare il contrario? In questo caso fanno bene i jainisti, e mi piacerebbe proprio sapere se il celebre biologo e l’illustre giornalista si adeguano alle indicazioni della dottrina suddetta. Ma andiamo oltre.
Se la ricerca contro l’embrione verrà confermata, in futuro entreremo in ospedale con un senso di nausea morale sul trattamento che stiamo per ricevere”.
Cambierà anche il significato della medicina, verrà abbandonata la dimensione nobile per un puro utilitarismo tecnoscientifico. “Non possiamo costruire il futuro degradando l’umanità che vogliamo medicare. È il pericolo di una reificazione delle qualità umane. A Francis Collins, il capo del progetto genoma umano che ha scoperto il gene della fibrosi cistica, ho chiesto se avesse mai avuto in cura un solo paziente di cui, disse, avrebbe voluto impedire la nascita. Rispose di no. La tecnologia dello screening e del setaccio può opprimerci di aspettative e terrore, facendoci sapere del futuro più di quanto vogliamo.
È una conoscenza tossica. Dobbiamo guardare in faccia il pericolo della chimerizzazione umano-animale e delle promesse seduttive dell’autotrasformazione tecnologica.
Dobbiamo ricordarci infine che poco più di sessant’anni fa questa scienza era al servizio dell’eugenetica”. Abbiamo bandito la schiavitù, ora dobbiamo avere il coraggio di opporci a questa nuova forma di “tirannia molecolare”, come la chiama Hurlbut. “L’uso di embrioni come fonte scientifica e medica corrode il significato profondo della vita umana. Nessuno di noi è un cadavere potenziale. Abbiamo la capacità di morire. Altra cosa è dire che siamo molecole. Siamo in grado di cessare di essere, ma non siamo cadaveri. Siamo, semmai, una rivoluzione della natura”.
Miodio, mi ci vorrebbe la notte intera per controbattere tutte le idiozie riportate. Procedo disordinatamente (e forse incompiutamente). Notare il disprezzo nell’utilizzo di utilitarismo e tecnoscientifico (di contro alla nobiltà). Accoppiati, poi, raddoppia la condanna. Bene. Perché nessuno ce lo dice? No.
La reificazione è un argomento molto battuto. Ricorda Richard Lewontin (facciamo a gara di fama? No, lasciamo stare) che molte azioni umane sono reificate, in molte circostanze veniamo reificati (le braccia lavoro, l’idraulico che aggiusta il rubinetto e di tanto in tanto si diletta in fecondazioni eterologhe naturali, come ci avverte la Alberti Casellati... pardon, il lattaio). Dobbiamo decidere se accettare la presenza della reificazione, oppure rifiutarla in blocco e allora le conseguenze sono pesanti.
È una conoscenza tossica. Dobbiamo guardare in faccia il pericolo della chimerizzazione umano-animale e delle promesse seduttive dell’autotrasformazione tecnologica. Queste righe farebbero impallidire Deleuze e Lacan e tutti gli altri ciarlatani come loro.
Ecco poi di nuovo l’eugenetica (Hitler e l’ideologia sterminatrice) buttata come sabbia negli occhi. E ancora una spericolata analogia: la schiavitù (tradizionalmente intesa) e la tirannia molecolare (bella espressione però, davvero notevole!).
Quanto al cadavere potenziale, caro Hurlbut, mi dispiace, ma non siamo che questo. Morti potenziali. Cenere potenziale. Che significherebbe ‘capacità di morire’? Che significa che sono capace di morire? Siamo destinati a morire, in un senso ben poco metafisico di destino. Non possiamo sottrarci alla morte. Questo è quanto. Certo che non siamo (adesso) cadaveri, non staremmo qui a scrivere. Sempre che la premessa condivisa sia che i cadaveri non scrivono. Ma chissà, vista la diffusa convinzione di equivalenza delle opinioni (idea tanto stupida quanto perniciosa), non è bene dare per scontato nulla.

ps
Quanto alle gare, non ho resistito. Le occorrenze su Google.it per Hurlbut sono 37.100; per Lewontin 110.000.

La fecondazione artificiale conviene

Una ricerca condotta da William Ledger dell’Università di Sheffield, e presentata ieri al convegno della European Society of Human Reproduction and Embryology, a Praga, ha stabilito che se il governo britannico offrisse a ogni donna che li richieda tre cicli gratuiti di fecondazione in vitro, ogni bambino nato in questo modo darebbe un contributo netto al pubblico erario di 147.000 sterline (circa 215.000 euro) nel corso della propria vita; in due o tre anni nascerebbero 10.000 bambini che altrimenti non sarebbero mai potuti venire al mondo.
Un altro studioso, Jonathan Grant dell’Università di Cambridge, ritiene che incrementando le nascite da fecondazione in vitro si riuscirebbe a contrastare in modo significativo il crescente invecchiamento della popolazione nel Regno Unito (Ian Sample, «Free IVF for all would ease pensions crisis, say researchers», The Guardian, 20 giugno 2006).
In Italia, naturalmente, i più vocali nel lanciare l’allarme contro la crisi demografica sono anche quelli più pronti a frapporre ostacoli e a imporre regole assurde alla procreazione medicalmente assistita...

Aggiornamento: un approfondimento delle questioni trattate nell’articolo del Guardian viene offerto ora da Kirsty Horsey per BioNews: «Free UK fertility treatment ‘would boost economy’» e «Call for free fertility treatment to boost Europe’s population», 20 giugno 2006.

Staminali embrionali e argomentazioni sciocche

In una lettera alla National Review OnlineStem-Cell Back and Forth», 13 giugno 2006), Jonathan Moreno e Sam Berger commentano un articolo di Eric Cohen, un conservatore che si oppone alla creazione di nuove linee di cellule staminali embrionali:

In the end, Cohen is left with the argument that embryonic-stem-cell research has produced “no therapeutics applications, or even human trials.” But surely we could expect nothing more from a field that is barely eight years old and, unlike other promising new areas of science, has not received adequate federal funding and support. The notion that we should not fund research because it will be some time before we have clinical applications is self-defeating. In adopting this impatient posture, Cohen betrays a failure to understand the nature of medical research, which is a painstaking process that can take decades to bear its full fruit.
Cohen also ignores the advances that embryonic-stem-cell research has caused in drug development and testing. Already, for example, Australian scientists have used embryonic stem cells to grow human prostates in mice in order to study prostate cancer, and scientists in Scotland and Italy have used embryonic stem cells to create nerve cells to test new drugs for Alzheimer’s and Parkinson’s diseases.
Nella sua replica, Cohen protesta che queste obiezioni non toccano gli argomenti da lui proposti nell’articolo; ma di certo toccano – e da vicino – gli argomenti proposti durante gli ultimi giorni nel dibattito italiano sulle cellule staminali.

Panda gigante: rischio estinzione dimezzato

Questo è il dato che emerge da uno studio anglo-cinese: fino ad oggi si stimavano circa 1.500 esemplari. A quanto pare dovrebbero essere invece il doppio (Panda, rischio estinzione lontano, TGCom, 20 giugno 2006).

lunedì 19 giugno 2006

Ovociti congelati

Il congelamento degli ovociti è stato spesso fatto passare come un’alternativa già disponibile al congelamento degli embrioni; chi ha creduto a questa storia rimarrà probabilmente sorpreso nell’apprendere che soltanto oggi è stato reso noto un esperimento giapponese in cui il tasso di gravidanze raggiunto impiegando ovociti congelati ha quasi eguagliato – grazie a un congelamento estremamente rapido – quello della tecnica convenzionale («Frozen eggs rival IVF success of fresh eggs», NewScientist.com, 19 giugno 2006; l’articolo descrive anche una scoperta italiana, che consente di individuare negli ovociti la presenza di un numero anomalo di cromosomi). Bisogna adesso attendere che l’esperienza venga replicata da altri ricercatori, e che la tecnica si diffonda nella pratica medica. Per le donne si apriranno allora nuove possibilità di gestire autonomamente la propria vita riproduttiva, congelando gli ovociti da utilizzare in età più avanzata (ed evitando casi penosi come quello di Natallie Evans); anche la donazione di ovociti potrà, penso, divenire più flessibile.

Aggiornamento: anche BioNews commenta la notizia (Kirsty Horsey, «Scientists report on new egg freezing technique», 19 giugno).

Aggiornamento 2: Eurekalert! dà conto di una ricerca che potrebbe condurre agli stessi risultati, e addirittura aprire la possibilità di congelare un corpo umano e di riportarlo in seguito alla vita («Slow-frozen people? Latest research supports possibility of cyropreservation», 20 giugno 2006).

Aggiornamento 3: BioNews approfondisce la notizia della scoperta italiana sull’analisi degli ovociti («New egg test may increase IVF success rate», 20 giugno 2006).

Se il medico non dà la pillola del giorno dopo

Su LiberazioneLa Ru486 libera le donne. E questo fa paura», 18 giugno 2006) Silvio Viale parla della RU486 e della pillola del giorno dopo (i lettori di Bioetica sanno bene che sono due cose diverse):

Cosa pensa dei medici che si rifiutano di prescrivere la pillola del giorno dopo?
È un’indecenza e un atto di vigliaccheria. La pillola del giorno dopo non è un farmaco abortivo. E chi manda via una donna senza quel farmaco è passibile di denuncia. Tra l’altro, se questo avviene in un Pronto Soccorso, il medico obiettore avrebbe l’obbligo di indirizzare la donna da un collega disposto a prescrivergliela. E se questo non è possibile – ma, ripeto, è reato – allora dovrebbe trovare un altro ospedale disposto ad accettare le sue richieste. Sapesse quanti esposti in Procura ho fatto per denunciare queste omissioni.

Pre-implantation genetic haplotyping

Mentre in Italia ci si strappa i capelli al solo pronunciare la parola embrione e spesso anche soltanto qualcuna che le somigli, mentre si continua a fare una gran confusione tra essere umano e persona, si invoca la vita pensando che abbia un qualche significato univoco e universale (forse ce l’ha, ma non di certo nel senso che loro vorrebbero), mentre ci si affanna a vietare tutto il possibile, la Gran Bretagna ha messo a punto una nuova tecnica per analizzare le condizioni dell’embrione prodotto in vitro.
Il nuovo test (Procreazione: GB nuovo test rapido per difetti embrioni, Cybermed, 19 giugno 2006):

aumenta le possibilità di avere un bambino sano, e usa una tecnica che osserva l’intero dna di una cellula invece che cercare il possibile gene difettoso. Oltretutto così facendo, si possono individuare diverse malattie, invece che una sola. Gli scienziati britannici comunicheranno della loro scoperta a una conferenza a Praga, spiegando dei risultati positivi ottenuti con cinque coppie ora in attesa. L’équipe opera al Guy’s Hospital di Londra. Il metodo è stato chiamato Pgh (Pre-implantation genetic haplotyping), mentre quello attualmente in uso (che ha una possibilità del 50% di vedere i difetti genetici), è chiamato Pgd (Pre-implantation genetic diagnosis). Con il Pgh si testano genitori e parenti che siano portatori di un difetto genetico, per identificare le parti difettose del dna cromosomico. Poi si prende una cellula dall’embrione, trattarla in laboratorio in modo da creare più copie del genoma, e quindi cercare marker che indichino la presenza nell’embrione di due di queste parti o unità difettose, chiamate aplotipi.
Non ho intercettato (ancora) reazioni alla notizia. Ma senza dubbio in Italia sarebbero in molti a condannare senza appello il perfezionamento di una tecnica omicida e perversa; di quella tecnica di selezione embrionale che la legge 40 ha vietato a causa delle sue finalità eugenetiche. Dimenticando di controllare il significato di eugen(et)ica e dimenticando di prendere una posizione a proposito delle indagini prenatali che condividono con la diagnosi genetica di preimpianto finalità e premesse. Con la sola differenza che la scelta che la diagnosi di preimpianto offre alla donna è quella tra impiantare o non impiantare un embrione affetto da una patologia, e non quella tra portare avanti una gravidanza di un feto malato oppure di interrompere quella gravidanza.

Prima medici o prima cattolici?

Sembra giusta la seconda opzione leggendo il documento dell’Associazione dei Medici Cattolici (AMCI), forse sarebbe meglio ribattezzarla Associazione dei Cattolici Medici.
Si legge infatti nel documento 11 Regole nel Manifesto dei Medici Cattolici (Ansa, 16 giugno 2006):

Difesa della vita sempre e comunque, dalla vita dell’embrione, che è al concepimento, fino alla morte naturale. Quindi no a qualunque ipotesi di interruzione di questa vita: ribadiamo la nostra contrarietà alla legge 194, a qualunque altro strumento abortivo.
E ancora:
Diciamo no a qualunque ipotesi di eutanasia, e c’è qualche tentativo strisciante di introdurla attraverso il testamento biologico. Come medici cattolici sappiamo che che non ci dobbiamo accanire sui pazienti quando la vita invece si sta spegnendo, quindi diciamo no anche all’accanimento terapeutico.
Quando interrompere i trattamenti medici è in accordo con il rifiuto dell’accanimento terapeutico? Quando diventa eutanasia?
Forse è insensato fare domande sensate a chi antepone una ideologia alla scienza. E maltratta la morale trasformandola in dogma.

(Libertà, Davide Danti © 1999 Tempo Medico n. 622)

Caccia alle balene

Una nave giapponese cattura un cetaceo nel Pacifico. I sostenitori della riapertura della caccia alle balene hanno ottenuto una parziale vittoria domenica alla riunione annuale della International Whaling Commission in corso a Frigate Bay, sull’isola caraibica di St Kitts and Nevis. È stata votata infatti una risoluzione, non vincolante, con la quale si giudica “non più necessaria da questo momento in poi” la moratoria di 20 anni sulla caccia commerciale alle balene, in vigore dal 1986. I rappresentanti di 33 paesi hanno votato a favore della risoluzione, 32 contro, 1 si è astenuto. Per una vera e propria revoca della moratoria è necessario che la decisione venga assunta a maggioranza qualificata (75%) dai paesi membri. Il Giappone guida il fronte dei favorevoli alla ripresa della caccia commerciale alle balene. Senza avere conseguenze immediate, il voto di domenica costituisce comunque una vittoria politica importante per Tokyo.
Da: Il Corriere della Sera, 19 giugno 2006.

sabato 17 giugno 2006

Staminali embrionali: in vista la prima applicazione

La Geron, una casa farmaceutica californiana, ha annunciato pochi giorni fa che potrebbe iniziare già l’anno prossimo la sperimentazione clinica del primo trattamento medico a base di cellule staminali embrionali. Si tenterà di riparare i danni ai nervi della spina dorsale, derivando dalle staminali degli oligodendrociti, che rivestiranno di mielina le cellule danneggiate. Una delle difficoltà maggiori con le staminali embrionali è rappresentata dal pericolo di rigetto, che tuttavia con questo tipo particolare di cellule sembra essere meno importante («First embryonic stem cell trial on the cards», NewScientist.com, 17 giugno 2006). Per scongiurare del tutto il rischio bisognerebbe ricorrere alla clonazione terapeutica, in modo da ottenere cellule staminali interamente compatibili con i tessuti del paziente.

Aggiornamento: alcuni test avrebbero stabilito la non pericolosità del trapianto di oligodendrociti ricavati dalle staminali. Ho dedicato alla notizia un nuovo post.