lunedì 25 dicembre 2006

L’omelia natalizia di Bioetica

Il Comune di Luton, in Inghilterra, ha chiesto ai suoi cittadini di rinunciare ai festeggiamenti per Natale, che è stato rinominato «Luminos». La città di Birmingham ha deciso di cancellare il nome Natale dai suoi registri e rimpiazzarlo con quello «più corretto» di Winterval. Nel 70 per cento degli uffici del Regno Unito sono stati vietati gli addobbi per non turbare gli impiegati appartenenti ad altre confessioni. Bandite anche le opere di bene: un signore di Reading ha dovuto pagare una multa perché si era rifiutato di obbedire all’ordine del Comune di non accendere il suo grande display natalizio di fronte a una folla di consueti spettatori i quali, come ogni anno, avrebbero pagato un piccolo contributo che sarebbe poi stato devoluto in beneficenza.
Queste notizie angosciose dal fronte della guerra del Natale venivano annunciate dal quotidiano dei Vescovi, Avvenire, il 12 dicembre scorso («Natale, un estraneo in Europa?»); nello stesso numero dell’autorevole foglio, Marina Corradi traeva da questo infausto bollettino grami presagi sul destino della cristianità europea: «Londra ammaina il presepe per rispetto. E se fosse una scusa?»; e l’occhiello ammoniva gravemente: «Caso serio».
Peccato, veramente peccato che non sia vero niente, o quasi. A Luton non si festeggia nessun Luminos; cinque anni fa era stato organizzato un evento con questo nome alla fine di novembre, ma non aveva rimpiazzato i festeggiamenti natalizi, e da allora non è stato più ripetuto. A Birmingham il Natale non si chiama Winterval; questo era il nome attribuito nel 1997 e nel 1998 al periodo che va da novembre a gennaio, in un’iniziativa promozionale a favore del nuovo centro commerciale della città; a Natale, durante quello stesso periodo, il consiglio comunale era adornato da un gigantesto striscione che proclamava «Merry Christmas!» (come lo è anche quest’anno), e il sindaco aveva spedito la tradizionale cartolina con lo stesso augurio. La proibizione delle decorazioni natalizie nel 74% degli uffici aperti al pubblico risulta da un sondaggio in cui la domanda chiave era formulata in una maniera non proprio impeccabile: «Ammette di aver proibito le decorazioni natalizie per la preoccupazione di offendere altre fedi?» («Do you admit to banning Christmas decorations because you are worried about offending other faiths?»); uno si immagina il povero intervistato che non ha fatto mettere le decorazioni natalizie perché rappresentano un costo eccessivo, rendono l’ufficio meno professionale e/o rubano troppo tempo agli impiegati, e che invece di fare la figura del micragnoso decide di presentarsi in una più nobile veste a un intervistatore il cui tono si palesa bene in un’altra domanda: «È consapevole dell’obbligo di legge di celebrare tutte le religioni?» («Are you aware of your legal requirement to celebrate all faiths?») – obbligo che, però, non esiste nel Regno Unito. Quanto al signore di Reading, che si chiama Vic Moszczynski, il suo display quest’anno sta ancora lì; la multa gli era stata comminata perché con 20.000 luci e altoparlanti che sparavano musica sacra ad alto volume la cosa stava diventando leggermente fastidiosa per i vicini. Mr Moszczynski ha acconsentito a ridurre luminarie e musiche (ma ha introdotto in cambio un cannone sparaneve; la storia continua...).
Cos’è successo ad Avvenire, che ha causato questa topica di epiche proporzioni? Il fatto è che le fonti a cui i suoi giornalisti si sono rifatti sono il Sun e il Daily Express, due dei tabloid più noti, cioè due illustri rappresentanti di quella che i britannici chiamano gutter press e noi in Italia «stampa spazzatura», nota per le foto di signorine scollacciate e per le storie inventate di sana pianta; le prime non sono state ancora riprese da Avvenire, le seconde invece sì. Stranamente (ma forse non tanto), Avvenire ha ignorato del tutto il serissimo Guardian, che quattro giorni prima dei due articoli allarmistici di Corradi & colleghi dedicava un ampio pezzo a ristabilire la verità dei fatti (Oliver Burkeman, «The phoney war on Christmas», 8 dicembre 2006). Un piccolo ma indicativo particolare: sulla versione web di quest’ultimo articolo campeggia in bell’evidenza una correzione: un certo signore, citato da Burkeman, non era vescovo di Oxford ma di Birmingham. Credete che il tabloid della Conferenza Episcopale Italiana pubblicherà mai una ritrattazione degli articoli fasulli dei suoi propagandisti?

A parte la deontologia giornalistica, si potrebbe obiettare che storie simili sono troppo diffuse per essere tutte inventate: abbiamo letto tutti della scuola bolzanina in cui in un primo momento era stato vietato di cantare Stille Nacht per non offendere gli alunni musulmani. E comunque, laici e liberali non dovrebbero nascondersi, per esprimere un giudizio su questi episodi, dietro al fatto che vengono esagerati a bella posta o inventati di sana pianta per ricompattare le truppe sempre più distratte del Vaticano.
Personalmente, credo che la political correctness sia peggiore di qualsiasi manifestazione pubblica impropria della fede cristiana. Moltiplicare per mille l’ansia di censura, l’idea – illiberale per eccellenza – che idee e simboli possano costituire offese insopportabili, non costituisce certo un progresso, ma è solo il sintomo della stessa malattia: il cancro-in-testa del delirio identitario, condito magari di comica ignoranza, come quando qualcuno si affanna a cancellare in quanto simboli cristiani per eccellenza alberi e festoni di natale.
Idealmente, uno Stato laico non dovrebbe riconoscere feste religiose (come l’assurda festa dell’Immacolata Concezione, che blocca per un giorno un paese intero per celebrare un dogma che la stessa maggioranza dei frequentatori di messe confonde con tutt’altra credenza); il 25 dicembre festeggerebbe il solstizio da poco avvenuto, lasciando ai fedeli di riempire la festività con le elaborazioni sul tema delle varie chiese e religioni. Niente presepi nei luoghi pubblici, solo alberi di natale e luminarie (negli spazi privati aperti al pubblico ognuno si regolerebbe invece come gli pare); ma nessun divieto occhiuto di evitare ogni riferimento religioso: perché negarsi e negare il piacere di ascoltare alla televisione pubblica Adeste fideles? Tutto ciò, naturalmente, sotto la ratio non di una difesa dalle opinioni altrui, ma – al contrario – del rifiuto di alterare la bilancia della libera scelta fra opzioni spirituali diverse gettandovi sopra il peso dello Stato, e del rifiuto di un protezionismo religioso che, come tutti i protezionismi, maschera con la difesa dell’identità nazionale quella che è in realtà la difesa dei privilegi di una casta ai danni del pubblico.
Ovviamente, nulla di tutto ciò costituirebbe veramente un’urgenza: sarebbe grottesco affannarsi a sottrarre il bue, l’asino e la mangiatoia dagli asili infantili mentre miliardi di Euro dei contribuenti finiscono in un’altra mangiatoia assai più vasta (alla quale attingono fra l’altro, in cambio dei bei servizi che abbiamo visto, anche Avvenire e i suoi ‘giornalisti’). E tuttavia, come resistere alla tentazione di godersi le reazioni parossistiche degli integralisti, quando vedono posti in dubbio i loro sacri privilegi?
Riprendiamoci, dunque, privatamente, le antiche tradizioni dei giorni che seguono il solstizio invernale: alberi della fertilità e allegri consumi. Basta con la mortuaria e ipocrita lagna del «Natale consumista»! Non posso dirlo con parole più adatte di quelle di Johann Hari («I love the commercialisation of Christmas», The Independent, 21 dicembre 2006):

At this time of year, a low, familiar bleat is invariably heard from the pulpits and vestries: Christmas has become crudely commercialised. Money, money, money has trumped Messiah, Messiah, Messiah.
This year, the first to utter this cry has been Dr John Sentamu, the Archbishop of York, warning “the spiritual values that many people rightly acknowledge at the heart of Christmas are [now] subjected to an assault of materialism”. Many of us nod solemnly at this thought, before guiltily dashing out to Brent Cross to buy another DVD player, remote-control dinosaur and pair of Heelys for the kids.
I am on the side of the DVD players, the dinosaurs and the Heelys. Far better to worship Mammon – and our friends and family – than to waste our time worshipping a supernatural being for whom there is no evidence, speaking through a holy book littered with repellent ideas. … (Remember their God commands parents to kill their children if they talk back to them, in Exodus 21:15, and feeds small children to bears, in Elisha 2:22.)
Why should we allow the adherents of this book – even those who somehow ignore these ugly passages – to seize our greatest annual festival, one that far predates the birth of Christ? There were winter festivals with trees and gifts on these islands long before a non-virgin gave birth in a Bethlehem stable, and there will be one long after the Judaeo-Christian God has joined Zeus, Baal and Odin in the cemetery for forgotten deities.
This year there has been an attempt by the right-wing press to import into Britain the hilarious Fox News hysteria that claims “the left is waging war on Christmas”, as if we were wannabe Grinches tearing down tinsel. That’s not true, but we should be trying to de-Christianise the festival, turning it into a celebration of our existing friends and relatives, rather than a fiction. There’s no need to change the name to “Winterval” – just encourage people to carry on as they are, shunning the churches and turning Brent Cross, the Arndale Centre and (most importantly) the arms of their loved ones into their substitutes.
I giorni tornano ad allungarsi, le tenebre non hanno prevalso neppure questa volta sui lumi. Buon Natale del Sole Invitto da parte di Bioetica!

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