sabato 23 dicembre 2006

Stefano Lorenzetto, giornalista

«È nella prova suprema che vengono fuori la verità e il coraggio d’un uomo»: così Stefano Lorenzetto sul Giornale di oggi a proposito degli ultimi istanti di Piergiorgio Welby («Nessun rispetto nemmeno per la sua volontà», 23 dicembre 2006). Come dargli torto? Anzi, le vicende tragiche fungono da pietra di paragone: provano il valore non solo di chi ne è protagonista, ma anche di chi a qualsiasi titolo se ne occupa.
Per esempio, come se ne occupa Stefano Lorenzetto? Ecco la sua ricostruzione dei fatti:

Welby ha ordinato al medico: staccami prima di tutto il respiratore automatico, e solo dopo somministrami i farmaci per combattere il dolore. … Ma il dottor Mario Riccio, l’anestesista arrivato da Cremona per dargli la morte, non ha voluto accontentarlo. «Era improponibile dal punto di vista deontologico e giuridico, avrebbe sofferto troppo», s’è giustificato.
La moglie Mina ha dichiarato che suo marito aveva il terrore di morire soffocato. A giudicare dalla richiesta posta al medico, si stenta persino a crederlo.
Ma qual era la ragione di questa richiesta rimasta inascoltata? Lorenzetto, fortunatamente, è in grado di spiegarcelo: «via il respiratore, e poi la sedazione, ha detto. Non viceversa. La tempistica non è affare di poco conto. Chissà quante volte ci avrà pensato e ripensato, nelle sue lunghe giornate di solitudine» (solitudine, certo: con quella moglie così poco affidabile, povero Welby...); «Stolti» (che stile gagliardo, eh?). «Ma non lo capite? Voleva mettere d’accordo tutti. Medici, carabinieri, giudici, politici, opinione pubblica. Pure la Chiesa, che non trova nulla da ridire sul fatto che il malato possa rifiutare cure sproporzionate, tali da prolungare soltanto un’agonia senza speranza» (strano: m’era parso il contrario, nel caso di Welby: non gli avevano rifiutato il funerale religioso? Ma forse se inviassimo al Vicariato l’editoriale di Lorenzetto...).
Welby, in questo ammirabile slancio irenistico, ci spiega Lorenzetto, era pronto dunque ad affrontare l’asfissia:
Staccami il respiratore, cioè fai cessare l’accanimento terapeutico, com’è nel mio diritto di persona pretendere. Poi, assistimi con le medicine appropriate per alleggerire l’inevitabile dolore che ne deriverà, impediscimi di diventare cianotico a causa dell’asfissia, tienimi la mano. Che credevate? È proprio per questo, mica per un intento persecutorio, che i malati di distrofia muscolare o di sclerosi laterale amiotrofica a un certo punto della loro malattia degenerativa vengono in fretta e furia intubati e restano attaccati per sempre a un ventilatore polmonare: per non farli soffocare.
Dopo questa fondamentale chiarificazione sullo scopo della ventilazione artificiale (che, ne sono sicuro placherà i dubbi angosciati di molti), Lorenzetto ci spiega cosa deve essere successo dopo la sedazione, con dovizia di particolari (che, meno virile di Lorenzetto, mi astengo dal riportare) appresi da «testimonianze dirette» di esecuzioni negli Usa (rese da amici comuni di Lorenzetto e dei condannati, forse?), e invita il dottor Riccio a «spiegarci quale sostanza ha provocato l’arresto cardiaco dopo 40 minuti di spasmi» (sono sicuro che Lorenzetto darebbe il buon esempio, e che non avrebbe difficoltà a spiegare di fronte a un giudice cosa lo spinge a dare per certo che l’arresto cardiaco sia stato causato da una «sostanza» e non dall’insufficienza respiratoria gravissima di cui Welby soffriva). E conclude Lorenzetto:
Non l’hanno accontentato. Strano. Di solito l’ultimo desiderio del condannato a morte viene sempre esaudito, non esiste carnefice al mondo che si sottragga all’obbligo di accendergli una sigaretta o servirgli un doppio cheeseburger con patatine. … Chissà perché i radicali, sempre tanto sensibili ai risvolti mediatici delle loro azioni – e, anzi, solo a quelli – stavolta non si sono portati al seguito neppure uno straccio di cronista che ci raccontasse questo tragico requiem.
In effetti, avrebbero potuto portarsi al seguito Lorenzetto, e magari anche una troupe televisiva; perché mai non l’avranno fatto? E perché si saranno rifiutati di dare retta a Welby, desideroso di riconciliarsi con la Chiesa?

Questa appassionata ricostruzione, e la ferma e civile denuncia che adombra, si basano sulla conferenza stampa tenuta all’indomani della morte di Welby. Non ricordavo le parole esatte del dottor Riccio, e così sono andato a risentire il passo in questione, che qui trascrivo (da 1:02:40 della registrazione):
Voglio chiarire con l’occasione che abbiamo concordato con il signor Welby anche in questo caso, ovviamente, che la sedazione iniziasse contestualmente al distacco. Chiarisco che l’ipotesi che si potesse iniziare la sedazione dopo il distacco mi sembrava deontologicamente e giuridicamente non perseguibile, perché questo voleva dire che il paziente doveva affrontare anche soltanto un minimo [di] difficoltà o sofferenza e su questo non ci sono dubbi. Io avrei iniziato la sedazione prima, molto prima del distacco; però il signor Welby – ma questi sono aspetti che sono nella famiglia, quindi saranno loro che lo diranno, se vorranno – aveva chiesto di poter stare il più possibile accanto ai suoi cari, alle persone che [sic] aveva scelto di stare. Per fare questo, abbiamo ritenuto opportuno che le due azioni avvenissero contemporaneamente. Ma anche su questo c’è molta serenità, perché quello che volevo chiarire è che il distacco del respiratore prima dell’inizio della sedazione era un’ipotesi ovviamente che Welby non avrebbe mai voluto percorrere, e che neanch’io avrei mai percorso. Mi sembra anche improponibile, dal punto di vista sicuramente deontologico, ma probabilmente anche giuridico.
«È nella prova suprema che vengono fuori la verità e il coraggio d’un uomo», e anche di un giornale. Cos’è, allora, Stefano Lorenzetto? E a cosa serve il Giornale? Lascio al lettore il giudizio sulla natura dell’uno e la funzione dell’altro; mi limito a suggerire che esse siano in una stretta, molto stretta, relazione metonimica.

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