Grazie alla segnalazione di Leilani mi sono imbattuta in una intervista a Francesco D’Agostino (certo, due in uno stesso giorno potrebbero avere effetti dannosi) sulle coppie di fatto («Coppie di fatto, non c’è l’esigenza di una legge», Avvenire, famiglia on line, 5 gennaio 2007), in un inserto molto interessante sulla famiglia e in una vignetta che riporto evitando di commentare. Bel colpo!, tre in uno:
(Domanda) Sarebbe un paradosso. La scelta della convivenza, nella gran parte dei casi, è giustificata dagli stessi partner proprio come il rifiuto di un vincolo esterno alla coppia. È anche vero però che – una parte almeno delle coppie di fatto – chiede una qualche forma di riconoscimento.Nello stesso speciale famiglia on line si può leggere il parere di Pietro Boffi (Il patto? Interesserebbe non più di 10mila coppie). Dopo una lunga ricostruzione di dati e numeri e percentuali la risposta alla domanda del titolo è più o meno la seguente:
(Risposta di Francesco D’Agostino) Appunto. Ma se – come vorrebbero i sostenitori dei progetti di legge – si intende tutelare solo quei conviventi che chiedono di essere registrati come tali, allora esiste già un istituto che risponde assai efficacemente a queste esigenze: il matrimonio. Ne discende una domanda fondamentale: perché queste coppie di fatto intendono rinunciare volontariamente al matrimonio ma vorrebbero accedere a un pacs, o comunque a un qualche “patto di convivenza”? Non sarà perché il matrimonio pone degli obblighi, accanto al riconoscimento di diritti, mentre attraverso i pacs si pretende il riconoscimento di diritti senza corrispondenti doveri, senza obblighi? Se questa fosse la verità, occorrerebbe interrogarsi a fondo sul perché lo Stato dovrebbe tutelare delle coppie che pretendono diritti ma non vogliono assumersi doveri. Il patto di convivenza, infatti, si configura come un rapporto giuridico parassitario a carico della comunità.
Per riprendere la domanda iniziale, allora, le convivenze in Italia sono tante o sono poche? Abbiamo detto più sopra che coloro che pongono la questione della “tutela” delle coppie conviventi come una sorta di “emergenza nazionale”, normalmente si guardano bene dal fornire dati precisi e attendibili. Con una lodevole eccezione: il professor Massimo Livi Bacci, uno dei massimi demografi italiani, che pur essendo personalmente favorevole all’introduzione di un istituto simile ai Pacs francesi, ha avuto l’onestà intellettuale di riconoscere che «il numero di queste coppie, in Francia, si aggira sui 2,5 milioni, circa il quadruplo dell’Italia, dove un’indagine Istat nel 2002-03 ne ha stimate 564.000. È vero che la tendenza è alla crescita – all’inizio degli anni ’90 queste erano appena 200.000 – soprattutto nel Centro-nord e nelle grandi città, ma le dimensioni del fenomeno sono ancora modeste. Se si estendesse l’esperienza francese all’Italia, non più di 10-15.000 coppie farebbero ricorso al nuovo istituto nei primi anni».Sì, ma di grazia, che c’entra?
Sarebbe già qualcosa se, nel discutere delle implicazioni giuridiche, etiche e sociali delle proposte sul tappeto, non si ignorassero o non si distorcessero i dati reali del problema. Così, probabilmente, le cose riacquisterebbero il loro giusto peso e il loro vero valore.
Anche se fossero soltanto in 2 a chiedere il riconoscimento di un Pacs che cosa ne seguirebbe? Che sono 2 sfigati (=pochi) e che quindi è legittimo ignorare la richiesta? Il numero dei richiedenti non è un buon motivo per negare o concedere qualcosa. Condannare i Pacs (così come condannare qualsiasi richiesta) non ha niente a che fare con i numeri. Né dovrebbe averne con il dare i numeri.
5 commenti:
Allora il travaso di bile non l'ho avuto solo io a leggere queste cose :D
Mi permetterei d'aggiungere anche che la questione numerica è irrilevante anche perchè ci sono molte persone che non sono mai state interpellate a riguardo (non ricordo nessuna telefonata o telegramma che mi invitasse direttamente a esprimere le mie preferenze in un senso o nell'altro, perciò come fanno ad essere così sicuri della cifra dei richiedenti?) e che i pochi, confusi, dati che hanno i fautori della dittatura della maggioranza si basano su un'indagine di almeno quattro anni fa.
Quanto al discorso obblighi/diritti mi pare sia abbastanza evidente quanto questo sia il solito spauracchio apocalittico per portare la gente a temere la libertà altrui...
Vorrei che qualcuno mi spiegasse perché qualcuno che non vuole sposarsi poi chiede i Pacs. Io trovo che la domanda del Prof.D'Agostino sia giusta: volete soltanto le comodità ma non avete voglia di prendere un impegno?
Marco
Io, invece, vorrei che qualcuno mi spiegasse in quale modo possa essere interessante, per un individuo, il motivo per cui altri due individui decidono di non sposarsi e di fare i pacs. Ficcate il naso negli affari altrui, guardoni morbosi che non siete altro, e erogate giudizi non richiesti su questioni che non vi riguardano.
Semplice: perchè se anche non mi riconosco nell'istituzione matrimoniale attuale io mi occupo GIA' della persona con cui ho deciso di dividere la mia vita, amando, onorando e rispettando senza che mi sia imposto da un contratto ma perchè è quello che ho scelto di fare, non vedo perchè debba essere completamente priva di una tutela che non mi garantirebbe alcun beneficio se non quello di aiutarmi a compiere MEGLIO il mio dovere di compagna - preoccupandomi di ciò che sarà dell'altra persona se dovesse accadermi qualcosa o assicurandomi di poterle stare a fianco se qualcosa dovesse succedere a lei.
Il che dimostra che D'Agostino ha come unico interesse titillare le ansie di quelli che Alessandro qua sopra ha definito con una precisione splendida "morbosi guardoni".
Ho capito solo ora la vignetta. Mi chiedevo quando anche l'Avvenire si sarebbe unito alla Padania nella "difesa della razza italica".
Resto di ghiaccio.
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