Molto molto interessante l’articolo di Tommaso Labate, L’onorevole ha il suo Pacs e lo chiama “solidarietà”, il Riformista, 14 dicembre 2006.
Cronache dai palazzi della politica in cui è sempre più infuocato il dibattito sulle unioni di fatto. Solo nella giornata di ieri, la parola Pacs è stata evocata decine di volte. «Il governo imploderà su Pacs e pensioni» (Silvio Berlusconi). «Essendo mancata la luna di miele, il governo ora pensa ai Pacs» (Il gruppo dei teodem, parlamentari della Margherita). «Ci opporremo con forza alla legge che il governo si è impegnato a mettere a punto sui Pacs» (Erminia Mazzoni, deputato dell’Udc).
Si potrebbe andare avanti per ore, forse. Ma forse è arrivata l’ora di evidenziare che la «S» dell’acronimo Pacs (Patti civili di solidarietà) è alla base di privilegi di cui godono – insieme ai loro onorevoli colleghi – anche Silvio Berlusconi, i teodem della Margherita e pure Erminia Mazzoni.
Si chiama infatti «Fondo di solidarietà fra gli onorevoli deputati» (al Senato c’è quella «fra gli onorevoli senatori»). Ed è la cassa che si occupa del «vitalizio» e dell’«assistenza sanitaria integrativa» degli inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama. Funziona in maniera semplicissima anche perché non è regolata né da una legge dello stato, né dal regolamento di Montecitorio.
Il Fondo di solidarietà è stato «inaugurato» nel 1990, con una delibera dell’Ufficio di Presidenza della Camera. Le regole che disciplinano l’assistenza sanitaria parlano chiaro: i servigi (o privilegi, fate voi) sono estendibili ai conviventi more uxorio (che termine orrendo) dello stesso sesso e agli eventuali figli avuti dai parlamentari fuori dal matrimonio.
Accedere al Fondo di solidarietà è facile facile: nei primi giorni di legislatura, il parlamentare – contestualmente allo scatto della foto di rito – compila un apposito modulo, in cui può indicare nomi e cognomi di conviventi ed eventuali figli a carico: a questi verrà poi estesa l’assistenza sanitaria gratuita.
Diverso il discorso sul fronte previdenziale: il «vitalizio» erogato dal Fondo di solidarietà fra gli onorevoli deputati, nel caso di coppia di fatto, non è reversibile. Traduzione: la pensione del parlamentare può essere «ereditata» solo dalla moglie e dai figli. Pardon: parlare di pensione è forse poco corretto da quando, nel luglio del 1994, il celeberrimo vitalizio dei parlamentari finì nel mirino della Corte Costituzionale. Con la sentenza 289/94, la suprema Corte – per chiudere un contenzioso derivato dai ricorsi presentati da molti pensionati “normali” contro un «ingiustificato privilegio tributario» – dichiarò infatti incostituzionale l’articolo 2 della legge 154/1983, grazie alla quale l’Irpef incideva solo sul 60 per cento degli assegni vitalizi percepiti dagli ex parlamentari. La stessa sentenza precisava tuttavia che tra pensione ordinaria derivante da «impiego pubblico» e assegno vitalizio derivante da indennità di carica per «mandato pubblico» non esiste alcuna affinità, «né di natura, né di regime giuridico».
Le tutele, per le coppie di fatto dei parlamentari, non mancano. Così come non mancano per quelle dei giornalisti. In quest’ultima categoria è stato fatto «un passo in più» sul piano della tutela dei diritti individuali. Il merito è di Mario Furtunato, all’epoca giornalista dell’Espresso, che nel 1996 rivolse un appello alla Casagit (la cassa autonoma di assistenza dei giornalisti italiani) affinché estendesse al proprio convivente omosessuale i benefici assistenziali che già riconosceva ai conviventi etero. Lo scrittore e giornalista vinse la sua battaglia: il 19 febbraio 1997, con un voto all’unanimità (ma ci fu anche un astenuto), il consiglio di amministrazione della Casagit decise di estendere «le prestazioni in materia di assistenza sanitaria al convivente more uxorio dell’iscritto, anche se dello stesso sesso».
All’estensione “a tutti” dei diritti di cui godono parlamentari e giornalisti fa riferimento anche la bozza di ddl sulle unioni di fatto che Stefano Ceccanti ha elaborato per conto di Barbara Pollastrini. «Di questi diritti – ha ricordato il costituzionalista alla Stampa – i parlamentari godono senza che siano state sollevate obiezioni. A parte Pier Ferdinando Casini, che a suo tempo annunciò che vi avrebbe rinunciato. Ma nessuno ha posto il problema di eliminare quei diritti. Nemmeno chi, come Casini, è stato presidente della Camera».
Passi pure per Casini, che afferma di aver rinunciato. Ma che dire dei parlamentari anti-Pacs che usufruiscono, o possono usufruire, dei privilegi del «Fondo»? Una cosa è certa: in Parlamento la «solidarietà» non manca. È la coerenza che più d’uno sembra aver dimenticato.
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