In un post di qualche giorno fa, Marcoz avanzava delle considerazioni molto ragionevoli «sull’ipotesi di addebitare, totalmente o in parte, le spese mediche a chi si causa deliberatamente un danno o una patologia, invece di far pesare indiscriminatamente l’onere sul sistema sanitario nazionale» («Chi è causa del suo male paghi se stesso?», Ilfinegiustificailme, 9 gennaio 2007):
Sono convinto che sia pressoché impossibile riuscire ad applicare equamente un tale principio a trecentosessanta gradi, soprattutto quando le patologie sono la conseguenza di disagi psichici (abuso di alcool, droghe, ecc.).La proposta è assolutamente ragionevole, una volta accertato che sia implementabile facilmente (cioè che sia possibile distinguere con sicurezza i traumi provocati dall’assenza della cintura o del casco): libertà per ciascuno di assumersi i rischi che vuole e di essere padrone del proprio corpo, senza intromissioni paternalistiche dello Stato ma anche senza far ricadere gli oneri su terzi. Impeccabile da un punto di vista liberale – e per ciò stesso improponibile in questo (e non solo in questo) paese.
Ma in alcuni casi penso sia possibile e ho portato l’esempio dell’uso della cintura di sicurezza in auto. O del casco in moto, se volete.
Sostanzialmente sono contrario all’obbligo della cintura di sicurezza (escludendo i minori), salvo che chi decide di non indossarla deve rispondere economicamente di tutti i danni alla propria persona riconducibili al mancato uso. Non vedo perché la comunità debba accollarsi la spesa di svariati giorni di prognosi riservata (se non peggio) magari quando si può ridurre il tutto a contenute cure ambulatoriali solo con un semplice gesto.
Se a qualcuno piace spiaccicarsi contro il parabrezza faccia pure, non ho nulla in contrario. Soltanto dovrebbe farlo a proprie spese.
7 commenti:
O perbacco, che sorpresa! Grazie…
Mi sa che dovrò presto valutare i danni arrecati a terzi dal mio ego gonfiato, ormai, a dismisura.
Un saluto
Sono anch'io dell'idea che la proposta sia, in linea di principio, ragionevole, ma gli inconvenienti che la sua applicazione pone sono, a mio avviso, insuperabili quando l'assistenza sanitaria è sostanzialmente pubblica e disponibile gratuitamente (o, meglio, pagata da tutti i contribuenti). Non se ne esce. Accettare il principio significa accettare che lo Stato o chi per esso abbia il diritto di giudicare e ammettere o meno come lecite le scelte di vita di ciascuno. Diverso se invece il sistema fosse impostato su assicurazioni sanitarie private allora tutto cambia, superfluo spiegarne il motivo.
Per finire 'complimenti per il blog', davvero meritati.
Non sarebbe ancora più liberale dare a ciascun individuo una certa cifra di denaro da spendere, per spese sanitarie e nell'intero arco della propria vita, come meglio crede.
Sarebbe una applicazione completa dell'idea base della proposta di Marcoz (ognuno di assume le responsabilità, anche economiche, dei propri comportamenti) senza i vari problemi di applicazione (come determinare a quanto ammontano le spese aggiuntive perché sei un fumatore e non indossavi la cintura, e se ti rompi una gamba mentre sci? Anche quello è un comportamento volontario: potevi stare a casa e avevi la gamba intera, eccetera)
Anonimo: grazie per i complimenti!
A me pare che sia la situazione attuale che implichi "accettare che lo Stato o chi per esso abbia il diritto di giudicare e ammettere o meno come lecite le scelte di vita di ciascuno", visto che alcune scelte di vita – come andare in giro senza casco – sono proibite e sanzionate. Far pagare le spese a chi si è rotta la testa perché ha preferito godersi l'aria sul viso non significa dichiarare questo comportamento illecito, ma solamente riconoscere che è un comportamento volontario e non obbligato, e che le spese non debbono pertanto essere addebitate alla collettività.
Ivo: purtroppo la maggior parte delle spese mediche non dipendono dalla volontà dell'individuo. Se do una cifra fissa a tutti finirò per discriminare chi ha la salute malferma.
Si può tranquillamente prevedere un tetto molto alto, in grado di coprire anche i trattamenti più dispendiosi: non è obbligatorio spendere tutto (e sarebbe anche stupido: chi spenderebbe tutto il credito per delle liposuzioni rischiando di dover pagare per curarsi un tumore).
Esaurito il credito, la persona pagherà di tasca sua (a meno che non sia indigente, è ovvio).
Mi sembra un riforma più fattibile dell'idea di marcoz, senza nulla togliere alla sua idea.
Qui si possono trovare alcune idee secondo me da non sottovalutare (non sono un economista, e quindi non posso giudicare appieno la loro validita):
http://www.newwelfare.org/?p=296&page=3
Non entro nel merito tecnico del dossier linkato da Ivo perchè anch'io non sono in grado di valutare l'efficacia del metodo esposto. Ma desidero fare una precisazione.
Quando ho fatto le mie considerazioni, non pensavo di discutere come predisporre e strutturare l'accumulo delle risorse ma, piuttosto, mi domandavo quale criterio potesse renderne giustificato l'uso nel momento del loro eventuale utilizzo. Eventuale.
Sì, perchè non ci troviamo di fronte a uno schema come quello previdenziale (io metto da parte soldi per usufruire domani - si spera! - di una pensione) ma a una necessità diversa: mettere a disposizione di tutti la propria quota di danaro nella speranza di averne bisogno il meno possibile e far sì che la persona più sfortunata possa essere curata al di là delle proprie singole possibilità economiche.
Sostanzialmente, il soldi che pago per smettere di lavorare a una certà età li sento miei, quelli che verso per la Sanità no. Anche se penso di averne tutto il diritto, con gli interessi, se necessario.
Non si tratta di valutare un sistema per la costituzione e il mantenimento di un sistema sanitario, ma di evitare uno spreco ingiustificato* di una risorsa comune che sarà ripartita in modo casuale; chi più, chi poco, chi (magari!) niente. Tanto il premio per non aver bisogno di cure garantite è proprio il fatto stesso di essere in buona salute, alla fine.
*Preciso che, facendo i dovuti rapporti, ritengo giustificato prestare cure a chi incorre in un incidente durante una rischiosa scalata alpinistica (purchè si sia allenato a dovere e abbia adottato tutte le misure di sicurezza del caso) non meno di chi sceglie come hobby il pacifico gioco degli scacchi e si fa male cadendo dalla sedia.
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