mercoledì 24 gennaio 2007

Informazione, Rai e libertà religiosa. Quale pluralismo?

L’articolo 3 del Testo Unico sulla Radiotelevisione afferma, tra i principi fondamentali, “l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale, nel rispetto delle libertà e dei diritti, garantiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali.”.
L’Atto di Indirizzo sul Pluralismo Informativo adottato dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza nel 1997, ed ancora in vigore, sotto la voce “Pluralismo etnico e religioso”, dispone che: “La presenza nel nostro Paese di etnie e di fedi diverse, sia autoctone che proprie di consistenti comunità extraeuropee rende ancor più importante l’impegno del servizio pubblico contro ogni forma di razzismo e a favore di atteggiamenti positivi. Va potenziato lo sforzo comunicativo teso a riconoscere e a valorizzare le diverse tradizioni religiose presenti nel nostro Paese e a favorire la reciproca conoscenza delle diverse culture.”

Una ricerca del Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva dimostra che lo spazio dedicato alle confessioni religiose nei telegiornali e nei programmi di approfondimento è ripartito in modo a dir poco disarmonico: dal 96 al 99% alla Chiesa cattolica; il restante agli altri (quasi esclusivamente esponenti ebraici e musulmani).
Insomma, più che garanzia del pluralismo religioso come principio fondamentale, la bussola sembra essere il fondamentalismo cattolico.
Solo per fare un esempio: il TG1 ha mandato in onda notizie sulla Chiesa cattolica per la durata di quasi 8 ore; tutti gli altri si sono spartiti meno di 6 minuti. E gli altri sono molti: Tavola Valdese, Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia, Chiesa Evangelica Luterana, Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno (firmatarie, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, dell’Intesa con la Repubblica Italiana); la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia; la Federazione delle Chiese Pentecostali; l’Unione Italiana Induista.
Questi “altri” hanno denunciato il mancato rispetto delle norme in materia di informazione da parte della Rai tra l’inizio del 2004 e la fine del 2006. E hanno presentato un esposto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per accertare le violazioni e per ripristinare una giusta proporzione. Mamma Rai non dovrebbe inciampare in simili favoritismi!

Ieri si è tenuta una conferenza stampa durante la quale sono stati presentati nel dettaglio i dati raccolti dal Centro d’Ascolto. I radicali hanno messo a disposizione i dati di monitoraggio (perché le istituzioni competenti o non si dotano di monitoraggio – Rai e Commissione di vigilanza – o li pubblicano con grave ritardo: l’Autorità è ferma al dicembre 2004).

TELEGIORNALI
• Il tempo complessivamente dedicato dai telegiornali all’informazione “religiosa” rispetto al totale dell’informazione è molto alto, e in aumento dal 2004 al 2006: nel 2006 il Tg1 ha dedicato all’informazione religiosa l’8,37% del tempo (era il 6% nel 2004); il Tg2 il 9% (era poco più del 5% nel 2004); il Tg3 il 6,3% (era il 4,3% nel 2004).
• La proporzione tra Chiesa cattolica e altre confessioni religiose è abnorme: alla Chiesa cattolica % dal 96 al 99%, agli altri dall’1 al 4% a seconda della testata.
• Quasi tutti gli interventi dei non cattolici sono di esponenti ebraici e musulmani.

PROGRAMMI DI APPROFONDIMENTO
Uno mattina (RaiUno); Giorni d’Europa (RaiUno); Speciale Tg1(RaiUno); La Vita in Diretta (RaiUno); Primo Piano (RaiTre).

• Dal 2004 al 2006, tutte le trasmissioni hanno dato accesso in maniera quantitativamente e qualitativamente rilevante a numerosi esponenti di confessioni religiose attraverso interventi direttamente in voce: Unomattina per oltre 25 ore; La Vita in diretta e Speciale Tg1 per oltre 4 ore; Primo Piano per 3 ore e 32 minuti; Giorni d’Europa per 1 ora e 23 minuti.
• La sproporzione tra Chiesa cattolica e altre confessioni religiose anche qui è abnorme: alla Chiesa cattolica percentuali dal 96 al 99%, agli altri dall’1 al 4% a seconda della testata
• Primo Piano, Giorni d’Europa, Speciale Tg1, La Vita in diretta non hanno MAI (!) dato accesso dal 2004 al 2006 agli esponenti delle confessioni religiose qui rappresentate; Uno mattina solo 2 volte.
• Giorni d’Europa (trasmissione dedicata alla politica nell’Unione europea) prevede addirittura una rubrica fissa di un prete, il cattolico Filippo Di Giacomo.

I temi trattati hanno avuto ad oggetto non solo aspetti di ordine religioso, ma molto spesso temi di attualità politica, sociale e culturale: dall’immigrazione alla guerra, dalla criminalità alla prostituzione, dalla fecondazione assistita all’eutanasia, dalla famiglia allo spettacolo.

Buona visione!

Aggiornamento: su segnalazione di restodelmondo rimando a un resoconto della conferenza da parte della Chiesa Evangelica Valdese.

3 commenti:

restodelmondo ha detto...

Un resoconto della conferenza a cura delle Notizie Evangeliche:
http://www.chiesavaldese.org/pages/archivi/index_commenti.php?id=427

Chiara Lalli ha detto...

Grazie per la segnalazione: ho inserito il link al loro comunicato.

Anonimo ha detto...

IL MURO DI VETRO.
L’Italia delle religioni. Primo rapporto 2009
A cura di Paolo Naso e Brunetto Salvarani, EMI, Bologna 2009

Recensione
di Laura Tussi

Il muro di vetro è una fragile osmosi che divide le molteplici realtà, i pluralismi religiosi, composti di intersezioni e persino di familiarità ricorrenti, ma che non permettono il contatto e la relazione reciproca diretta, anche se sussistono eccezioni, perché tutti i muri innalzati dall'umanità e dalle conseguenti ideologie presentano fratture e pertugi che consentono a volte scambi e contaminazioni dialogiche, in un panorama ampio di multiculturalità religiosa sempre più significativo anche a livello nazionale, nell'incontro religioso e nel dialogo ecumenico.
La differenza è uno dei principi della cultura postmoderna, che insiste sulla diversificazione, sulla molteplicità e la complessità, contro i rischi della pianificazione e dell'omologazione sociale.
La finalità di riconoscersi in un'identità deve diventare sempre fonte di confronto con l'alterità, l'altro da sè e quindi con l'implicita diversità che l'identità altrui presenta, nel concetto di differenza individuale, soggettiva, esistenziale e, per esteso, di varietà interetnica e multiculturale.
La conoscenza di sé attraverso il percorso religioso di autoriflessione, di autonarrazione, di racconto di sé, permette di identificare ed approfondire una propria personalità in rapporto all'alterità di colui che si pone in dialogo.
Di conseguenza le molteplicità religiose, le complessità interetniche e multiculturali si incontrano e si incrociano trasversalmente con le diversità religiose, psicologiche, identitarie, soggettive, di genere ed intergenerazionali in un pluriverso di alterità sociali, all'interno di un tessuto sociocomunitario che dovrebbe sempre più aprirsi all'accoglienza, al confronto, al dialogo, nell'interscambio tra molteplici aspetti che permeano l'intera umanità e che non si possono classificare e attribuire esclusivamente al concetto di razza ed etnia, perché la differenza è ubiquitaria e trasversale al concetto stesso di umanità.
La considerazione e il riconoscimento dell'altro da sé permettono il reciproco confronto e la gestione educativa del conflitto dove spesso l'intesa e l'accordo si prospettano come una lontana utopia.
Il concetto di diversità sollecita riflessioni e associazioni di idee varie e complesse, dal dibattito sulle opinioni della democrazia, ai contesti e agli scenari economici e sociali.
Risulta spontaneo pensare alle diversità tra donna e uomo, tra generazioni, tra nazionalità, lingue e religioni dove è necessaria un'innovativa grammatica mentale per costruire la convivenza planetaria in dimensione interculturale.
Infrangere la discriminazione, lo stereotipo e il pregiudizio, rappresentati dal “muro di vetro” consiste nella motivazione alla solidarietà, alla realizzazione di una società che abbia come valore fondante la pace e la convivenza civile tra popoli, genti e minoranze, nel rispetto dei diritti universali e sociali di cittadinanza multietnica, cosmopolita e internazionale, sanciti dalla carta costituzionale democratica.
Oltre “il muro di vetro” vi è un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte all'accoglienza, al dialogo, al cambiamento rivoluzionario, al progresso costruttivo, senza stereotipi, pregiudizi e conseguenti discriminazioni, nel rispetto delle culture altre, nella coesistenza pacifica che agevola il confronto tra diversità interculturali e differenze di genere ed intergenerazionali, per costruire una coscienza di convivenza civile che ponga come obiettivo prioritario la conoscenza, il dialogo, l’ accoglienza, il confronto nelle comunità, nelle città, nel mondo…per un'utopia della convivenza realizzabile a partire da ogni singola persona, nel contesto quotidiano, nella partecipazione collettiva, pluralista e democratica.

Laura Tussi