venerdì 26 gennaio 2007

Compagna di merenda su internet

Riceviamo a proposito del post La menzogna della sindrome post-abortiva un commento al quale rispondo pubblicamente (o meglio, più pubblicamente che con un controcommento).

Anonimo scrive: Hai mai visto qualche donna dopo l’aborto? Hai mai conosciuto qualcuna che lo ha fatto? La tua compagna di merende su internet ha mai abortito? Io si e l’esperienza è allucinante prima, durante e dopo, con o senza i volontari prolife accanto. Quindi prima di dare sentenze, fatevi un giro in quelle corsie d’ospedale o nelle cliniche dove gli aborti non vengono solo nominati per fare sproloqui radical-chic, e dove vengono praticati con tutta quella disumanità di cui solo gli uomini son capaci (compresa me) e poi ne riparliamo.

Io rispondo: In quanto “compagna di merende su internet” mi sento in dovere di rispondere. E prima di entrare nel merito vorrei esprimere il mio disappunto nell’essere oggetto di cotale definizione. Se valesse l’occhio per occhio (ma dio mio, siamo cattolici mica protestanti o selvaggi!) inizierei così la mia risposta:
Cara furbetta del quartierino (io mi sono aggiornata con i tempi, e sono più moderna del compagno di merenda di paccianiana memoria), pensi di avere dimostrato alcunché con il tuo commento, a parte il fatto che PER TE sia stata una esperienza allucinante?
Non mal comprendermi: ci credo e rispetto il tuo vissuto (non dovrei avere nemmeno bisogno di esplicitarlo, ma meglio essere prudenti). Però non sarebbe forse opportuno dismettere la presunzione di far valere la propria esperienza come metro universale?
Non mi metto a fare lo scontro di esperienze a favore e contro la tua posizione, non mi interessa questo livello statistico di contesa. Dico soltanto che le esperienze possono essere diverse per molte, molte ragioni. E che è un errore piuttosto dannoso sostenere a priori e universalmente che una (meglio, qualsiasi) interruzione volontaria di gravidanza sia un trauma devastante e inestinguibile.
Farci un giro dove si praticano gli aborti? Questo è un altro punto che mi sorprende: dove credi che abbiamo vissuto finora, a Disneyland?
Se vuoi dimostrare una posizione (in questo caso che l’aborto è sempre e inevitabilmente una tragedia per la donna) dovresti sforzarti di cercare argomenti razionali e non urlare emozioni private e soggettive. Scambiate per prove inconfutabili.
E per finire: puoi non essere d’accordo, anche su tutto quello che scriviamo, ovviamente. Ma dovresti avere l’onestà di non attribuirci una abitudine diffusa ma errata: sputare sentenze. Qui non ci sono sentenze, ma opinioni sostenute da argomenti. Confrontiamoci su questi.

18 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma fateci il piacere di smetterla con questa manfrina!
Il post oggetto del mio commento si intitola 'la menzogna della sindrome postabortiva' e già il titolo si preannuncia come una sentenza.
Ci sono una miriade di studi, non necessariamente strumentalizzati e veicolati dai movimenti prolife, che si occupano da decenni di questa sindrome che voi definite 'menzogna' o 'invenzione'.. e poi sono io quella che fa passare un suo pensiero per verità assoluta!!
Dal post del tuo amico non si evince un solo 'argomento razionale' a sostegno dell'ipotesi contraria alla sindrome postabortiva, quindi il riferimento al vissuto mio personale si può giustificare con un livello generale di discussione
basso e non suffragato da elementi scientifici.
Quando vuoi - e se ti interessa (ne dubito)- ti fornisco le dritte giuste per confrontarti (o per scontrarti) anche con argomenti diversi e 'razionali' come li chiami tu e allora vedremo se le sentenze si tramuteranno in opinioni e viceversa.
A presto

Chiara Lalli ha detto...

Quando vuoi. Non dubitarne ed invia tutto quello che ti sembra utile. Lo leggerò con interesse.

Chiara Lalli ha detto...

Dimenticavo: quale manfrina?

Giuseppe Regalzi ha detto...

Veramente gli argomenti razionali (e gli elementi scientifici) a sostegno dell'ipotesi contraria alla sindrome postabortiva occupano più della metà della lunghezza complessiva del mio post (42 righe su 80, da qui): saranno anche contestabili, ma non capisco come fai a dire che non ci sono per niente... Forse ti sono sfuggiti per il fatto che il testo è in inglese? Purtroppo non abbiamo sempre il tempo per tradurre lunghi brani, e questo – ce ne rendiamo conto e ci dispiace – può provocare difficoltà alle persone che non sanno la lingua. Se il problema è effettivamente questo, sono sicuro che riuscirai a trovare qualcuno che ti aiuterà (è un testo molto semplice), dopodiché potrai continuare la discussione con piena cognizione di causa.

Anonimo ha detto...

Per l'inglese non c'è problema!
Tu invece come sei messo?
Prova un pò a tradurre questo:

(trattasi di un articolo pubblicato su 'BMC Medicine' nel 2005 - lavoro scientifico condotto da Anne Nordal Broen, Torbjorn Moum, Anne Sejersted Bodtker e Oivind Ekeberg del Department of Behavioral Sciences, Institute of Basic Sciences in Medicine, University of Oslo e del Department of Obstetrics and Gynecology, Buskerud Hospital, Norway)


The course of mental health after miscarriage and induced abortion: a longitudinal, five-year follow-up study

Miscarriage and induced abortion are life events that can potentially cause mental distress. The objective of this study was to determine whether there are differences in the patterns of normalization of mental health scores after these two pregnancy termination events.

Methods

Forty women who experienced miscarriages and 80 women who underwent abortions at the main hospital of Buskerud County in Norway were interviewed. All subjects completed the following questionnaires 10 days (T1), six months (T2), two years (T3) and five years (T4) after the pregnancy termination: Impact of Event Scale (IES), Quality of Life, Hospital Anxiety and Depression Scale (HADS), and another addressing their feelings about the pregnancy termination. Differential changes in mean scores were determined by analysis of covariance (ANCOVA) and inter-group differences were assessed by ordinary least squares methods.

Results

Women who had experienced a miscarriage had more mental distress at 10 days and six months after the pregnancy termination than women who had undergone an abortion. However, women who had had a miscarriage exhibited significantly quicker improvement on IES scores for avoidance, grief, loss, guilt and anger throughout the observation period. Women who experienced induced abortion had significantly greater IES scores for avoidance and for the feelings of guilt, shame and relief than the miscarriage group at two and five years after the pregnancy termination (IES avoidance means: 3.2 vs 9.3 at T3, respectively, p < 0.001; 1.5 vs 8.3 at T4, respectively, p < 0.001). Compared with the general population, women who had undergone induced abortion had significantly higher HADS anxiety scores at all four interviews (p < 0.01 to p < 0.001), while women who had had a miscarriage had significantly higher anxiety scores only at T1 (p < 0.01).

Conclusion

The course of psychological responses to miscarriage and abortion differed during the five-year period after the event. Women who had undergone an abortion exhibited higher scores during the follow-up period for some outcomes. The difference in the courses of responses may partly result from the different characteristics of the two pregnancy termination events.



P.S. se vuoi continuo o sei già fuso?

Anonimo ha detto...

Se poi vuoi approfondire l'argomento ti invito a leggere l'articolo 'A comparison of medical and surgical termination of pregnancy: choice, emotional impact and satisfaction with care'
di Slade P, Heke S, Fletcher J, Stewart P. del Department of Psychology, University of Sheffield and Northern General Hospital, Western Bank, UK o ne hai abbastanza?

Anonimo ha detto...

Se poi vuoi approfondire l'argomento ti invito a leggere l'articolo 'A comparison of medical and surgical termination of pregnancy: choice, emotional impact and satisfaction with care'
di Slade P, Heke S, Fletcher J, Stewart P. del Department of Psychology, University of Sheffield and Northern General Hospital, Western Bank, UK o ne hai abbastanza?

Anonimo ha detto...

Per non parlare degli studi dell’Harvard Medical School, coordinati da W. Worden, iniziati nel 1987, degli studi dell’Association for interdisciplinary research in values and social change di Denver (Colorado Usa), degli studi dell’University of Notre Dame di August (Minnesota, Usa), della Commissione di studio sulle conseguenze dell’Ivg del ministero della sanità inglese.

Ancora convinti di comunicare con la 'furbettina del quartierino'?

Anonimo ha detto...

ah dimenticavo!
Se la SPA non esiste, mi spiegate perchè all’lnstitute of Pregnancy Loss and Child Abuse Research and Recovery (IPLCARR), situato in Canada e diretto dallo psichiatra professor Philip Ney, si formano specialisti preparati in tecniche di aiuto psicologico e in particolare a evitare le trappole di rimozione nelle donne che hanno affrontato un aborto?

Anonimo ha detto...

che dire? In quell'istituto canadese studiano tanti CASI PARTICOLARI!!!!;)

Un lettore divertito

Anonimo ha detto...

Io non capisco di scienza ma sono sicuro che l'aborto sia un trauma. L'ho già detto tante volte e ho solo ricevuto risposte ironiche.
Sono contento di trovare tanti riferimenti e la conferma delle mie idee.

Marco

Giuseppe Regalzi ha detto...

Cara Anonima, alla tua ultima domanda si potrebbero dare tante di quelle risposte che non so proprio perché me la poni. Qualcuno potrebbe trovare significativo che qualche anno fa il dr. Ney abbia tenuto un corso di formazione nella casa di preghiera "Domus pacis" a Medjugorje, per esempio...

Veniamo a cose più serie. Il primo articolo è estremamente prudente, e neppure menziona la Post Abortion Syndrome. Gli autori ammettono onestamente i limiti della loro ricerca: «In our study, aborting women had somewhat higher (although non-significant) levels of anxiety than miscarrying women. This finding may imply that induced abortion resulted in more anxiety than miscarriage. However, the mental health of aborting women was poorer (almost statistically significantly) than that of miscarrying women prior to the pregnancy termination event. Therefore, we cannot infer that induced abortion caused the elevated anxiety of the induced abortion group relative to that of the miscarriage group»; «Other mental health outcomes, such as depression, trauma responses, quality of life and feelings, may likewise be poorer for women in the induced abortion group because of their mental health status before the abortion»; «An explanation for the unusual and divergent courses of the IES scores in the induced abortion group is not obvious, but may result from the characteristics of the abortion event»; «Classification as a "case" according to the IES indicates that the person suffers from some degree of mental distress, although it does not mean she is suffering from PTSD»; «we cannot exclude possible bias due to (unmeasured) differences in mental health between the two pregnancy termination groups before the event»; «the women in the induced abortion group had more atypical responses. This may be because the mental health of the aborting women was somewhat poorer than that of the miscarrying women before the pregnancy termination event» (corsivi miei). Il problema è sempre lo stesso: l'impossibilità di misurare lo stato mentale delle donne prima dell'aborto, procurato o spontaneo che fosse, falsa inevitabilmente i risultati. (Interessante notare che uno degli effetti psicologici più netti è la sensazione di sollievo di chi abortisce: «Women who had had an induced abortion had high scores for relief throughout the study period. This indicates that their situation shortly before the abortion was experienced as very difficult and stressful. Other studies confirm this observation of relief after an induced abortion».)

Più in generale, che uno studio scopra che dopo un aborto volontario alcune donne stanno peggio della media della popolazione generale e della media di altre donne che hanno avuto un aborto spontaneo, non si può dire che presenti una grandissima novità, visto che non sempre si tratta di gravidanze propriamente indesiderate (l'articolo non tocca minimamente questo aspetto). E bisogna prendere in considerazione anche gli aspetti culturali, come fanno onestamente gli autori, citando con approvazione un'altra ricerca: «This study indicates that cultural differences influence psychological responses to induced abortion». Non ci vuole in effetti molta scienza per capire che alcune conseguenze negative dell'aborto sono causate da un ambiente sociale in cui la religione gioca un ruolo pesante, e dal conseguente stigma che colpisce chi abortisce.

Prima di passare agli altri studi che mi hai indicato, reciprocità vuole che sia tu ad esaminare e a criticare (civilmente, come ho fatto io qui) uno degli studi elencati dal Times... ;-)

Anonimo ha detto...

Scusa ma non vorrai offendere la mia intelligenza?!
Contrapporre l'articolo del Times scritto da Emily Bazelon, semplice editorialista dello Slate, con articoli scientifici e specialistici mi sembra un pò riduttivo!
A meno che tu non mi voglia far credere che al Times i giornalisti si sono trasformati in anime candide e pure, paladini dell'obiettività, soprattutto quando si tratta di difendere certe posizioni pro-choice con le unghie e con i denti.
Suvvia un pò di serietà!
Per ciò che riguarda l'ultima domanda la tua risposta non è pertinente sa di 'grattatina' sugli specchi!!!

Giuseppe Regalzi ha detto...

Io veramente ho detto «esaminare e criticare uno degli studi elencati dal Times», non «lo studio del Times»; e non offenderò la tua intelligenza spiegandoti la differenza tra le due frasi. Per tua comodità, le ricerche citate dalla Bazelon sono queste.

Anonimo ha detto...

'Esaminare gli studi' senza le fonti originali, fidandosi ciecamente di ciò che dice la Bazelon...continuo ad essere convinta che la tua è l'ennesima sberla alla mia ed altrui intelligenza!!
Per tua informazione, ho fatto un giretto sul sito dell'AMA e non c'è traccia dello studio della Stotland.
Saresti così gentile da fornirmene il link giusto o intendi avvalerti ancora del principio dell'ipse dixit?

Anonimo ha detto...

del resto al times ci sono abituati alle bufale come quella delle 'single in maggioranza'

Giuseppe Regalzi ha detto...

Io ti ho chiesto di «esaminare e criticare uno degli studi elencati dal Times». Non capisco come tu possa interpretare queste parole nel senso di «'Esaminare gli studi' senza le fonti originali, fidandosi ciecamente di ciò che dice la Bazelon». Siccome affermi di sapere l'inglese, nel brano che ho riportato della Bazelon troverai anno e nome della rivista in cui lo studio è apparso. Il titolo te lo aggiungo io: «Psychological responses after abortion». Il link invece te lo cerchi, come ho fatto io con l'articolo che avevi segnalato tu.

Giuseppe Regalzi ha detto...

I commentatori anonimi sono pregati cortesemente di identificarsi – anche solo con un nickname. Gli autori di questo blog mettono il loro vero nome dietro alle loro idee, e anche se non possono pretendere che tutti facciano altrettanto, chiedono però il rispetto minimo di far capire agli altri con quali e quante persone hanno a che fare, senza dover andare a consultare gli stat con gli IP.