domenica 28 gennaio 2007

Il punto sulle staminali amniotiche

È sembrato, per un po’, che la vicenda delle staminali amniotiche (cellule indifferenziate che si trovano nel fluido in cui galleggia il feto durante la gravidanza, capaci di dare origine a un gran numero di tipi specializzati di cellule normali) dovesse seguire il copione già sperimentato l’anno scorso con la tecnica ideata da Robert Lanza per produrre staminali ‘etiche’. Ricordate? Il ricercatore americano aveva dimostrato come fosse possibile ottenere staminali da una singola cellula, prelevata entro i primissimi giorni dal concepimento senza distruggere l’embrione (come invece si fa attualmente, prelevando l’intera massa di cellule interne dell’embrione circa una settimana dopo il concepimento). All’inizio il plauso era stato generale; ma già dopo pochi giorni Lanza era il bersaglio di attacchi violentissimi. Fondamentalisti protestanti e integralisti cattolici (col consueto sostegno degli atei clericali) si erano infatti subito resi conto che la tecnica avrebbe ulteriormente legittimato la fecondazione in vitro (il prelievo della cellula deve avvenire in provetta), e soprattutto l’odiata (da loro) diagnosi genetica di preimpianto, che ricorre alle medesime modalità di prelievo usate da Lanza, per stabilire se gli embrioni sono affetti da gravi malattie genetiche. Nell’impossibilità di trovare pretesti validi, i fondamentalisti e i loro alleati avevano allora lanciato una campagna denigratoria senza scrupoli, in cui calunniosamente si faceva credere che il ricercatore americano non avesse raggiunto l’obiettivo dichiarato. Grazie all’inettitudine o all’indifferenza di gran parte dei media tradizionali, la menzogna aveva buon gioco a emarginare Lanza, i cui sforzi erano riusciti alla fine, paradossalmente, soltanto a legittimare le fisime ‘etiche’ dei suoi calunniatori.
Come dicevo, è parso per un attimo che con le staminali amniotiche dovessimo rivedere lo stesso copione. All’inizio, entusiasmo generale: ecco finalmente la via ‘etica’ alle staminali! Anche chi il giorno prima affermava convinto che si poteva fare tutto con le staminali adulte (multipotenti, cioè capaci di dare origine a pochi tipi cellulari), si trovava adesso a decantare i vantaggi delle staminali pluripotenti (capaci di originare tutti i tessuti umani, come le normali staminali embrionali e – ma vedi sotto – le nuove staminali amniotiche); e chi si lamentava dell’assenza, finora, dei risultati terapeutici delle embrionali (isolate peraltro solo nel 1998, e sempre gravemente osteggiate dai governi di mezzo mondo), era pronto a scommettere ad occhi chiusi su un risultato ancora in attesa di essere replicato dalla comunità scientifica. Poi, puntuale, il contraccolpo.
Le prime notizie appaiono sulla stampa italiana il 7 gennaio; ma già il 9 gennaio il Corriere della Sera dà conto dei primi ripensamenti (Elvira Serra, «Dalla Binetti alla Caporale, il fronte dei cattolici contrari», p. 11; Cinzia Caporale, arruolata a forza tra le file degli integralisti, si dissocerà il giorno dopo dalla sgradita e sgradevole compagnia in un’intervista a Radio Radicale):

Roberto Colombo, direttore del Laboratorio di biologia molecolare e genetica umana dell’Università Cattolica di Milano, lo sottolinea: «Il prelievo di liquido amniotico è una procedura che non esclude problemi deontologici, etici e medico-legali». E la senatrice della Margherita Paola Binetti chiarisce: «Siamo ancora ben lontani dal generalizzare questo metodo con disinvoltura, c’è moltissima strada da fare. Perché se un ostacolo è stato rimosso, e cioè quello di procurarsi le cellule staminali dall’embrione, comunque ne restano tanti altri».
Eh sì, perché il prelievo del liquido amniotico da cui vengono isolate le cellule staminali si usa anche per stabilire se il feto soffra di malformazioni genetiche come la sindrome di Down: di fatto, lo studio pubblicato afferma che sono stati impiegati campioni di riserva estratti proprio per effettuare amniocentesi, che sarebbero stati altrimenti distrutti (Paolo De Coppi et al., «Isolation of amniotic stem cell lines with potential for therapy», Nature Biotechnology 25, 2007, pp. 100-106, a p. 103). Ma l’amniocentesi viene effettuata nella grande maggioranza dei casi in vista di un possibile aborto terapeutico; come potrebbero i nostri integralisti condonare una simile tecnica, anche se «a fin di bene»? D’altro canto, sarebbe difficile anche ammettere un prelievo effettuato solo a scopo di ricerca: l’amniocentesi comporta un piccolo rischio di aborto spontaneo, e se ci si strappano le vesti perché – per esempio – la donazione di ovociti può provocare in rari casi danni alla salute delle donne, figuriamoci quando è in gioco la salute del feto (il prelievo si effettua tra la 16ª e la 20ª settimana dal concepimento). Sintetizza brutalmente questi umori un articolo di Stefano Lorenzetto sul GiornaleSe rischiare l’aborto diventa “routine”», 13 gennaio, pp. 1-2):
L’utilizzazione di un cucciolo d’orso per girare uno spot di McDonald’s a Bolzano ha provocato l’indignata reazione dei paladini della natura: «Aberrante usare un animale per la pubblicità». Avete mai letto qualcosa di analogo in difesa del cucciolo d’uomo? Non c’è proprio pace per questo esserino inerme, privo di numi tutelari. Fino a oggi gli hanno bucato il suo habitat naturale per accertarsi che abbia i cromosomi al posto giusto: in caso contrario lo sopprimono. Da domani la sua esistenza sarà in balia dei benefattori dell’umanità che dal sacco amniotico sono interessati a estrarre, più che vita nuova, materiale di ricambio per vite vecchie.
Insomma, la sorte delle staminali amniotiche sembrerebbe segnata; ma Anthony Atala, il direttore dello studio, conosce evidentemente la legge della giungla, e ha lasciato preventivamente un’esca appetitosa per i predatori. Sono tre righe scarse di testo, a p. 104:
Abbiamo isolato popolazioni simili di cellule staminali da biopsie prenatali di villi coriali e da biopsie della placenta ottenute al termine di gravidanze regolari.
Nell’originale:
We have isolated similar stem cell populations from prenatal chorionic villus biopsies and from placental biopsies obtained after full-term pregnancies.
Nessuna indicazione bibliografica; nessuna specificazione sul grado di «similarità» con le staminali amniotiche, né sull’abbondanza delle cellule trovate nella placenta; nessun accenno a questa parte della ricerca nella sezione dei metodi impiegati nello studio. Ma tanto basta; e per di più il primo firmatario dell’articolo per Nature, Paolo De Coppi, aggiunge un altro tocco in un’intervista sullo stesso numero e sulla stessa pagina del Corriere che ospita le critiche di Colombo e Binetti (Adriana Bazzi, «E il pediatra italiano della scoperta: in tanti negli Usa ci hanno osteggiato»):
abbiamo la sensazione che una parte della comunità scientifica, soprattutto negli Stati Uniti, tema un dirottamento di fondi dalla ricerca sulle cellule staminali derivate dall’embrione verso altri tipi di staminali, come appunto quelle ricavate dal liquido amniotico. E ha fatto di tutto per rallentare la pubblicazione dei nostri risultati.
Con la stessa disinvoltura con cui De Coppi passa dal congiuntivo («tema») all’indicativo («ha fatto di tutto»), le armate integraliste e ateo-clericali dismettono le perplessità. Per prima detta la linea Nicoletta Tiliacos del FoglioLe staminali etiche, le risorse per la ricerca e le critiche inaspettate», 11 gennaio, p. 2), che col supporto di Carlo Bellieni (che propone avventurosi prelievi del liquido amniotico al momento del parto: sperando che non si rompano prima le acque, immagino...) cerca di placare le ubbie cattoliche e di mettere in risalto le presunte incoerenze dei laici; linea perfezionata una settimana dopo dal duo Morresi-Roccella, che in due articoli fotocopia su AvvenireLe staminali amniotiche sgambettano i brevetti», «Se la ricerca non piace al business», 18 gennaio) sembrano immemori dei dubbi della Binetti e degli altri, e attribuiscono tutte le incertezze ai soliti interessi minacciati dei detentori di brevetti. La notizia – in cui non trovo nulla di scandaloso, beninteso – riportata dieci giorni prima dal Washington Post (Rick Weiss, «Scientists See Potential In Amniotic Stem Cells», 8 gennaio, p. A01), non giungerà mai e poi mai, c’è da scommettere, davanti ai casti occhi dei lettori di Avvenire:
I diritti brevettuali relativi alle cellule [del fluido amniotico] sono stati garantiti alla Plureon Corporation di Winston-Salem, una azienda privata nel cui consiglio di amministrazione siede Anthony Atala.
Nell’originale:
The rights to certain patent claims relating to the cells have been licensed to Plureon Corp. of Winston-Salem, a privately held company on whose board of directors Atala sits.
Per completare l’opera di ‘informazione’, un articolo di Enrico Negrotti («Brescia scopre un’altra miniera: la placenta»), a fianco di quello della Morresi, si sforza di accostare alle staminali amniotiche di Atala e De Coppi le cellule trovate (comunque meritoriamente) nella placenta da Ornella Parolini, direttrice del Centro «Eugenia Menni» (che prende il nome dalla madre generale delle Ancelle della Carità); cellule che però sono tutt’altra cosa, come chiaramente si evince dallo stesso articolo.

Ma lasciamo le meschinità della propaganda, e veniamo alla scienza. La scoperta è importante, e se verrà fuori che i suoi autori le hanno effettivamente aggiunto un po’ di sugo per aggirare l’opposizione degli integralisti, nessuno li potrà davvero biasimare. Con molto lavoro e molta fortuna, tra qualche anno potremmo avere una fonte di staminali pluripotenti, che non causano tumori, ricavate come prodotto collaterale dalle amniocentesi praticate per identificare i difetti genetici del feto. Le cellule in coltura raddoppiano di numero ogni 36 ore, e dopo 250 raddoppiamenti non mostrano segni di senescenza: non ci dovrebbero essere, dunque, problemi di scarsità. Perché, allora, continuare la ricerca sulle staminali embrionali? Le ragioni principali sono tre:
  1. Le staminali embrionali sono impiegate già oggi nella pratica medica (anche se di questo ci si dimentica facilmente): servono infatti per provare la non tossicità dei farmaci. Il loro abbandono immediato è totalmente fuori discussione.
  2. Non sappiamo ancora se le cellule amniotiche siano completamente pluripotenti, se, cioè, come abbiamo già visto, possano produrre effettivamente ogni tipo di tessuto umano: un requisito indispensabile per la futura medicina rigenerativa. Gli autori della ricerca sono esemplarmente chiari: «La gamma completa delle cellule somatiche adulte cui le staminali derivate dal liquido amniotico possono dare origine deve essere ancora determinata» («The full range of adult somatic cells to which AFS [Amniotic Fluid–derived Stem] cells can give rise remains to be determined», pp. 103-4). È una affermazione che chiude la questione, e che si sarebbe fortemente tentati di tatuare a mo’ di memorandum sulla fronte di chi vorrebbe prendere da questa ricerca solo ciò che gli conviene.
  3. I trapianti di staminali amniotiche, se saranno mai effettuati, saranno sicuramente a prova di rigetto solo per coloro da cui le cellule verranno estratte; il che escluderebbe da ogni beneficio terapeutico i sei miliardi e mezzo di esseri umani già partoriti. È vero che le amniotiche, che si trovano a stretto contatto con i tessuti materni per tutta la durata della gravidanza, potrebbero non causare reazioni particolarmente violente in un organismo estraneo (cfr. Alan Trounson, «A fluid means of stem cell generation», Nature Biotechnology 25, 2007, pp. 62-63); e che, come afferma Anthony Atala, «Se 100.000 donne donassero le loro cellule amniotiche a una banca, si raccoglierebbero tante cellule sufficientemente diverse geneticamente da provvedere in pratica tessuti immunologicamente compatibili per ciascun abitante degli Stati Uniti» (Rick Weiss, art. cit.). Ma non è chiaro fino a che punto si potrebbe fare a meno di farmaci immunosoppressori, come quelli che i trapiantati assumono ancora oggi. Nel dubbio, l’unico mezzo che finora sembra praticabile per ottenere tessuti a prova di rigetto, è il trasferimento nucleare (o clonazione terapeutica), con il quale si genera un embrione, geneticamente identico al paziente, da cui si estrarranno le staminali embrionali da trapiantare. In assenza di fatti nuovi, è questa la tecnica che si dovrà perseguire, e che sarà, in un modo o nell’altro, inevitabilmente perseguita.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

putroppo non si può pretendere che persone che si autoflagellano col cilicio (la Binetti) per provare l'Amore di Dio, possano retrocedere su queste problematiche. Come può una persona che odia il prorpio corpo tanto da flagellarlo avere una morale altruista e caritatevole?
Ormai il campo della riproduzione è loro. Ci hanno pisciato sopra come i cani quando demarcano il territorio.
L'hanno reso Sacro pisciandoci.

Anonimo ha detto...

Finalmente torni con uno dei tuoi articoli di informazione scientifica. Questo va letto e riletto, qua e là intravvedo un numero discreto di punti di divergenza, ma la ricerca sta evolvendo in modo positivo per tutti, secondo me. Non hai parlato della riprogrammazione delle staminali adulte, altra branca molto affascinante delle biotecnologie. Ma tornerai anche su quell'argomento, spero (un post, tempo fa, glielo dedicasti).

Anonimo ha detto...

in quanto biotecnologa tendo ad essere d'accordo su quasi tutto quanto è stato detto. vorrei fare una precisazione sull'ultima parte. Le cellule staminali amniotiche così come quelle da sangue cordonale hanno meno problemi di rigetto perchè i linfociti T si formano solo dopo la nascita. Da questo punto di vista quindi sarebbero necessarie molte meno terapie antirigetto. Il problema di queste cellule, come di quelle del cordone ombelicale, è che sono poche quindi non si può fare un trapianto in adulto; ma con le conoscenze attuali sono utilizzabili solo per i tumori infantili (che non è comunque poco).