Riporto integralmente il testo del disegno di legge, le cui premesse sono un esempio raro e doverosamente imitabile di lucidità, umanità e ragionevolezza.
Il disegno di legge, inoltre, è anche una risposta alla questione sollevata da Piergiorgio Welby, la prima risposta che non lascia margini ad incerte interpretazioni e che non si nasconde dietro a richiami deresponsabilizzanti di vuoti normativi. La prima risposta all’urgenza assoluta della sua richiesta. E che affonda le radici in un terreno consolidato: la tutela costituzionale dell’esistenza.
———– XV LEGISLATURA ———–
N.
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei senatori VILLONE, MARINO, SALVI, COLOMBO FURIO, ZANONE, GRASSI, BATTAGLIA GIOVANNI, IOVENE, MELE
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL …
———–
Disciplina del rifiuto di trattamento sanitario
in attuazione dell’art. 32 della Costituzione
———–
Rileva anzitutto la tassatività della norma. Si riconosce in modo pieno il diritto individuale a rifiutare il trattamento sanitario, con una singola eccezione: che la legge specificamente prescriva come obbligatorio un trattamento determinato. Ne deriva che la norma costituzionale definisce compiutamente il bilanciamento degli interessi. Al di fuori della previsione ex lege della obbligatorietà, non vi sono altri interessi che possano essere contrapposti a quello che si traduce nel rifiuto del trattamento, e che siano suscettibili di essere portati ad un bilanciamento. In specie, non vi è riconoscimento per interessi come quelli riferibili alle best practices della scienza medica, o al medico che in applicazione di quelle pratiche ritenga il trattamento benefico o addirittura indispensabile per il paziente affidato alle sue cure. Si ammette l’unica ipotesi che il trattamento sia in sé direttamente contemplato e reso obbligatorio dalla legge.
In ogni altro caso, diverso dalla obbligatorietà ex lege, l’individuo rimane esclusivo titolare della valutazione del trattamento in rapporto al valore costituzionalmente protetto della salute. Se anche il trattamento rifiutato fosse indispensabile ai fini della tutela della salute, il rifiuto opposto rimarrebbe insuperabile da parte di altri soggetti in vista di qualsivoglia interesse.
La Costituzione riconosce quindi – e la scelta è da condividere – l’assolutezza del diritto al rifiuto. Tale assolutezza è confermata e rafforzata dall’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 32, per cui “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La disposizione non tempera né indebolisce affatto il diritto al rifiuto, disponendo anzi che nel disporre l’obbligatorietà il legislatore trova comunque il limite della dignità umana. E dunque possiamo trarne che l’individuo rimane, nella decisione di rifiutare il trattamento non obbligatorio ex lege, il solo e ultimo custode della propria dignità umana.
Nemmeno la stessa legge, al di fuori dell’ipotesi della prescrizione dell’obbligatorietà, potrebbe apporre limiti al diritto al rifiuto: ad esempio, nel disciplinare le professioni sanitarie. Né una legge avente un oggetto diverso potrebbe essere conformemente a Costituzione interpretata nel senso di porre limiti impliciti: ad esempio, per l’omissione di soccorso. E infine a nulla varrebbe che altre regole, non legislative – come ad esempio le norme di codici deontologici – contemplassero la possibilità che il trattamento venisse comunque applicato nonostante il rifiuto.
Ed infine, per quanto riguarda la legge che prescrivesse l’obbligatorietà, da quanto fin qui argomentato si evince con chiarezza che anch’essa troverebbe limiti quanto alle ipotesi in cui tale obbligatorietà è consentita. L’obbligatorietà deve trovare fondamento nella tutela di soggetti diversi da quello che subisce il trattamento. Si potrà dunque giustificare l’obbligatorietà ad esempio nel caso in cui la mancata applicazione del trattamento ponga a rischio la salute di terzi: vaccinazioni obbligatorie, profilassi per il rischio di contagio ed epidemie. Ovvero nel caso in cui il disturbo mentale evidenzi il rischio di manifestazioni violente.
L’esatta ricostruzione del diritto costituzionale di rifiutare il trattamento sanitario consente di concludere che nel caso Welby bene avrebbe potuto il medico accettare la richiesta del paziente di interrompere il trattamento cui veniva sottoposto, pur essendo il probabile esito la morte. E bene avrebbe potuto il giudice ordinare un comportamento conforme alla richiesta. Da questo punto di vista, una specificazione legislativa si mostra in sé non necessaria, essendo puramente dichiarativa di quanto contenuto già in Costituzione. Ma la presentazione di questo disegno di legge s’impone per superare le risposte negative intervenute che – per quanto erronee – pongono comunque e di fatto ostacolo all’esercizio di un diritto pienamente riconosciuto in Costituzione.
Art. 1
2. Il rifiuto si esercita mediante una dichiarazione resa in forma scritta o anche verbalmente. In tale ultimo caso la dichiarazione può essere raccolta direttamente dal medico, o da testimoni.
3. Il diritto di cui al comma 1 comprende anche il rifiuto di ogni trattamento volto a tenere in vita malati terminali, per i quali il decesso possa seguire come diretta conseguenza della sospensione del trattamento medesimo.
4. La mancata somministrazione o l’interruzione dei trattamenti non costituisce reato quando sia conseguenza dell’esercizio del diritto al rifiuto di cui alla presente legge.
1 commento:
Grazie.
Posta un commento