domenica 21 gennaio 2007

Fatti, non valori!

C’è ben poco di nuovo nel Manifesto «Per il coraggio di vivere e di far vivere»: come dicevamo ieri, è il solito, vecchio tentativo demonizzatore di confondere la libertà di scelta dell’individuo con l’imposizione di valori da parte dello Stato – tentativo, come sempre, operato proprio da chi pretende di imporre a tutti i propri valori e la propria concezione del bene.
Fra i vari argomenti (o meglio, slogan) del Manifesto, soltanto uno merita un’analisi un po’ più approfondita, a causa della sua relativa novità: personalmente, l’ho sentito ripetere in alcune occasioni da Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che figura non a caso tra i firmatari del documento. Lo troviamo all’inizio del punto 6: «La morte è un fatto e non un diritto: per questa ragione non può essere oggetto di una scelta sostenuta dalla società civile».
L’affermazione suona convincente, ma basta rifletterci su per qualche minuto per accorgersi che è anche piuttosto ambigua: che la morte sia «un fatto e non un diritto» può significare molte cose differenti. Per capire meglio dobbiamo ricorrere a una versione precedente della stessa frase, che ritroviamo in una nota per la stampa dello stesso Pessina e di altri tre personaggi (due dei quali firmatari del Manifesto), diffusa l’anno scorso a proposito del caso Welby: «la morte, che inevitabilmente giunge per tutti, [è] un fatto, non un diritto o un valore» (corsivo mio). Sembra di capire che la morte non sia un diritto proprio in quanto giunge inevitabilmente per tutti: è un fatto ineluttabile, che non c’è bisogno sia garantito dalla volontà di qualcuno. In modo non troppo dissimile, in una sentenza della Corte di Cassazione (sezione lavoro, 2 marzo 2005, n. 4370) sull’applicazione degli scatti di anzianità a un lavoratore, si può affermare che «l’anzianità è un fatto, e non un diritto, e come tale non soggetto a prescrizione»; oppure, nell’opuscolo di un anarchico in esilio (Armando Borghi, Il tramonto di Bacunin?, Newark, NJ, L’Adunata dei Refrattari, 1939, p. 43), si rivendica orgogliosamente che «la libertà è un fatto e non un diritto scritto e nega ogni organo che la conceda».
Tutto vero; solo che in alcuni, disgraziatissimi casi, la morte non giunge abbastanza presto, ed è proprio allora che la si invoca come diritto. Che sia un fatto ineluttabile non interessa, e non si riesce assolutamente a vedere come pretendano Pessina & Co. che questa banale verità possa negare un diritto. Non è possibile neppure postulare una totale divaricazione tra fatti e diritti: anche la vita personale è un fatto, che non dipende da concessioni giuridiche, eppure questo non vieta di parlare di diritto alla vita.
Immaginiamo di trovarci a letto, dopo una giornata faticosa, desiderosi solo di chiudere gli occhi, ma che una musica dal volume sufficiente a tenerci svegli provenga dal piano di sotto. Picchiamo una scarpa sul pavimento, ma quelli non sembrano accorgersene; allora, con una certa irritazione, indossiamo una vestaglia e scendiamo a protestare. Sulla soglia dell’altro appartamento ci accoglie però il professor Pessina, che prima ci accusa severamente di volere uno Stato che decida per tutti l’orario di andare a dormire, additandoci allo stesso tempo un suo collega che, reduce da una giornata faticosa come la nostra, riesce ancora benissimo a tenere gli occhi aperti; e poi ci informa che «il sonno, che inevitabilmente giunge per tutti, è un fatto, non un diritto o un valore», e che quindi di sospendere la musica non se ne parla proprio, se non – forse – quando fra una cinquantina di ore la sua prosecuzione potrà essere qualificata come accanimento stimolatorio. Voi cosa rispondereste al professor Pessina?

4 commenti:

Maurizio ha detto...

"La morte" è un fatto che avviene in ogni caso, quindi non ha bisogno di essere tutelata da un diritto.

Invece, "la morte in un preciso momento" non lo è, quindi ha bisogno di essere tutelata da un diritto.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Una sintesi molto efficace, ma io pensavo, per il mio piccolo casus fictus, a qualche espressione più vivace di dissenso... ;-)

Ivo Silvestro ha detto...

La sentenza della cassazione e l'opuscolo anarchico si riferiscono a fatti che vengono ostacolati o ritardati. Nel caso dell'eutanasia avviene il contrario: si vuole agevolare o comunque anticipare questo fatto.
In ogni caso, mi sembra che questo punto 6 altro non sia che una nuova versione del vecchio argomento sulla differenza tra naturale e artificiale... deludente, decisamente deludente.

Anonimo ha detto...

Beh, si potrebbe anche riflettere sul fatto che la morte non solo è un fatto, ma è anche un fatto negativo. Non è possibile paragonarla alla vita, alla libertà, al sonno. Nella morte l'elemento della negatività è evidentissimo (o almeno affermarlo non è così banale). Ecco una espressione, forse non tanto vivace, di dissenso....:-)