venerdì 29 dicembre 2006

Eutanasia di un tiranno

Anche la condanna a morte di Saddam Hussein offre l’occasione per parlare di Piergiorgio Welby. Anche Magdi Allam (L’Italia unita per la vita di Saddam, Il Corriere della Sera, 29 dicembre 2006) si addentra nei meandri etici e nell’oscurità dell’animo umano.
Non voglio pronunciami sulla condanna a morte, non l’ho fatto finora per varie ragioni e non lo farò ora.
Ma sulle considerazioni di Allam.
Amara e verosimile quella iniziale: Saddam Hussein ha raccolto intorno a sé l’Italia quasi al completo, come una vecchia nonna circondata dai nipotini (“una rara opportunità, visto che i mondiali di calcio saranno tra 4 anni, di rinsaldare l’unità nazionale”). Continua Allam: “Non si era mai visto un fronte così ampio e compatto di italiani a difesa della sacralità della vita di Saddam”. La condanna della condanna a morte (mi perdonerete il pasticcio) di Hussein non è motivata dalla sacralità della vita, almeno non nella maggioranza dei casi. Ci sarà pure qualcuno che ricicla l’arma brandita in altre circostanze (legge 40, aborto, sperimentazione embrionale) nel caso di Hussein, ma non è senza dubbio la ragione principale. La pena di morte (e non la pena di morte per Saddam Hussein) è considerata una ‘soluzione’ inammissibile moralmente, una contraddizione rispetto all’intento riabilitativo e rieducativo dell’incarcerazione, oltre che un deterrente inutile.
Gli esempi che poi elenca Magdi Allam per dimostrare l’assurdità della difesa (esclusivamente indirizzata) al dittatore sono indubbiamente agghiaccianti, ma non centrano il bersaglio. Sono argomenti emotivi (e che senza dubbio colpiscono allo stomaco) ma non razionali, non pertinenti.
Perché difendere Hussein e non difendere le vittime predestinate dei burattinai del terrore? Perché non c’è stata nessuna manifestazione in occasione dell’assurda condanna dei 6 della Libia? Perché non ci si scompone quando “il regime saudita o quello iraniano che regolarmente danno in pasto alla loro gente lo spettacolo pubblico della decapitazione o impiccagione dei trasgressori della morale islamica?”.
Domande scomode e drammatiche, ma fuori tema. È un po’ come quando la maestra ci beccava a copiare e ci annullava il compito in classe, e la nostra difesa prendeva le sembianze di una rivendicazione che voleva cancellare la nostra responsabilità, a metà tra giustiziere e vittima: “ma anche lui copiava!”.
Ma l’analogia più sballata deve ancora arrivare e ha dell’incredibile, per fare uso di uno splendido eufemismo.

Se così fosse, come mai — passando in ambito strettamente etico — il valore supremo della sacralità della vita dovrebbe valere nel caso di Saddam, mentre viene violato nel caso di Piergiorgio Welby? Come è possibile che coloro che hanno immaginato che l’esistenza di una persona più che vitale potesse essere sacrificata per accreditare il diritto all’eutanasia, siano gli stessi che ora difendono il diritto alla vita di un tiranno che per 35 anni ha esercitato l’eutanasia forzata nei confronti di un milione di iracheni?
Welby e Hussein: a questo ancora non ci eravamo arrivati. Forse Allam si sarebbe potuto rispondere da solo. E la prima risposta sarebbe stata: beh, certo, una prima forse insignificante differenza si chiama volontà o libertà personale o autodeterminazione (Saddam non vuole morire e addirittura si dichiara un martire, Welby voleva morire). Un desiderio individuale contro una imposizione di Stato.
Poi forse, potrebbe continuare Allam, non mi sono informato a fondo sulle condizioni di Welby (che significa vitale, perché avrò scelto questo aggettivo? Sì certo, Welby è vivo, ma ha spiegato in modo semplice e inequivocabile la differenza tra vita biologica e vita intesa pienamente, tra sopravvivenza e vita, tra tortura e sofferenza). Infine, dovrebbe riflettere Allam, forse ho esagerato a parlare di sacrificio, mi sono lasciato prendere la mano. Ho giocato troppo con le parole: già sostenere che Welby sia stato strumentalizzato per affermare un diritto è discutibile, ma il sacrificio è davvero troppo.
Come è troppo l’eutanasia forzata: è già abbastanza confusa e sporcata la discussione sull’eutanasia, perché aggiungere altro fango? Eutanasia forzata. Certo suona bene (suonerà bene ma che c’entra?). E poi richiama la morte pietosa del nazionalsocialismo, fa proprio una bella figura in chiusura del mio articolo.

(Osceno, tutto questo è osceno – non mi servono altre parole).

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