lunedì 22 gennaio 2007

“Il futuro è passato di qui” (e il presente?)

Mi era sfuggito, ma qualche mese fa l’Università di Roma “La Sapienza” ha cambiato nome e logo. Senza dubbio un cambiamento che migliorerà le condizioni di studio e la qualità didattica dell’ateneo...
E lo slogan è davvero emozionante: “Il futuro è passato di qui”.
Soltanto il progetto di nuova “identità visiva” (“finalizzato a far coincidere la missione e i valori con la rappresentazione esterna dell’Ateneo”, si legge nel comunicato stampa del 28 settembre 2006; attenzione!, lì c’è ancora il vecchio e pagano logo) è costato 186mila euro (questo non c’era scritto nel comunicato, ma su l’Espresso di questa settimana). Non sono in grado di quantificare i costi per il rinnovamento di: carta intestata, moduli, modelli prestampati, diplomi, cartelloni...
Secondo Renato Guarini che è il Magnifico Rettore si tratta di “una sfida di innovazione e creatività che si inserisce nel più vasto programma di rilancio avviato negli ultimi due anni”.
E ancora: “rappresenta un passaggio fondamentale, necessario per riposizionare la Sapienza nella knowledge society e per garantirne l’unicità, anche in vista del prossimo decollo operativo degli atenei federati. La nuova identità visiva permetterà inoltre di sottolineare il legame storico dell’Ateneo con la Città di Roma e la vocazione di quest’ultima a divenire sempre di più Città del sapere”. (Non andava bene la Minerva come simbolo del sapere? Meglio il celestiale cherubino, aggiunge qualcosa di sacro che non ci sta mai male!).
“La nuova identità della Sapienza vuol essere la testimonianza visibile del dialogo profondo tra memoria e futuro, il racconto di un’idea nuova di università. Una università autonoma e libera, che partecipa alla comunità scientifica internazionale come istituzione di eccellenza e di qualità nella formazione e nella ricerca ed è al centro dello sviluppo dell’economia della conoscenza della Città, del territorio e del Paese”.

Chissà se cambiare logo e nome basterà. O sarebbe meglio intervenire sui criteri di selezione e valutazione? O sull’età media di quanti vincono un concorso da ricercatori guadagnando meno di mille euro al mese?
No, questi sono problemi secondari. Meglio affidare anima e corpo al cherubino oro e porpora.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

...buttiamo dentro anche il fatto che bisogna inseguire docenti per mezzo ateneo per ottenere una succida firma, le segreterie ti ignorano, le questioni burocratiche si accavallano, non c'è abbastanza spazio per tutti perciò se arrivi in tempo ti siedi altrimenti ti accampi in corridoio, il primo giorno di lezione l'anno scorso abbiamo dovuto prendere la porta dell'aula a spallate perchè qualcuno aveva dimenticato di aprirla.

Hey, però l'anno che ho passato lì ho imparato a miscelare la tequila bum bum con una mano sola, anche quelle sono esperienze di vita.

Anonimo ha detto...

Si possono avere diverse opinioni sulla nuova identità visiva della Sapienza. Credo sia legittimo anche sostenere che mettere in “ordine” l’immagine, e quindi l’identità, dell’univesità più grande d’europa sia un modo (naturalmente non l’unico) per affrontare i problemi dell’ateneo. Quello che non capisco è cosa c'entra la laicità della Minerva con la sacralità del cherubino. In un mondo di teo-con/dem e atei devoti la Sapienza si e’ sempre distinta per la laicità del sapere: dialogo con il mondo musulmano, laurea a Dario Fo, politica di integrazione europea…
A margine ricordo che il cherubino è sempre stato il logo dell’università (in questo i giornali hanno fatto un po’ di confusione).
Chi temesse la sparizione della Minerva si tranquilizzi… è ancora lì a sfidare gesti scaramantici e riabilitazioni della fascistissima architettura piacentiniana.