Lisa Maccari fa giustizia dell’assurdo allarme lanciato da Magdi Allam dalle colonne del Corriere della Sera sul presunto pericolo che ai matrimoni islamici venga riconosciuto valore civile nel nostro paese («Le nozze di Pinocchio», Paniscus, 5 dicembre 2006):
In breve, il nostro strumentalizza il caso di Lia per ribadire una cosa sola: bisogna mettere in guardia lo Stato italiano dall’accettare una convenzione con le comunità islamiche che preveda anche la celebrazione di matrimoni concordatari.
Eh già, perché secondo lui comporta un rischio da brivido: se lo stato italiano riconosce i matrimoni musulmani, poi sarà costretto ad accettare tutte le loro norme tradizionali, e allora addio diritti delle donne, laicità dello stato e parità tra coniugi!
Il nucleo dell’articolo di Allam, infatti, al di là delle ipocrite note di colore, è tutto lì: attenti, che se si riconoscono i matrimoni islamici, poi ci imporranno il ripudio e la poligamia, e non potremo più fare niente per negarglieli! …
Capirei se quello stesso sproloquio fosse comparso sul blog della maga Lisistrata, o al bancone di un bar di San Frediano. Ma da parte del vicedirettore del Corriere della Sera, per di più arabo, per di più sedicente musulmano, può significare soltanto una cosa: malafede assoluta.
Come si fa a non capire, con evidenza sonante, che il concordato con lo stato italiano non c’entra niente, e che il riconoscimento civile dei matrimoni islamici avrebbe semmai l’effetto esattamente contrario a quello descritto?
Se i matrimoni islamici avessero una valenza civile, allora sarebbero tenuti a rispettare le leggi civili, e non solo quelle islamiche.
Se i matrimoni islamici avessero una valenza civile, per sposarsi in moschea sarebbe necessario produrre tutti i documenti richiesti per un matrimonio civile, e sottoscrivere tutti gli impegni previsti per un matrimonio civile. I matrimoni islamici sarebbero registrati, contati, censiti, ed equiparati agli altri, con diritti e doveri conseguenti.
Per esempio, un matrimonio poligamico non potrebbe proprio essere celebrato... perché per sposarsi in moschea con un rito valido civilmente, sarebbe richiesto di produrre tutte le prove documentali che entrambi gli sposi siano liberi, come avviene in chiesa o in municipio. Un ripudio islamico non avrebbe la minima validità civile, e un marito che pensasse bene di abbandonare la moglie senza obblighi, recitando una triplice formuletta a memoria, non potrebbe farlo senza essere perseguito dalla legge e costretto a prendersi le proprie responsabilità.
Pensare che un riconoscimento civile dei matrimoni islamici imporrebbe allo stato di accettare le loro regole è una mistificazione di grossolaneria estrema. È come dire che, “siccome la chiesa cattolica non ammette il divorzio, allora chi si sposa in chiesa con un matrimonio concordatario registrato all’anagrafe civile, poi non può divorziare civilmente o risposarsi in comune”. Ma siamo seri! Lo sanno tutti, che è un’assurdità. E uno stato che si è dimostrato capace di imporre un principio tanto chiaro alla chiesa più invasiva e potente di tutta la sua storia, non sarebbe in grado di fare la stessa cosa con le comunità religiose più vessate, minacciate e senza diritti mai esistite sul suo territorio?
1 commento:
Bellissima riflessione.
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